di Gabriella Meroni 04 marzo 2015 vita.it
Una ricerca sfata i principali stereotipi sulle comunità
Rom e Sinti presenti nel nostro Paese. Nonostante quel che si crede, il
61% di loro è italiano e solo il 3% conduce una vita nomade.
MITO: sono nomadi
REALTA’: solo il 3% conduce vita itinerante
La comunità sinta e rom non è più definibile come “nomade”, infatti
soltanto il 3% della popolazione presente in Italia conduce una vita
itinerante. Alla convinzione diffusa fra gli italiani che i rom e i sinti
siano tutti nomadi, per scelta o per cultura, e che vivano spostandosi
da una città all’altra sono collegati la maggior parte degli stereotipi.
In particolare lo stereotipo che vuole tutti gli zingari “culturalmente”
ladri e quindi dediti ad attività illegali, più difficilmente perseguibili
proprio a causa di uno stile di vita itinerante. Sia per i sinti che
per i rom, non nomadi, è molto importante creare e mantenere buone relazioni
con il territorio sia nel caso in cui vivano in roulotte e aree di sosta
che nel caso in cui abbiano scelto di vivere in appartamenti. È così
forte tuttavia la paura di essere discriminati che famiglie di sinti
e rom preferiscono non rivelare la propria appartenenza culturale nel
momento in cui trovano lavoro o vanno a vivere in case, diventando così
“invisibili”. –
MITO: sono stranieri, dell’Est europeo
REALTA’: la maggioranza è italiana
Anche se sinti e rom sono spesso identificati come “stranieri”, circa
il 61% possiede la cittadinanza italiana (in Emilia-Romagna il 95,9%).
Si tratta quindi ,nella maggior parte dei casi, di cittadini italiani,
con gli stessi diritti e doveri degli altri cittadini.
MITO: sono sporchi
REALTA’: molti non hanno accesso a servizi igienici
Questa generalizzazione non tiene conto della maggior parte di sinti
e di rom che curano con grande attenzione la pulizia delle roulotte e
delle abitazioni. Sono soprattutto i nuclei ancora itineranti che, non
potendo accedere ai servizi igienici in modo continuativo, possono risultare
meno attenti alla pulizia. Non c’è tuttavia alcun legame fra appartenenza
culturale e scarsa igiene, come vorrebbe lo stereotipo.
MITO: non vogliono integrarsi
REALTA’: temono di perdere la propria identità
La paura più forte sia fra sinti che fra i rom non è quella dell’integrazione
con la comunità dei gagè, che anzi viene ricercata attivamente, ma quella
dell’omologazione, di perdere il proprio specifico culturale. La scuola
in particolare viene sempre più riconosciuta come il luogo da cui può
partire una reale emancipazione, pur essendo allo stesso tempo investita
dal timore che possa contribuire a fare perdere fra i giovani sinti e
rom la conoscenza e la consapevolezza della cultura e della lingua. In
Emilia Romagna comunque il 99,3% dei bambini rom e sinti sia iscritto
alle scuole primarie e il 95,5% a quelle secondarie di primo grado. Quello
che rimane un punto di attenzione è invece la frequenza scolastica: sinti
e rom vivono infatti la scuola, in particolare secondaria, come un contesto
discriminante e poco accogliente.
MITO: sono privilegiati, ricevono sussidi
REALTA’: non esistono leggi che garantiscano loro aiuti economici
Si discute tuttora di una quota giornaliera che sinti e rom percepirebbero,
circa 30 euro al giorno, per il semplice fatto di essere sul territorio
italiano. Si tratta di un’evidente distorsione della legge 390 del 1992,
che permetteva ai Comuni che ospitavano persone in fuga dalla ex Jugoslavia
di avere dei fondi da utilizzare per borse lavoro, gestione delle strutture
abitative ecc. Anche allora nessun profugo aveva la possibilità di accedere
a questi finanziamenti, che erano invece riservati ai Comuni. In realtà
non vi sono leggi specifiche che riconoscano a sinti e rom uno status
o diritti ulteriori rispetto a quelli garantiti alla collettività in
generale.
MITO: rubano i bambini
REALTA’: i presunti rapimenti non sono mai stati provati
È un’idea tutt’ora molto diffusa, spesso avallata da leggende metropolitane
e fatti di cronaca. Sono sempre storie che risultano poi essere false,
ma in cui le smentite ed i chiarimenti hanno sempre uno spazio ed un’attenzione
minima rispetto al clamore dato alle denunce. Così, mentre non esistono
casi in cui un rapimento sia stato provato, l’idea che i rom rubino i
bambini resiste con forza. Può essere utile tuttavia sapere che il pregiudizio
in questo caso è speculare: i sinti e i rom temono il rapimento dei lori
figli da parte dei gagi, soprattutto assistenti sociali e Polizia.
