Corso di Religione

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Mosul, la vita sotto la bandiera nera

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Mosul, un anno dopo la sua caduta nelle mani dell’Isis, appare come un gigantesco esperimento sociale: in quella città si sta costruendo uno Stato Islamico.di Stefano Magni11-06-2015  http://www.lanuovabq.it 

Mentre la Coalizione anti-Isis sta cercando ancora una strategia e Obama annuncia che ivierà altri 450 addestratori in Iraq, il potente gruppo jihadista lavora celermente per trasformare la società che controlla.

Se credevamo che i Talebani avessero creato, in Afghanistan, un totalitarismo basato sull’interpretazione più letterale possibile della legge coranica, lo Stato Islamico, a Mosul, ha raggiunto vette di “purezza” ancora più alte. Perché ha letteralmente cancellato ogni traccia di islam non conforme alla sua visione religiosa. Per non parlare delle altre religioni, che sono ormai un ricordo del passato, da quelle parti.



E’ molto rara e preziosa la documentazione di quel che sta avvenendo all’interno di quei confini blindati. Il giornalista tedesco Jurgen Todenhofer, l’inverno scorso, aveva pubblicato un primo documentario girato a Mosul. Si trattava di riprese effettuate con il consenso delle autorità jihadiste, che lo avevano addirittura invitato a documentare il loro nuovo regime. L’Isis, infatti, ha adottato la strategia della "trasparenza", non nasconde nulla, né i suoi orrori, né la vita quotidiana sotto il suo regime. Lunedì, però, è stata trasmessa dalla Bbc una serie di video girati dal giornalista Ghadi Sary con telecamera nascosta. In questi video gli abitanti di Mosul esprimono pareri anche molto critici sulla loro nuova/antica vita, soprattutto coloro che sono ormai lontani, fuggiti da casa loro, e fuori dal pericolo immediato.



Nei video, i cui estratti sono visibili anche sul sito dell’emittente britannica, vengono affrontati tutti gli aspetti della vita sotto la bandiera nera, a partire dalle donne, dalle minoranze religiose, fino all’educazione, al lavoro e all’esercito. La condizione della donna, come si può immaginare, è paragonabile a quella delle afgane sotto i talebani. Nessuna può uscire di casa se non accompagnata da un parente maschio. Nessuna può lavorare, studiare, guidare. In uno dei video, una donna viene rimproverata da un militante perché non porta i guanti: il velo deve essere integrale e coprire ogni centimetro di pelle. Una donna chiamata convenzionalmente "Hanaa" (tutti i nomi sono stati cambiati, per evitare rappresaglie sui familiari), dichiara di non essere uscita di casa per settimane, per paura dei conquistatori. Raccolto il coraggio a due mani per andare fuori casa, fino a un ristorante dove era cliente abituale assieme al marito, ha scoperto il volto per mangiare.

Ma è stato il proprietario del ristorante a implorare il marito (a una donna non poteva rivolgersi direttamente) di obbligarla di rimettersi il velo. La milizia dell’Isis, infatti, effettua ispezioni a sorpresa e una donna a volto scoperto comporta frustate anche per il proprietario del locale. Sia Hanaa che un'altra donna mostrata nel video, dicono che la regola del velo integrale è rispettata a tal punto che non è più possibile riconoscere le proprie figlie, la propria moglie, specie quando si perdono fra mille fantasmi neri. Le religioni all’infuori dell’islam, e solo l’islam approvato dall’Isis, sono state spazzate via. Tutti i cristiani sono stati scacciati, le loro case requisite. Il quartiere Arabi, a maggioranza cristiana, appare come una terra di nessuno.

Le case, quasi tutte svuotate, recano ancora la lettera “N” di Nazareno, con cui gli jihadisti marchiavano le abitazioni dei cristiani. Anche prima della conquista militare da parte dell’Isis, “Ero minacciata e maltrattata da estremisti sunniti” – dice alla Bbc “Mariam”, una ginecologa cristiana rifugiata a Erbil. Era conosciuta come una “avida lettrice” e una collezionista di libri. Anche solo per questo fatto, viveva già sotto minaccia costante, da parte di chi è convinto che le donne non debbano studiare. “Ho dovuto abbandonare casa mia, quando Mosul è caduta.

