Corso di Religione

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«Contro l’Is intervento militare con i Paesi arabi»

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Nel 2003 gli americani sono arrivati in Iraq con la pretesa di liberare il Paese dalla tirannide e di promuovere la democrazia, il pluralismo, la libertà e la stabilità. di Louis Sako   patriarca caldeo di Bagdhad   17-10-2015 lanuovabq.it

Ma è accaduto esattamente il contrario. È emersa una nuova cultura, estranea alle nostre società: la cultura del “confessionalismo” religioso ed etnico. Ne sono risultati combattimenti, lotte, pulizia di città e regioni su base etnica e confessionale, rese dei conti e violazione della dignità. Questo ha favorito l’ascesa di organizzazioni terroristiche takfiriste come l’Isis, con la sua barbarie terrificante.

È come se tutto questo avesse lo scopo di mettere fine alla pluralità sociale, religiosa, etnica e culturale dell’Iraq e di tutta l’area. Questa situazione di anarchia sfrenata ha mietuto e continua a mietere migliaia di morti e feriti e lasciato dietro di sé 3 milioni di sfollati, infrastrutture semi-distrutte, disoccupazione, povertà e analfabetismo.

La cultura takfirista e terrorista ha steso la sua ombra sui cristiani e sulle altre minoranze religiose, diventati bersaglio degli estremisti. Sono stati rapiti, uccisi e costretti a emigrare, le loro chiese sono state distrutte: questo è successo ai cristiani di Mosul e della piana di Ninive. La “spartizione confessionale” li ha emarginati politicamente, ed essi si sono sentiti discriminati, trattati come cittadini di seconda classe e indesiderati. Perciò hanno cercato rifugio nei Paesi limitrofi, nel Regno giordano hashemita, in Libano e in Turchia e, da qui, hanno preso la via dell’Occidente per proteggere la loro vita e il futuro loro e dei loro figli. Le minoranze in Iraq e nell’area si domandano che cosa ne sarà del loro destino e del loro futuro, delle loro case e delle loro proprietà, delle loro città e dei loro villaggi.

Potranno un giorno, loro che sono cittadini autoctoni, fare ritorno alle loro terre storiche? Le loro case e i loro negozi violati dai gruppi organizzati saranno ricostruite? Verranno realizzate riforme sostanziali nella Costituzione e nella legislazione a garanzia della loro uguaglianza? Il governo iracheno, gli Stati Uniti e la comunità internazionale faranno qualcosa per proteggerli e garantire loro i diritti? È necessario affrontare queste crisi con realismo e decisione e trovare una via d’uscita sicura e durevole soprattutto per quanto riguarda il pensiero takfirista e il terrorismo, diventato ormai un fenomeno globale capace di suscitare ovunque il terrore.

Illustriamo ora alcune proposte realistiche e concrete per una vera riforma.

È innanzitutto necessario formare una coalizione internazionale con i Paesi arabi e musulmani nell’ambito di un mandato delle Nazioni Unite per intraprendere un’azione militare seria volta a liberare le aree occupate dai gruppi terroristici e ripristinare la stabilità politica, securitaria, economica e un buon vicinato. È una responsabilità morale che incombe ai Paesi che hanno creato questo caos che è tutt’altro che “creativo”.

Una volta liberate le città occupate, sarà necessario fornire una protezione internazionale agli sfollati perché possano far ritorno alle loro case, e vivere in sicurezza, libertà e dignità. A questo punto sarà doveroso risarcire le vittime per i danni subiti, ricostruire le loro case, scuole, chiese e monasteri distrutti, e garantire loro pieni diritti.?

Poi occorrerà mettere in campo delle riforme in ambito politico e finanziario per istituire un sistema civile che si fondi sul principio di cittadinanza, sulla convivenza e sull’uguaglianza tra le componenti della società, che rispetti le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, e che coinvolga nel processo politico tutte le componenti del popolo iracheno senza discriminazioni. La forza di un Paese è nell’unità e nell’attaccamento dei cittadini alla propria terra e alla propria identità.??