MITO: non vogliono lavorare, vivono di furti
REALTA’: combattono contro la disoccupazione anche creando cooperative
Storicamente, sinti e rom hanno sempre lavorato, concentrandosi sulle
professioni che meglio si sposavano allo stile di vita itinerante (spettacolo
viaggiante, giostre, raccolta del ferro, lavorazione del rame, riparazioni
ecc.). A partire dagli anni ‘60, la società italiana si è urbanizzata
ed industrializzata, rendendo sempre meno remunerative queste professioni,
tant’è che molti rom e sinti si sono trovati espulsi dai mestieri tradizionali.
Nonostante un alto tasso di disoccupazione, le comunità si stanno adeguando,
sia con soluzioni innovative per supportare lo svolgimento delle attività
tradizionali (come la creazione di cooperative), sia spaziando verso
altri settori lavorativi.
Dite a Salvini che i rom sono italiani
di
Gabriella
Meroni 10 aprile 2015
vita.it
Dal primo Rapporto dell'associazione 21
luglio emerge che a vivere
nei campi sono solo 40mila persone (lo 0,06% della popolazione), e oltre
la metà dei rom presenti nel nostro paese sono italiani. I discorsi di odio
nei loro confronti vengono per l'87% da esponenti politici.
Pochi, anzi pochissimi, e per la maggior parte italiani. Sono
i rom presenti nel nostro paese censiti nel primo rapporto nazionale
sulla condizione dei rom e dei sinti in Italia pubblicato ieri
dall’
Associazione
21 luglio in occasione appunto della Giornata Internazionale
dei rom e dei sinti.
Il report, che indaga
sull’anno passato per individuare la trama che ha intessuto le
politiche attuate nel nostro Paese nei confronti di tali comunità,
è stato presentato anche alla Presidente della Camera Laura Boldrini
e s
fata molti miti sui rom ampiamente radicati in Italia:
primo, che sia in atto una sorta di invasione da parte di questi
cittadini, e secondo, che gli stessi siano tutti stranieri.
Ecco come stanno invece
realmente i fatti. Oggi, in Italia, vivono circa 180 mila rom e
sinti, che rappresentano lo 0,25% della popolazione.
Il
50% di essi ha la cittadinanza italiana e 4 rom e sinti su 5 vivono
in regolari abitazioni, studiano, lavorano e conducono
una esistenza come quella di ogni altro cittadino, italiano o straniero,
residente nel nostro Paese. La loro quotidianità, tuttavia, resta
quasi sempre sconosciuta agli occhi della pubblica opinione, mentre
più visibili, nelle cronache dei giornali e dei commenti degli
esponenti politici,
sono i circa 40mila che vivono nei
cosiddetti “campi” – 1 rom su 5 sul totale dei presenti, lo 0,06%
dei residenti in Italia.
Dal Rapporto emerge inoltre
che in Italia il varo della Strategia Nazionale per l’Inclusione
dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti e il cambio di direzione da
essa paventato non hanno significato un sostanziale mutamento delle
loro condizioni di vita.
Nei dodici mesi considerati sono
inoltre avvenute decine di azioni di sgombero forzato: più di 230
nelle sole città di Roma e Milano.
Tali politiche hanno
una ricaduta sulla qualità della vita di un minore che
vive all’interno dell’insediamento, segnando il suo futuro. Un “figlio
del campo” avrà possibilità prossime allo zero di accedere a un percorso
universitario, mentre
le possibilità di frequentare le scuole superiori
non supereranno l’1%.
In 1 caso su 5 non inizierà mai il percorso
scolastico. Soprattutto in tenera età avrà fino a 60 volte
la probabilità – rispetto a un suo coetaneo non rom –
di essere segnalato dal Servizio Sociale e di entrare in contatto con
il sistema italiano di protezione dei minori.
La sua aspettativa
di vita risulterà mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto
al resto della popolazione mentre da maggiorenne avrà
7 possibilità su 10 di sentirsi discriminato a causa della propria etnia.
Ancora. Nel 2014 l’Osservatorio
dell’Associazione 21 luglio ha registrato
443 episodi di
discorsi d’odio contro i rom, di cui l’87% risulta riconducibile
a esponenti politici. Numerosi sono stati gli episodi
violenti - avvenuti per esempio a Poggioreale, Latina,
Vimercate, Querceta, Città di Castello, Padova e Acilia
- che hanno avuto per bersaglio i rom.