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Libia : nella gara di Corano il primo premio è una
schiava
Lo Stato Islamico in Libia non solo si rafforza
allargando i territori sotto il suo controllo tra Sirte e Agedabia, ma trova
persino il tempo per dedicarsi alle attività culturali per ribadire il tipo
di società che punta ad instaurare.di Gianandrea Gaiani22-06-2015 http://www.lanuovabq.it
La notizia diffusa sabato dalle agenzie è di
un concorso di recitazione di versetti coranici
aperto a miliziani dell’Isis (almeno 3 mila secondo le ultime stime) e simpatizzanti
della Cirenaica che si cimenteranno in una gara in cui
dovranno dimostrare di aver studiato una selezione delle 114 sure del Corano
recitandole con maestria. Il bando è stato diffuso su internet in occasione del Ramadan,
il mese del digiuno islamico, con l’invito a iscriversi al concorso presso
gli imam di moschee che sostengono l’Isis elencate con precisione.
L’aspetto più interessante (per così dire) riguarda però i premi in
palio che per i primi tre classificati è rappresentato da una schiava.
Solo denaro invece per chi si posiziona tra il quarto e il decimo posto.
Il bando non specifica quali differenze vi siano tra la schiava riservata
al vincitore e le altre due che saranno assegnate a chi dimostrerà una
tale maestria nel recitare i versetti del Corano da meritarsi di salire
sul podio. Forse al primo classificato andrà in premio la schiava più
bella? Difficile a dirsi anche perché il concetto di bellezza è soggettivo.
Forse il vincitore potrà scegliere la preferita tra le tre donne messe
in palio?
Considerata la tendenza diffusa nel mondo islamico, probabilmente
la schiava destinata al vincitore sarà la più giovane (magari una bambina?)
mentre il secondo e terzo classificato si dovranno accontentare di schiave
più “vecchie” (forse già adolescenti?). Da dove vengano queste schiave
il bando non lo precisa. Potrebbero essere “prede belliche” catturate
nelle recenti battaglie in territorio libico oppure yazide o cristiane
catturate in Iraq e Siria e poi trasferite in Libia insieme alle centinaia
di combattenti dello Stato Islamico che nei mesi scorsi hanno raggiunto
la Cirenaica.
In aprile il quotidiano turco Hurryet aveva pubblicato le testimonianze
di alcune schiave yazide che avevano raccontato di essere state vendute
più volte, stuprate e torturate dai loro “padroni” prima di riuscire
a fuggire e raggiungere le linee curde nell’Iraq del nord. Dalia, 19
anni, raccontò di essere stata venduta per sette volte e di essere stata
violentata tutte le volte. Costretta a convertirsi all'Islam, è stata
trasferita insieme ad altre giovani yazide in una scuola di Tel Afar,
dove jihadisti arabi, turchi, tedeschi o ceceni andavano a sceglierle
e portarle con sé.
Il suo primo aguzzino era un turkmeno, che per cinque
mesi l'ha tenuta in casa, insieme alla moglie e ai figli, abusando di
lei. «Un giorno sono stata prelevata da un emiro dell'Is che si chiamava
Abu Mustafa, che mi ha consegnata come un regalo a un ceceno di nome
Aymen», ha raccontato. Aymen la prendeva per i capelli e le immergeva
la testa nella benzina. «Siete così sporche» , diceva prima di stuprarla,
«è così che vi puliamo».
Dalia è stata poi scambiata con un'altra
ragazza yazida, restituita al ceceno, venduta a un arabo di Mosul che
la «stuprava ogni notte», venduta a un medico di Tel Afar e infine a
un arabo di Kirkuk. «Mi rivelò che non mi aveva comprata per violentarmi»,
ha raccontato, «ma per liberarmi e portarmi nel Kurdistan».