Sono fuggita portandomi dietro solo il mio corpo sano, ma la mia anima è rimasta là dove l’ho lasciata: a casa mia e fra i miei libri. Dopo essermi trasferita a Erbil, ho ricevuto pessime notizie: lo Stato Islamico aveva confiscato la mia casa e l’aveva segnata con la lettera N. Ho telefonato immediatamente ai miei amici rimasti a Mosul e li ho pregati di salvare almeno i miei libri. Troppo tardi: mi hanno richiamato dicendomi che la mia biblioteca era stata svuotata e sparsa per strada”.

Non solo i cristiani stanno subendo la cancellazione della loro identità. I musulmani sciiti hanno perso tutti i loro luoghi di culto: moschee e santuari della loro tradizione sono stati fatti saltare in aria sistematicamente. E anche le moschee sunnite non conformi, per esempio quelle che contengono tombe, memoriali e santuari, vengono rase al suolo, perché ritenute “luoghi di idolatria”. La scuola, riservata ai soli maschi, è diventata il principale veicolo di indottrinamento, fin dalla prima infanzia.

Ci sono divieti che ci appaiono assurdi, come quello sulle matite colorate e l’insegnamento è stato completamente cambiato. “Mahmoud” racconta del suo fratellino, di 12 anni, che torna a casa cantando gli inni dell’Isis e disegnando la bandiera nera del Califfato. E’ riuscito a toglierlo da scuola: “meglio avere un ignorante in famiglia, piuttosto che un indottrinato dall’Isis”. Anche per gli adulti va particolarmente male, perché gran parte dei lavori pre-Califfato sono ora considerati “peccato” e aboliti sui due piedi. “Ho perso il lavoro e sono stato costretto ad abbandonare gli studi – dice “Hisham” – come capita a chiunque altro, mi vengono negati tutti i diritti. Secondo l’Isis, tutto è peccato e così finisco per stare a casa sempre.

Anche la minima attività ricreativa, persino un semplice pic nic, è vietato a Mosul, col pretesto che è uno spreco di tempo e denaro”. L’economia ne risente: l’edilizia è ferma, la spazzatura non viene più raccolta, ci sono blackout frequenti, il carburante scarseggia (e l’Isis ha vietato di tagliare alberi per far legna) e il gas si compra a caro prezzo sul mercato nero. Quel che stupisce è come, in queste condizioni, la popolazione irachena non si sia ancora ribellata. In parte, ma solo in parte, lo si può spiegare col terrore che le milizie jihadiste incutono sulla popolazione. Ma in gran parte no: si tratta di un regime che viene evidentemente, incredibilmente, accettato dalla maggioranza araba musulmana sunnita. D’altro canto, le leggi che regolano l’Arabia Saudita, o il Qatar, non sono poi così diverse.

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IRAQ - ISLAM-Saywan Barzani: Mosul un anno dopo. Le colpe dell’occidentedi Bernardo Cervellera Roma (AsiaNews) 09/06/2015

Le “dimissioni” dell’occidente, il suo ritirarsi dal Medio oriente, il chiudere gli occhi davanti al traffico di armi e alle pretese egemoniche di piccoli Paesi della regione stanno insanguinando la Siria e l’Iraq e destabilizzano il mondo.


La barbarie dello Stato islamico ha fiato corto, ma l’instabilità rimane. I musulmani sunniti pagano il tributo più alto in vittime e sofferenze. A un anno dalla conquista d Mosul da parte dei jihadisti, le considerazioni di Saywan Barzani, ambasciatore irakeno in Italia.

Un anno fa il gruppo jihadista “Stato islamico dell’Iraq e del Levante”, auto-nominatosi poi “Stato islamico”, ha lanciato l’offensiva con cui in un solo giorno ha conquistato e occupato la città di Mosul e la Piana di Ninive. Proprio a Mosul, il loro capo Abu Bakr al-Baghdadi proclama un Califfato che abbraccia parti della Siria e dell’Iraq e mira ad occupare il Medio oriente e l’Africa mediterranea, fino a minacciare l’Europa e perfino l’America e il Vaticano.

