Corso di Religione
di Valentina Colombo 10-03-2015 lanuovabq.it
«A patto che non contravvenga la sharia».
Questa è l’espressione
ricorrente ogniqualvolta i Paesi islamici, in modo particolari
quelli che pongono la sharia come fondamento della legge, affrontano
la tematica dei diritti umani universali, meglio i diritti umani
così come intesi dalle convenzioni internazionali. É la stessa
riserva espressa per giustificare il rifiuto a ratificare la Dichiarazione
dei Diritti Universali
dell’Uomo del 1948 che l’Arabia Saudita
non sottoscrisse ritenendola per molti aspetti in contrasto con
i precetti islamici. Nella stessa circostanza l’Egitto e altri
Paesi arabi espressero le proprie perplessità riguardo agli articoli
relativi alla libertà di religione e coscienza e alla libertà
di matrimonio indipendentemente dall’appartenenza religiosa, sulla
base del fatto che erano in contrasto con la sharia.
D’altronde, il 7 marzo 2015, la Saudi News Agency ha
pubblicato un comunicato relativo all’intromissione internazionale
sul caso del blogger
saudita Raif Badawi, attualmente in carcere con una condanna a
10 anni e mille frustate per avere fondato un sito di pensatori
liberali, che in modo molto esplicito ribadisce la posizione del
Paese riguardo ai diritti umani: «Una fonte ufficiale del ministero
degli Esteri saudita ha dichiarato quanto segue: l’Arabia Saudita
esprime forte sorpresa e sgomento riguardo a quanto viene espresso
da alcuni mezzi di comunicazione circa la questione del cittadino
Raif Mohammed Badawi e la sentenza contro di lui. E mentre il
Regno deplora gli attacchi di suddetti mezzi di comunicazione
contro il Regno e il suo sitema giudiziario, sottolinea al tempo
stesso che non accetta alcuna forma di interferenza nei propri
affari interni, respinge l’ingerenza sul suo diritto sovrano e
la compromissione della sua indipendenza e integrità giuridica,
laddove non esiste alcun potere al di sopra dei giudici nelle
loro sentenze. Il Regno ribadisce inoltre che tutti i casi giudiziari
sono trattati senza alcuna distinzione o eccezione. La fonte ha
altresì aggiunto che il Regno non accetta alcun attacco nei propri
confronti in nome dei diritti umani, soprattutto nel momento in
cui la propria Costituzione si basa sul diritto islamico, che
garantisce i diritti umani preservandone il sangue, il denaro,
l'onore e la dignità».
«L'Arabia Saudita», prosegue la nota, «è
stato uno dei primi Paesi a sostenere
i diritti umani e rispettare
tutte le convenzioni
internazionali, in conformità con la sharia. Ciononostante, e nonostante
tutti questi evidenti sforzi, alcune agenzie internazionali e alcuni
media purtroppo hanno svuotato i diritti umani dalle loro elevate implicazioni,
per cadere nel tentativo di politicizzarli e sfruttarli per attaccare
i diritti sovrani degli Stati in base a standard che possono essere descritti
solo come selettivi
e raddoppiati per servire obiettivi politici; e questo è qualcosa che
il Regno non consente né può accettare in alcun modo»
Una risposta molto chiara alla campagna di Amnesty International,
alla mobilitazione
internazionale in favore di Raif Badawi
accusato di promuovere il «libero pensiero» e che rischia ancora
oggi di essere condannato a morte per apostasia. Una risposta
dura, risentita e colma d’ipocrisia. Una risposta che chiarisce
che dal 1948 nulla è mutato per l’Arabia Saudita. Al contrario
nel corso degli anni le divergenze sulla definizione stessa di
“diritto umano” sono perdurate e si è via via chiarito che, nel
diritto islamico, il “diritto umano” non deve mai valicare i limiti
posti da Allah. É evidente, quindi, che i contrasti tra le due
concezioni di diritto sono inevitabili e insanabili. Da un lato
i diritti universali dell’uomo, così come concepiti nel 1948,
si fondano sui due pilastri: l’uguaglianza di tutti gli esseri
umani, la libertà garantita a tutti gli uomini senza distinzione
alcuna, la sacralità della vita. Dall’altro il diritto islamico
classico che si articola a partire da tre fondamentali relazioni
di diseguaglianza che vengono espresse sul piano giuridico, prima
fra tutte la diseguaglianza tra uomo e donna, ma soprattutto che
pone limiti divini alla libertà sacralizzando discriminazione
e repressione. Ne consegue che le menti libere come Raif Badawi,
i difensori dei diritti umani come l’avvocato di quest’ultimo
Waleed Abulkhair si ritrovano non solo ad avere ben pochi alleati
nella maggior parte dei Paesi musulmani, ma ad essere arrestati
e condannati come criminali.
