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L’Isis avanza, ultima chance per salvare la Libia

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Due scadenze, entrambe imminenti, consentiranno di chiarire se siamo ancora in tempo per “salvare” la Libia dal baratro in cui è scivolata dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi, determinata dalla combinazione degli interessi mal calcolati di alcune monarchie sunnite del Golfo e di alcuni membri di Ue e Nato. di Gianandrea Gaiani 13-12-201 lanuovabq.it

A Roma si apre oggi la Conferenza internazionale sulla Libia voluta dai governi italiano e statunitense su cui è meglio non farsi troppe illusioni. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni si aspetta che si crei «un embrione di dialogo» tra le fazioni libiche contrapposte che sono quelle di Tobruk e Tripoli al cui interno sono presenti però correnti diverse e contrapposte.

«Serve un governo unitario in Libia per governare i flussi migratori, frenare l'avanzata del terrorismo e ridare alla Libia una chance di sviluppo», ha aggiunto Gentiloni anche se l’obiettivo del summit sembra essere quello di caldeggiare ancora una volta un ruolo guida dell’Italia in una futura e ipotetica missione internazionale di stabilizzazione che dovrebbe curare l’addestramento di forze libiche congiunte.

Matteo Renzi ha, infatti, ribadito la disponibilità dell'Italia a guidare una missione di assistenza e formazione a supporto del futuro governo libico e il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov ha assicurato il sostegno di Mosca a «qualsiasi sforzo» dell'Italia.

Roma vorrebbe mantenere il ruolo di «Paese di riferimento» per la Libia, ma difficilmente vi riuscirà dopo aver deluso tutti: non ha riconosciuto il governo islamista di Tripoli appoggiato da Turchia e Qatar che non parteciperà alla Conferenza dicendo di non essere neppure stato invitato, ma non ha fatto abbastanza per aiutare il governo laico (e legittimo) di Tobruk sostenuto da Egitto ed Emirati Arabi Uniti.

Più importante è invece l’appuntamento del 16 dicembre, data in cui i due governi rivali dovrebbero firmare l’accordo messo a punto a Tunisi la scorsa settimana, diverso da quello negoziato dall’Onu, per dare vita a un governo unitario.

Il condizionale è d’obbligo visti i precedenti, ma fonti ben informate riferiscono di un cauto ottimismo. «L'accordo politico verrà firmato il 16 dicembre», ha confermato Salah el-Makhzoum, vicepresidente del Parlamento di Tripoli. «Dopo lunghi sforzi annunciamo alla nostra gente che abbiamo deciso di andare oltre questo difficile periodo e chiedere a tutti di unirsi a noi», ha reso noto un rappresentante del Parlamento di Tobruk.

«Le parti libiche sono d'accordo che la Libia non può e non deve più aspettare l'arrivo della pace» ha detto Martin Kobler, inviato dell’Onu per la Libia e del resto a rinforzare le pressioni per un’intesa tra le fazioni rivali contribuisce soprattutto la rapida avanzata dello Stato Islamico che da Sirte ha raggiunto Agedabia e sta dilagando verso la regione petrolifera di Brega, ha stretto alleanza con i qaedisti di Ansar al-Sharia a Bengasi e ha preso Sabratha, in Tripolitania.

Su quest’ultimo fronte il raid di una colonna di 30 fuoristrada armati dello Stato Islamico che giovedì ha temporaneamente occupato la città per ottenere la liberazione di due o tre suoi miliziani catturati dal Fronte “Alba della Libia”. Un’operazione tesa a mostrare i muscoli anche se da tempo viene segnalato nella regione di Sabratha un campo d’addestramento utilizzato in particolare dai moltissimi volontari jihadisti tunisini.

Sabratha, oltre a essere un sito archeologico protetto dall’Unesco (che rischia di fare la fine della città siriana di Palmira o di tanti siti antichissimi iracheni) è a 70 chilometri da Tripoli, 30 dal confine tunisino e a pochissimi dalla stazione di pompaggio del gas libico in Italia di Melitha, il terminal del gasdotto South Stream che arriva in Sicilia.

Il rafforzamento dello Stato Islamico a Sirte, dove gira voce abbia trovato rifugio lo stesso Abu Bakr al-Baghdadi, è evidente anche sul fronte orientale. L'Isis si «prepara a lanciare un attacco contro i pozzi petroliferi nell'area a est di Agedabia, dove nei giorni scorsi i vecchi Mig dell’aeronautica di Tobruk hanno colpito depositi di armi dei jihadisti le cui fila sarebbero state rinforzate da decine di nuovi foreign fighters tunisini, yemeniti, palestinesi e da non meglio precisati Paesi africani tra i quali molte reduci dalla Siria e dalla guerra in Nigeria di Boko Haram.

Se dovesse saldarsi la già embrionale alleanza con i qaedisti di ansar al Sharia che combattono l’esercito di Tobruk a Bengasi, lo Stato Islamico potrebbe compiere un ulteriore salto di qualità. Del resto è del tutto evidente che le forze libiche, di Tobruk come di Tripoli, non sono in grado di affrontare da soli migliaia di miliziani jihadisti ben armati ed equipaggiati. Anzi, il rischio è che altre milizie in odore di islamismo estremo come quelle salafite di Tripoli possano aderire al movimento che appare oggi in ascesa in tutta la Libia e che finora non è mai stato attaccato dai membri della Coalizione che lo ha lasciato crescere indisturbato tra Derna, Sirte e Sabratha.

Nei giorni scorsi sono trapelate voci di voli di ricognizione francesi e americani su Sirte e il premier francese, Manuel Valls, ha evocato ieri la possibilità di un intervento armato francese contro lo Stato islamico in Libia. «Viviamo con questa minaccia terroristica, siamo in guerra, abbiamo un nemico, l'Isis, che dobbiamo combattere, schiacciare, in Iraq, Siria e domani senza dubbio anche in Libia».

Il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov ha invece escluso raid russi sullo Stato Islamico libico chiesti informalmente dal governo di Tobruk nei giorni scorsi. «Non abbiamo progettato raid in Libia, non c'è stata nessuna richiesta da parte del governo libico, anzi non c'è neanche un solo governo ecco perché con l'Italia stiamo lavorando per spronare la comunità internazionale sulla risoluzione della crisi».

In ogni caso, il problema militare del Califfato in Libia si porrà al più presto per tutti, Italia in testa, poiché consentire ai jihadisti di installarsi su ampi tratti della sarebbe una follia che pagheremmo tutti cara con la destabilizzazione del Mediterraneo e ampie minacce al traffico marittimo diretto in Italia, le cui coste sono a meno di 400 chilometri da Sirte e a 100 da Sabratha. In questa sfida la rinuncia ad «azioni muscolari», ostentata da Renzi sul fronte della Siria, potrebbe rivelarsi un tantino inadeguata a far fronte alla minaccia proveniente dalla Libia


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