di Luigi Santambrogio 13-04-2015 lanuovabq.it
Il popolo pro life e che combatte per l’abrogazione
della legge 194 è tornato qualche giorno fa in piazza a Milano.
Tensione quando il corteo si è sfiorato con la sparuta
flottiglia dei “Sentinelli”, grottesca caricatura degli abortisti e filo
gay che traggono dal disturbo della manifestazioni altrui la loro esclusiva
ragione di esistere. Un appuntamento questo del Comitato per la vita e “No
194” che periodicamente si ripete
sulle principali piazze italiane all’insegna dello slogan "Una legge ingiusta
non è una legge". Presenza commovente
e irriducibile contro una legge
che ha causato dalla sua entrata in vigore, nel '78, più di 6.000.000 di bambini
uccisi nel grembo materno.
Manifestazioni che insieme alle giornate di preghiera che
si svolgono davanti alla clinica Mangiagalli di
Milano, hanno purtroppo il valore di fortissima testimonianza pubblica,
ma di scarsa incidenza politica e legislativa, dato che oggi, nessun
partito si sognerebbe di portare in Parlamento proposte e disegni
di legge non solo di cancellazione ma neppure di timide revisioni
della 194. Anzi, potrebbe invece accadere il contrario, cioè che
siano proprio coloro che si battono, almeno sul piano morale e di
coscienza, contro la legge sull’aborto, a essere costretti a pretendere
la sua “integrale” applicazione. Paradossale, vero?
A creare l’inaccettabile paradosso sono le nuove frontiere
dell’aborto: in prima fila la famigerata pillola Ru486 e
oggi anche la cosiddetta “pillola dei cinque giorni dopo”. Entrambe
sottraggono l’interruzione della gravidanza ai ferri del chirurgo
per consegnarla alla chimica: una forma in apparenza più soft e asettica,
in realtà, soprattutto per la Ru486, il “topicida” degli anni Duemila,
come l’ha definita il padre della genetica moderna Jérôme Léjeune,
mortifere quanto l’aborto “tradizionale”. Con la Ru486, l’aborto
diventa per la donna un tormento senza fine, può allungare le fasi
dell’aborto fin oltre la settimana: dipende dai soggetti e da altre
circostanze. Per questo, da tempo, il governo ha deciso che non potrà
essere somministrata fuori dalle strutture ospedaliere e per la donna
che ne fa uso è obbligatorio il ricovero. Lo impone la legge 194
che vieta espressamente l’aborto a domicilio e ne prescrive l’esecuzione
in ambito ospedaliero dai medici del servizio ostetrico-ginecologico.
Ma non è così: con la pill kill le pazienti vengono dimesse e mandate
a casa tra la prima somministrazione di mifepristone (che uccide
il feto) e la seconda fase con il misoprostol, la prostaglandina
che provoca l’espulsione. Ed è proprio questa fase che può prolungarsi
per giorni. Giorni di vomito, diarrea, contrazioni protratte e dolorose
emorragie, come avvertono le istruzioni per l’uso. Dunque, con la
Ru486 l’aborto diventa un affare domestico e circoscritto: tra le
quattro mura del bagno. E poi ci sono i decessi, certificati. Ad
oggi, sono almeno 30 le mamme morte per emorragie ed effetti collaterali
indotti dalla pastiglia.
La stessa cosa vale per la “pillola dei cinque giorni dopo”,
(dell'ulipristal acetato) che recentemente l’Aifa, l'ente
nazionale italiano per il controllo sui farmaci, ha “liberalizzato”,
togliendo anche l’obbligo della prescrizione medica e declassandola
addirittura come prodotto da banco. Solo per le minorenni continuerà
a servire la ricetta medica. Decade l'obbligo del test di gravidanza.
Un inganno “scientifico” in piena regola, come l
a Bussola ha
documentato in diversi occasioni (
clicca
qui e
qui).
É quanto hanno denunciato pure i medici e i farmacisti cattolici
che sottolineano il potenziale abortivo della pillola e gli effetti
collaterali conseguenti all’assunzione incontrollata del farmaco.
Ma in questo caso, così pare, gli interessi economici delle case
farmaceutiche vengono dopo la verità scientifica e la tutela della
salute delle donne e la vita dei bambini. Ma la decisione dell’Aifa
ha bloccato tutto, riportando indietro la discussione e avallando,
nei fatti, un altro modo di praticare l’aborto, al di fuori di
ogni ospedalizzazione e controllo medico. Con un’altra violazione
della legge 194: quella della possibilità dell’obiezione essendo
stato cancellato l’obbligo di ricetta.
Dunque, a questo siamo. Al punto, cioè, che anche quelli che
sono contrari alla 194 sono costretti a protestare perché
la legge venga almeno rispettata e severamente applicata contro chi,
fuori legge, vorrebbe estendere l’aborto a una pratica domestica
e solitaria. Mettendo a rischio anche la vita di chi già interrompe
la vita di un altro. Togliamo di mezzo subito un equivoco grave quanto
un aborto: qui la divisione tra laici e cattolici, la diversità di
vedute tra credenti e atei confessi c’entrano un bel nulla. Se qualcuno
insiste a porre la questione in questi (falsi) termini o è in malafede
o è un talebano (e pure ignorante). Sul piano umano, l’aborto è un
evento drammatico per la donna e una sconfitta per tutti. Dunque,
non stiamo certo discutendo di pillole per la tosse. Le pill-kill
rischiano di introdurre una nuova arma di distruzione di massa e
opporsi a ciò dovrebbe essere un impegno elementare, razionale, condiviso
da tutti. C’è una stregoneria medica che propaganda l’aborto come
metodo contraccettivo: occorre un no laico e generale a questo trionfo
della morte in un bicchier d’acqua, macabra ideologia di qualche
clericale rovesciato che bercia di libertà di scelta, intendendo
solo quella di buttare nel cesso una vita indifesa.
Ecco, questa è la strettoia micidiale che la legge 194 sta
imponendo al movimento pro life e a chi tenta in qualche
modo di limitare i danni. Manifestare, come gli ultimi giapponesi,
per l’abolizione di una legge omicida sapendo di non aver il sostegno
politico di alcun partito e, nello stesso, pur dichiarando che l’interruzione
della gravidanza è un crimine contro la vita, vigilare perché la
stessa non venga estesa ad altre forme di aborto fuorilegge. In ogni
caso, nessuno è autorizzato a difendere quell’iniqua legislazione
che, come ricordano i coraggiosi dei Comitato ”No 194” è già costata
in Italia un olocausto con sei milioni di bambini uccisi prima di
nascere.
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