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Fecondazione assistita, la Consulta: non è reato selezionare embrioni sani

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I giudici hanno dichiarato illegittimo l’articolo della legge 40 in cui si vieta la pratica di non impiantare embrioni affetti da malattie genetiche. Filomena Gallo (Ass. Coscioni): «Cadono le ultime ombre sulla diagnosi preimpianto, non ci sono scuse per non farla» di Laura Cuppini (lcuppini@rcs.it) corriere.it 11.nov.2015© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nuovo colpo alla legge 40/2004 sulla fecondazione assistita.

Con una sentenza della Corte Costituzionale (la numero 229/2015) cade il divieto di selezione degli embrioni, senza eccezione: i giudici hanno stabilito che non è reato la scelta nei casi in cui sia finalizzata ad evitare l’impianto di embrioni affetti da gravi malattie trasmissibili, ovvero quelle previste dalla legge 194 sull’aborto («quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna»).

La questione sollevata dal Tribunale di Napoli

La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Tribunale di Napoli nell’ambito di un procedimento penale contro un gruppo di medici rinviati a giudizio con l’accusa di produrre embrioni umani con fini diversi da quelli previsti dalla legge 40, effettuando una selezione eugenetica e la soppressione di embrioni affetti da patologie.

I giudici della Consulta hanno dunque dichiarato illegittimo l’articolo della legge 40 in cui si contempla «come ipotesi di reato» la selezione degli embrioni anche nei casi in cui questa sia «esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità» stabiliti con la legge sull’aborto e «accertate da apposite strutture pubbliche».

L’articolo 13 (commi 3, lettera b, e 4) della legge 40 prevede infatti di sanzionare penalmente la condotta dell’operatore medico volta a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli embrioni sani o portatori sani di malattie genetiche: tale articolo, secondo i giudici della Consulta, violerebbe gli articoli 3 (uguaglianza) e 32 della Costituzione (diritto alla salute), per contraddizione rispetto alla finalità di tutela della salute dell’embrione di cui all’articolo 1 della medesima legge 40.

E contrasterebbe anche con il diritto al rispetto della vita privata e familiare, che include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica.

«Diagnosi preimpianto pienamente legittima»

«Si tratta di una sentenza importante perché toglie finalmente ogni ombra dalla possibilità di effettuare la diagnosi preimpianto
- spiega Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni -.

Qui non si tratta di eugenetica, ma di tutela della salute della donna e dell’embrione stesso: cadendo il reato di selezione, la diagnosi preimpianto è adesso pienamente legittima. In questo modo si evita che una donna possa vedersi impiantato un embrione malato con la prospettiva eventuale di un aborto.

Ad oggi -
prosegue Filomena Gallo - la diagnosi preimpianto per le coppie fertili ma con patologie genetiche viene fatta solo in tre ospedali pubblici italiani, mentre viene fornita in tutte le strutture private. Per ricevere un servizio garantito da una precedente sentenza della Corte Costituzionale, le coppie dovevano rivolgersi ai tribunali, che con innumerevoli ordinanze hanno costretto gli ospedali pubblici a fornire il servizio o a richiederlo a una struttura convenzionata».

Il nuovo pronunciamento della Corte Costituzionale, ricorda Filomena Gallo, fa salire a quattro le sentenze che negli anni hanno cancellato dei punti nodali della legge 40, «ma la politica cerca di disconoscere queste sentenze creando ostacoli burocratici - spiega -.

Per esempio il ministro della Salute Lorenzin ha emanato le linee guida sulla fecondazione assistita, ma senza fare alcun riferimento alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili e all’eterologa, per la quale siamo ancora in attesa di un decreto attuativo.

Da oggi comunque non ci sono più scusanti: ogni ospedale, pubblico o provato, deve garantire la diagnosi preimpianto anche alle coppie fertili portatrici di patologie genetiche e il ministro Lorenzin dovrà lavorare affinché questo avvenga».

«Viene leso il diritto dell’embrione»

Parla invece di «contraddizione» il professor Antonio Spagnolo, direttore dell’Istituto di Bioetica presso la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Roma e Policlinico Gemelli: «Con questa sentenza viene confermato quanto stabilito precedentemente dalla stessa Corte Costituzionale, secondo cui era caduto l’obbligo a impiantare tutti gli embrioni prodotti con la fecondazione assistita - spiega Spagnolo -.

Il problema è che ci troviamo davanti a una situazione in cui soccombe il principio di autonomia e dignità dell’embrione, stabilito dall’articolo 1 della stessa legge 40 («assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito», ndr). Dobbiamo chiederci: chi è malato non ha il diritto di vivere? È giusto e comprensibile che una coppia desideri un figlio sano, ma è la medicina che deve porsi questo problema prima ancora di concepire l’embrione.

Esistono per esempio delle tecniche per attuare una fecondazione con sperma o gameti eliminando patologie genetiche, come l’eliminazione di un globulo polare che consente di scartare la parte malata del gamete: la ricerca dovrebbe puntare su questo. Ripeto - ribadisce Spagnolo -, la richiesta della coppia di avere un figlio sano è legittima, ma il metodo no. Qui siamo di fronte a una forma indiretta di eugenetica: gli embrioni malati non vengono distrutti ma messi in un limbo. Dobbiamo chiederci: che dignità ha l’embrione? È una questione di coerenza scientifica, più ancora che di morale».

