di Chiara Santomiero
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Il Segretario di Stato Parolin chiede il rispetto
della legalità internazionale. Onu e Unione europea rilanciano
la mediazione per un governo di unità nazionale contro l’Isis
"Possa la comunità internazionale
trovare soluzioni pacifiche alla difficile situazione in
Libia”:
le parole di Papa Francesco a conclusione dell’udienza generale
in piazza s. Pietro del mercoledì delle
Ceneri dettano la linea della Santa Sede su come affrontare
la crisi libica.
L’invocazione del papa ribadisce quanto affermato
la sera precedente dal segretario di Stato,
cardinale Pietro Parolin, nel summit con
le autorità italiane che ha luogo tradizionalmente
all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede
in occasione dell’Anniversario dei Patti Lateranensi.
Durante l’incontro a porte chiuse il Segretario
di Stato ha avanzato la richiesta che in Libia “l'opzione
militare sia l'ultima ratio e comunque che avvenga
sotto l'egida delle Nazioni Unite”. Lo ha riferito
lo stesso Parolin ai giornalisti: “Abbiamo parlato
della Libia – ha detto uscendo da Palazzo Borromeo
-, dell'importanza di rilanciare l'iniziativa diplomatica,
e che qualsiasi intervento di tipo armato sia sempre fatto
secondo le norme della legalità internazionale, e
quindi che ci sia un'iniziativa dell'Onu... C'è una
minaccia, la situazione è grave ed esige una risposta
concorde della comunità internazionale,
esige una risposta rapida, la più rapida possibile,
dall'Onu” (Vatican Insider 18 febbraio).
Una
posizione che privilegi l’iniziativa diplomatica rispetto
all’intervento militare non rappresenta una novità per
la Santa Sede: si tratta, ha precisato il cardinale Parolin
al quotidiano Avvenire (19 febbraio), di quanto “avevo
già affermato nell’intervento all’Onu
del 30 settembre 2014”.
In
quell’occasione, il cardinale Parolin aveva sottolineato
che a fronte delle emergenze
innescate anche dal nuovo terrorismo
jihadista globalizzato, l’Onu deve recuperare
la fedeltà alla sua Carta costitutiva e
ai compiti di “prevenire la guerra, fermare gli aggressori,
proteggere le popolazioni e aiutare le vittime”,
respingendo
le “soluzioni unilaterali” a favore di quelle “fondate
sul diritto internazionale”.
L’osservanza dei criteri di adesione alle
Nazioni Unite non giustifica, secondo Parolin, né l’intervento
militare guidato dagli Stati Uniti in Siria e Iraq né può legittimare
un intervento simile in Libia: “i partecipanti
attivi e passivi di un tale sistema sono tutti gli Stati,
i quali si pongono sotto l'autorità del Consiglio
di Sicurezza e si impegnano a non intraprendere atti
di guerra senza l'approvazione di questo stesso Consiglio”.
E “poiché non esiste norma giuridica che giustifichi
azioni di polizia unilaterali oltre i propri confine”,
il segretario di Stato ha chiarito che tali azioni sono “di
competenza del Consiglio di Sicurezza”. Per di più,
le azioni con mandato Onu richiedono “il consenso
e la supervisione dello Stato nel quale viene esercitato
l'uso della forza”, se non vogliono trasformarsi
in ulteriori fattori di “instabilità regionale
o internazionale”. Per questo, a fronte delle nuove
emergenze innescate anche dal terrorismo globale occorrono “strategie
innovative” per riattivare “i meccanismi
utilizzati dalle Nazioni Unite” (Avvenire 19
febbraio).
La
consapevolezza, sottolineata
all’Onu dal cardinale
Parolin su come “certe guerre condotte senza
porsi il problema di come gestire la
fase post-bellica hanno aiutato a produrre
caos e destabilizzazione in Medio Oriente”,
non deve essere estranea alla decisione dell’Unione
europea di rilanciare la cooperazione
internazionale per una soluzione politica della crisi libica e
per contrastare l’avanzata del cosiddetto Stato islamico
(Is), riunendo intorno allo stesso tavolo di un vertice
sul terrorismo internazionale a Washington, Onu, Stati Uniti
ed Egitto. “La riunione di oggi al dipartimento di
Stato - ha dichiarato l’Alto rappresentante dell’Ue
per la politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini
- ha prodotto un risultato importante: da tutti è arrivato
un sostegno forte alla mediazione che
sta conducendo l’inviato speciale del
segretario generale dell’Onu, Bernardino León,
per costituire
un Governo di unità nazionale, che
la comunità internazionale è pronta a sostenere
nella lotta contro l’Is” (L’Osservatore
romano 21 febbraio).
Da
parte sua, l’inviato dell'Onu per la Libia Bernardino
Leon, ha dimostrato un cauto
ottimismo auspicando
che un accordo politico possa essere
raggiunto "presto" in
quanto, come ha riferito al Consiglio di Sicurezza,
le
divergenze tra le parti in Libia "non sono insormontabili".
Al Consiglio sono stati invitati a parlare Libia,
Egitto,
Algeria e Tunisia; mentre per l'Europa ha preso la
parola l'Italia. L'ambasciatore Sebastiano Cardi,
rappresentante
permanente dell'Italia all'Onu, è stato chiamato
a intervenire con un riconoscimento de facto del
ruolo italiano in questa delicata trattativa. "L'italia è pronta
ad un ruolo guida nella missione in Libia" ha
affermato Cardi (Huffington Post 19 febbraio).
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