Non meno importanti sono le riforme del sistema giudiziario, in particolare per quanto riguarda lo statuto personale dei cittadini non-musulmani e la situazione dei minori con uno dei due genitori convertito all’Islam. Occorre proteggere la libertà di coscienza e la libertà di credo. La religione è un fatto personale tra la persona e il Signore. I musulmani nel mondo devono assumersi le proprie responsabilità di fronte al terrorismo che si ammanta della religione per ottenere potere e denaro. I capi religiosi devono affrettarsi a decostruire questo pensiero takfirista che costituisce una minaccia diretta per i musulmani, per i cristiani e non solo.

Questo è possibile promuovendo un pensiero moderno e aperto, e un’educazione religiosa, solidamente basata sulla moderazione, purificata da idee infernali, che rispetti la diversità, rafforzi i legami di fratellanza tra i cittadini e diffonda la cultura della pace, della tolleranza e della convivenza pacifica e sociale. ?Infine, sarà importante promulgare una legge che garantisca il rispetto di tutte le religioni e punisca chi compie atti che offendono la religione e le cose sacre, le forme di discriminazione, e l’istigazione all’odio e alla divisione, sull’esempio di quanto recentemente fatto dagli Emirati Arabi.

I cristiani e le altre minoranze sono persone pacifiche, cittadini leali che hanno contribuito in misura notevole a edificare la civiltà e la cultura delle loro patrie, e meritano di essere apprezzate per questo. Ci auguriamo che questi Paesi non si svuotino dei cristiani e delle altre minoranze autoctone.

*tradotto dall'arabo da Chiara Pellegrino Gli articoli sono coperti da Copyright - Omni Die srl - Via Ferdinando Magellano 38, 20900 - Monza - MB P.Iva 08001620965

Iraq, parlamentare cristiano: Unite, Mosca e Washington possono battere lo Stato islamico

ASIANEWS 16/10/2015 IRAQ

Yonadam Kanna, dell’Assyrian Democratic Movement, è convinto che il Paese saprà mantenersi unito. Solo i curdi, in futuro, potrebbero “staccarsi” in cerca di autonomia. L’intervento di Mosca, spiega ad AsiaNews, è "decisivo" nella lotta contro i jihadisti; fondamentale unire gli intenti nella lotta al terrorismo. Sempre più critica la situazione dei cristiani, servono protezione, aiuti e riconciliazione nazionale.

Baghdad (AsiaNews) - In Iraq vi sono “interessi esterni” che premono in direzione di una “divisione in tre parti” del Paese [sunnita, sciita e curda] e forse questi attori “potranno creare situazioni di caos, tensione e conflitto”, ma “non avranno successo”. “Forse i curdi” nel lungo periodo “potrebbero staccarsi” e dar vita a una nazione autonoma “ma non adesso, in futuro. E forse un futuro lontano”.

È quanto afferma ad AsiaNews il parlamentare cristiano Yonadam Kanna, leader dell'Assyrian Democratic Movement, membro della Commissione parlamentare sul Lavoro e gli affari sociali. Per i sunniti e gli sciiti, spiega il politico, il discorso è diverso e “non lo faranno”, in particolare dopo “gli attacchi della Russia e la possibili cooperazione fra Washington e Mosca” [al terzo round di colloqui, ndr] che “uniti” potrebbero mettere “la parola fine a questo conflitto”.

L’avanzata delle milizie dello Stato islamico (SI) in Siria e Iraq - dove controllano quasi metà del territorio, sebbene si tratti di aree in prevalenza desertiche fatta eccezione per Mosul, Anbar (Iraq) e Raqqa e Palmira (Siria) - ha subito una brusca frenata in concomitanza con l’inizio dei raid russi. Da fine settembre Mosca ha lanciato pesanti bombardamenti contro obiettivi dei miliziani in Siria, a sostegno del presidente Bashar al-Assad, provocando forti perdite fra i jihadisti. E anche sul versante irakeno cominciano a perdere colpi.