C’è un altro punto che sta particolarmente a cuore al professor Spagnolo: «È sbagliato parlare di “embrioni malati”, perché in un embrione posso vedere un danno genetico, non una patologia conclamata. E non è detto che un danno genetico porti nel 100% dei casi a sviluppare una malattia».

«Forme di selezione a fini eugenetici»

Parla di eugenetica anche Eugenia Roccella, parlamentare di Area Popolare: «Resta lo sconcerto per la decisione della Consulta di aprire a forme di selezione a fini eugenetici, con la cancellazione del divieto esplicito previsto fino ad oggi dalla legge 40. Il disabile ha un diritto affievolito a nascere, può essere scartato, insomma è “figlio di un dio minore”».

Per Gian Luigi Gigli, capogruppo di Per l’Italia-Centro Democratico in Commissione Affari Costituzionali e presidente del Movimento per la Vita Italiano, siamo di fronte a una «cultura dello scarto»: «L’embrione è ormai ridotto a un bene di consumo, da usare e gettare se difettoso. Il prossimo passo sarà la produzione di esseri umani allo stadio embrionale per la riparazione di soggetti adulti malati, non identificati sufficientemente in tempo per non farli nascere».

«Non ci siano discriminazioni»

Di parere contrario Maria Paola Costantini, referente per la Pma (procreazione medicalmente assistita) di Cittadinanzattiva e avvocato che ha rappresentato coppie infertili di fronte alla Consulta negli anni scorsi: «Ora speriamo che l’accesso sia per le coppie infertili che per le coppie fertili a rischio di trasmissione di gravi malattie genetiche sia possibile nell’effettività, e quindi nel servizio sanitario. Per ora non c’è traccia di ciò, né nelle ultime linee guida del 2015 emanate dal Ministero della Salute né nella lista dei nuovi Livelli essenziali di assistenza. Chiediamo che non vi siano nuove discriminazioni per le coppie meno abbienti e in particolare per quelle del sud Italia».

Per l’avvocato Gianni Baldini, che ha difeso i diritti di numerose coppie di fronte ai vincoli della legge 40, «la sentenza è coerenze con l’obiettivo di tutelare la salute psichica e fisica della donna a fronte di un affievolimento della tutela assoluta dell’embrione. È la prima volta, infatti, che viene toccato l’art. 13 della legge, che finora era rimasto immune e ritenuto una sorta di sancta sanctorum della tutela dell’embrione».

Si faceva già la selezione degli embrioni

Nei centri privati la selezione degli embrioni si fa già da tempo. Lo conferma Andrea Borini, presidente della Società italiana fertilità e sterilità: «Da quando è caduto l’obbligo di trasferire tutti gli embrioni nell’utero di una donna, i medici hanno iniziato anche a fare una scelta tra gli embrioni da impiantare. Quindi in pratica è da tempo che facciamo una selezione. La nuova sentenza fa riferimento alla diagnosi preimpianto con lo scopo di evitare di impiantare un embrione malato che può portare alla nascita di un bambino affetto da una malattia genetica, come ad esempio la fibrosi cistica».

La sentenza sulle coppie con malattie genetiche


A maggio, la Corte Costituzionale aveva stabilito l’illegittimità della legge 40 nella parte in cui vietava l’accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi pre-impianto alle coppie fertili affette da gravi malattie genetiche, sempre con riferimento alle condizioni che consentono l’aborto terapeutico. E nella nuova sentenza si fa esplicito richiamo alla precedente, dato che, si legge , «quanto è divenuto lecito non può - per il principio di non contraddizione - essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante».

Nella sentenza di maggio si faceva infatti riferimento «al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro». È quindi, spiegano i giudici, «in questi esatti termini e limiti» che va letta la nuova pronuncia di illegittimità.

Resta il divieto della soppressione di embrioni

Nel dichiarare che non è reato la selezione degli embrioni finalizzata ad evitare l’impianto di quelli affetti da malattie gravi genetiche trasmissibili, la Corte Costituzionale ha giudicato però «non fondata» la questione relativa alla soppressione degli embrioni sollevata sempre dal Tribunale di Napoli.

La legge 40 vieta e sanziona penalmente tale condotta, anche se riferita agli embrioni che, a seguito di diagnosi preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica («è vietata la crioconservazione e la soppressione di embrioni» e «la violazione è punita con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro»).

Resta dunque vietata la soppressione degli embrioni frutto di fecondazione assistita.


Secondo la Corte Costituzionale, «la malformazione dell’embrione non ne giustifica, solo per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani». «Non è mero materiale biologico»

Per gli embrioni malati non si prospetta, «allo stato, altra risposta che la procedura di crioconservazione. L’embrione, infatti, quale che sia il più o meno ampio riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico», scrivono i giudici.

La Consulta ricorda che, con una sentenza del 2009, aveva «già riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione e l’ha ritenuta suscettibile di “affievolimento”, ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che risultino prevalenti.

Nella fattispecie, la soppressione dell’embrione malato non troverebbe giustificazione con la tutela di altro interesse.

Sulla possibilità di destinare gli embrioni non idonei per una gravidanza alla ricerca scientifica ci sarà un’udienza presso la Corte Costituzionale a marzo del prossimo anno.


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