É la ragione per cui a Parigi il 19 settembre 1981 presso
l’Unesco venne pubblicata
la Dichiarazione Universale
dei Diritti dell’Uomo
nell’islam, preceduta da un intervento presso
le Nazioni Unite da parte del rappresentante iraniano Said Rajai
Khorasani, secondo il quale la Dichiarazione del 1948 rappresentava
«una interpretazione laica della tradizione giudaico-cristiana»
inaccettabile da parte dei musulmani. Questo documento afferma
la superiorità dell’islam rispetto alle altre religioni e la volontà
di instaurare uno Stato islamico, l’unico in grado di rispettare
i diritti umani. In seguito, nel 1990, al Cairo, la XIX Conferenza
Islamica dei ministri degli Esteri approvò la Dichiarazione del
Cairo sui Diritti Umani nell'islam, un testo molto più articolato
rispetto al precedente. Colpisce l’articolo 2 che recita: «La
vita è un dono dato da Allah e il diritto alla vita è garantito
ad ogni essere umano. É dovere degli individui, delle società
e degli Stati proteggere questo diritto da ogni violazione ed
è vietato sopprimere la vita tranne che per una ragione prescritta
dalla sharia; è proibito ricorrere ai mezzi che possono provocare
il genocidio dell'umanità; la difesa della vita umana nel disegno
di Allah è un dovere prescritto dalla sharia; l'integrità fisica
è un diritto garantito. É dovere dello Stato proteggerlo ed è
vietato infrangerlo senza una ragione prescritta dalla sharia».
Tutto viene sottoposto alla legge islamica, divina e
immutabile quindi anche la vita è sacra, ma con molte attenuanti
e con uno sconcertante relativismo. Nessun riferimento viene quindi
fatto alla libertà di cambiare religione che viene sanzionata
dalla sharia con la pena di morte. Per venire alla libertà d’espressione
che riguarda da vicino il caso di Raif Badawi, all’articolo 22
si legge:
«a) Ognuno ha il diritto di esprimere liberamente la
propria opinione in un modo che non contravvenga ai principi della
sharia;
b) Ognuno ha il diritto di sostenere ciò che è giusto
e propagandare ciò che è buono e mettere in guardia contro ciò
che è sbagliato e malvagio in conformità con le norme della sharia;
c) L'informazione è una necessità vitale per la società. Essa
non può essere sfruttata o distorta in modo tale da violare la
sanità e la dignità dei Profeti, minare i valori morali ed etici
o disintegrare, corrompere o inquinare la società o indebolirne
la fede;
d) Non è consentito suscitare odio nazionalistico o ideologico
o comunque incitare a qualsiasi forma di discriminazione razziale».
Ne consegue che, in base a siffatta concezione della libertà di
espressione, Raif Badawi non può che essere giudicato colpevole.
D’altronde, ‘Abd Allah ibn Salih al-‘Ubayd, ex presidente
della Società nazionale
per i diritti umani in Arabia
Saudita, affermò: «Ci sono persone che considerano alcune questioni
una violazione dei diritti umani, mentre noi le riteniamo uno
strumento di salvaguardia dei diritti umani – ad esempio le esecuzioni,
l’amputazione della mano del ladro, oppure le frustate a un’adultera.
Ci sono persone che ritengono che tutte le punizioni coraniche
violino i diritti umani. […] Noi, in Arabia Saudita, siamo parte
del mondo per quanto concerne i principi generali dei diritti
umani. Ma nel nostro Paese rispettiamo le regole della sharia,
sicché ciò che ad altri sembra una violazione dei diritti umani
è invece per noi un dovere nei confronti di chi ha commesso un
reato o un peccato».
Il caso di Raif Badawi sta sempre più portando allo scoperto
la crudeltà e la
spietatezza dell’Arabia Saudita
che applica la stessa rigida interpretazione dell’islam dell’Isis,
sta confermando l’ipocrisia e l’arroganza di uno Stato che molti
governi occidentali considerano un partner affidabile e prezioso.
Per questo motivo è da ammirare Sigmar Gabriel, vice-cancelliere
tedesco e ministro dell’Economia, che durante la sua visita in
Arabia Saudita ha sollevato il caso e ha ribadito a re Salman
che il caso Badawi potrebbe inficiare i rapporti tra i due Paesi.
Rimane un interrogativo: quanti ministri e politici europei avranno
il coraggio di non chiudere gli occhi, di seguire l’esempio di
Gabriel e di chiarire una volta per tutte che i diritti umani
non possono essere relativizzati?
Gli articoli sono coperti da Copyright - Omni Die srl - Via Ferdinando Magellano 38, 20900 - Monza - MB P.Iva 08001620965
DISCLAIMER. Si ricorda - ai sensi della Legge 7 marzo 2001, n. 62 - che questo sito non ha scopi di lucro, è di sola lettura e non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare" : gli aggiornamenti sono effettuati senza scadenze predeterminate. Non può essere in alcun modo ritenuto un periodico ai sensi delle leggi vigenti né una "pubblicazione" strictu sensu. Alcuni testi e immagini sono reperiti dalla rete : preghiamo gli autori di comunicarci eventuali inesattezze nella citazione delle fonti o irregolarità nel loro uso.Il contenuto del sito è sotto licenza Creative Commons Attribution 2.5 eccetto dove altrimenti dichiarato. Navigando nel sito se ne accetta la PRIVACY POLICY