I raid russi e le operazioni della coalizione internazionale, spiega Yonadam Kanna, hanno permesso all’esercito irakeno, ai peshmerga, ai tribali e ai gruppi di lotta popolari di guadagnare terreno. “A Kirkuk - racconta - i curdi hanno liberato 12 villaggi, mentre i militari di Baghdad hanno circondato Anbar e Ramadi”. Tuttavia vi sono anche dei problemi, fra cui “il crollo del prezzo del petrolio e la mancanza di fondi”, che rendono critica la situazione con l’inverno alle porte.

“Per questo - avverte - serve l’attenzione della comunità internazionale, oltre che aiuti e più serietà nella lotta allo SI”. Il parlamentare cristiano definisce l’intervento russo “molto più efficace” nella lotta allo SI, rispetto a quanto “fatto sinora dalla coalizione internazionale”. Al contempo, avverte, è necessario che Mosca “non vada per contro proprio, ma si coordini con le altre forze sul terreno come gli Stati Uniti”.

E ancora, non deve sembrare che “si stia muovendo per difendere gli sciiti dai sunniti, così come l’America e l’Occidente non devono sembrare i difensori dei sunniti dagli sciiti”. Entrambi devono essere “uniti nella lotta al terrorismo” e “non devono sembrare difensori dei cristiani contro l’islam… questa è una lotta unita al terrorismo”.

Finora Turchia e Arabia Saudita hanno condizionato l’intervento americano in Iraq, che ha cambiato idea in corsa dopo aver capito che questi movimenti estremisti islamici si sono rivelati dei gruppi terroristi. “Tutto è cambiato - racconta Kanna - alcuni alleati di Europa e Stati Uniti hanno tradito, non hanno sostenuto i movimenti democratici di opposizione in Siria [e altrove] ma i terroristi, e questo è il risultato”.

Le soluzioni finora “non sono state ottimali, ora si cerca una strada comune fra Mosca e Washington e questo è positivo: se ciascuno dei due va per contro proprio è un pericolo per la pace, ma se lavorano in comune vi sono buone prospettive. Vi è un rischio concreto di penetrazione massiccia dell’estremismo in Europa, in Occidente, un problema globale di sicurezza che non riguarda solo l’Iraq, la Siria”.

In questo contesto si fa sempre più critica la situazione dei cristiani, molti dei quali hanno abbandonato il Paese o hanno trovato rifugio nel Kurdistan irakeno, per sfuggire alle violenze dello SI abbandonando in tutta fretta le loro case a Mosul e nella piana di Ninive. In poco più di un decennio la popolazione è dimezzata e anche il riconoscimento nella Costituzione della minoranza, della lingua aramaica, della quota riservata in Parlamento non sono bastati.

“Le discriminazioni - racconta il leader cristiano - sono un dato evidente, basti pensare alle possibilità di lavoro. Il 60% dei membri che un tempo formavano la comunità della capitale è fuggito, noi siamo in pericolo, il nostro patriarca [Mar Sako] e i vescovi fanno bene a denunciare, il nostro popolo deve essere protetto dalla comunità internazionale”.

Dopo duemila anni nella piana di Ninive non si sente il suono di una campana e non si celebra una messa domenicale. Le persone soffrono, il governo non interviene a fondo, la crisi economica acuisce i problemi e manca la fiducia nel futuro. “La sopravvivenza della comunità cristiana d’Iraq - sottolinea il parlamentare - è legata alle settimane, ai mesi che serviranno per cacciare l’Isis e riportarli a Mosul e nei loro villaggi, avviando un nuovo piano Marshall che permetta loro di ricostruire un’esistenza dignitosa.

Servono lavoro, infrastrutture, protezione internazionale e riconciliazione fra le diverse anime del Paese”. Infine, conclude Kanna, è necessario “risolvere il problema fra Erbil e Baghdad, delineando con chiarezza il controllo delle rispettive aree.

(DS)

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