La 20enne Leyla è stata rapita nel villaggio di Kocho il 15 agosto
scorso. Dopo mille peripezie è stata portata a Raqqa, la capitale dello
Stato Islamico in Siria e venduta insieme a un'altra ragazza a un uomo
che l'ha riportata in Iraq, a Husaybah. Rivenduta a un altro jihadista,
è stata portata nuovamente in Siria, ad Aleppo, dove ha subito violenze
per otto mesi. Poi ceduta a un egiziano che l'ha portata a Raqqa, dove
la stuprava tenendole un cappuccio sulla faccia. «Ho pensato più volte
di suicidarmi», ha raccontato, «ma poi ho desistito perché ho pensato
che la mia famiglia non avrebbe mai ritrovato il mio corpo».
Un giorno,
rimasta sola a casa, è riuscita a telefonare a uno zio, che tramite
un amico di Raqqa è riuscita a metterla in salvo e a portarla in Turchia.
Selma, di 26 anni, è stata fatta prigioniera mentre era incinta e insieme
al figlio di 4 anni. Ha partorito mentre era rinchiusa in un edifico
a Raqqa insieme a 500 altre donne yazide. Venduta insieme ai figli per
2.600 dollari, è stata portata ad Aleppo, quindi rivenduta per 4.000
dollari. Un giorno è riuscita a impossessarsi di un cellulare con il
quale ha chiamato il marito che, per liberarla, ha comprato lei e i
figli per 20.000 dollari.
Rocambolesca anche la storia di Bahar, appena 15enne, resa schiava
insieme alle cugine di 24 e 19 anni da un jihadista saudita. «Ci picchiava
ogni giorno e ci stuprava ogni notte» , ha raccontato al giornaleHurriyet.
«Sua moglie ci diceva che ci avrebbe voluto aiutare, ma non poteva».
Alla fine il saudita è partito per Kobane, a combattere contro i curdi,
e le ha consegnate, insieme a una quarta ragazza yazida, a un altro
jihadista.
La quarta ragazza è riuscita a contattare uno zio, che ha
pagato un uomo di Raqqa, dove si trovavano, perché le portasse in salvo,
oltre il confine con la Turchia. Migliaia di donne yazide e cristiane
restano però schiave in balìa dei loro aguzzini o destinate a venire
cedute ai miliziani dello Stato Islamico o messe in palio nei concorsi
indetti dal Califfato come quello in Cirenaica in cui l'assegnazione
dei "premi" è fissata per la festa dell’Id al-fitr, la fine del Ramadan
iniziato quattro giorni or sono.
È noto che per lo Stato islamico la schiavizzazione di donne non-musulmane
è una pratica diffusa, un fenomeno che nell’ottobre scorso il Califfato
ha definito legittimo in un lungo articolo pubblicato sulla rivista
Dabiq, uno dei suoi organi ufficiali. La legittimità del rapimento e
della riduzione in schiavitù sessuale delle donne degli "infedeli" è
infatti prevista dalla legge islamica, con un'interpretazione della
sharia che però è respinta dalla stragrande maggioranza del mondo musulmano.
Almeno ufficialmente perché non risultano al momento esserci state condanne
esplicite negli ambienti islamici alla pubblicazione del singolare bando
per il concorso di poesia dell’Isis libico. Negli ultimi giorni le milizie
del Califfato sono state cacciate da Derna dalla popolazione infuriata
mentre l'esercito libico (quello del governo laico di Tobruk) ha annunciato
di aver ripreso la zona di Ra's Al Hilal, circa 50 chilometri a ovest
della città.
La perdita di Derna non significa però che l’Isis sia stato
espulso da quella zona ma più facilmente che i miliziani si siano ritirati
sulle colline del Jebel el-Akdar che negli anni ’90 fu la culla del
jihadismo libico. L’Isis è comunque presente in diverse altre aree della
Cirenaica, controlla almeno 150 chilometri di costa intorno a Sirte
mentre a Bengasi le milizie qaediste di Ansar al-Sharia hanno giurato
fedeltà allo Stato Islamico.
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