Ciò che distingue lo Stato islamico (SI), perfino da al-Qaeda, è la profonda crudeltà che esso esercita verso i nemici e pratica con la sharia. I loro video disseminati su internet esaltano le atrocità più sanguinanti: decapitazioni, crocifissioni, esecuzioni in massa, schiavitù sessuale, educazione alla violenza per i più piccoli. Dopo la fuga di 130mila cristiani e di altri 400mila fra yazidi e sciiti, una coalizione imbastita dagli Stati Uniti cerca di contrastare l’espansione dello SI. Ma i risultati sono mediocri. Anche la liberazione di Mosul “programmata” in aprile, poi in maggio, sembra non prendere forza.

A un anno da quella tragedia che ha segnato la popolazione irakena e diviso il Paese, AsiaNews ha chiesto l’opinione di Saywan Barzani, ambasciatore irakeno presso l’Italia. Per Barzani – nipote di Massoud, governatore del Kurdistan – gli elementi religiosi del conflitto sono secondari: i miliziani dello SI sono solo dei criminali “oscurantisti e barbari”. Ciò che rende difficile trovare una soluzione per l’Iraq e il Medio oriente è il defilarsi, “le dimissioni” della comunità occidentale e internazionale di fronte a una minaccia terrorista che pesa sul mondo. E questo, dopo aver gonfiato e armato per anni l’Isis in funzione anti-Assad in Siria.

Ecco l’intervista che ci ha rilasciato.

Un anno fa Mosul è stata presa dallo Stato islamico. E la sua liberazione è ancora lontana.

Mosul è ancora nelle mani di questa orda di barbari, un gruppo fra i più odiosi della storia… Si sono avute delle perdite di vite umane, ma anche di dignità. Hanno distrutto persone, ma anche siti archeologici. Mosul ha vissuto tutto questo: una tragedia orribile. E’ la prima volta in centinaia di anni, che barbari come questi invadono la regione.

La ragione di tutto ciò è la morte del sostegno internazionale; l’occidente ha chiuso gli occhi su questa ideologia distruttrice che viene definita “islamica”: ha chiuso gli occhi al sostegno finanziario, politico, in armi di questo gruppo oscurantista ignorante e crudele. L’Iraq è vittima di questa invasione e non ce la fa ad affrontarlo da solo: la guerra è una guerra internazionale, di tutta l’umanità contro l’oscurantismo.

Quello che è in nostro potere è prepararci a riprendere la città di Mosul. Finora abbiamo ripreso non poche città e zone che erano prima sotto lo Stato islamico [SI, o Daesh, secondo l’acronimo in arabo – ndr]. Ma abbiamo bisogno del sostegno internazionale per liberare Mosul e la regione intorno di Anbar.

Perché la comunità internazionale è così timida nell’appoggiare voi contro lo SI?

E’ una storia lunga. Si va indietro fino all’origine e la formazione di questo gruppo criminale che si fregia di una vetrina religiosa per propagarsi. L’occidente – e soprattutto gli Stati Uniti, che sono una superpotenza – non dovrebbe permettere a questi gruppi di giocare a fare i grandi ed avere un’influenza esagerata. Vi sono Paesi grandi e piccoli – che non nominiamo – che sostengono questi gruppi e che cercano di avere un’influenza nella regione, come se fossero delle grandi potenze, ma hanno come strategie solo meschine concorrenze, invidie, gelosie… Tutto questo ha condotto alla guerra in Iraq e in Siria e forse anche in altri Paesi.

Com’è la vita quotidiana a Mosul?

Abbiamo contatti e testimonianze. La vita passa con la poca elettricità e acqua che il governo del Kurdistan distribuisce alla popolazione di Mosul: non si può punire la popolazione a causa dei loro conquistatori. Dal punto di vista economico, vi è un certo aiuto sempre dal governo irakeno verso i circa 2,5 milioni di civili che vivono sotto lo Stato islamico. La situazione è estremamente difficile. Ormai è evidente che Daesh non è capace di produrre nulla, non vi sono industrie, o servizi; non arrivano a produrre niente. Se vogliono ritornare alla vita di 1000 anni fa, è chiaro che non possono rispondere ai bisogni attuali della popolazione, come per uno Stato moderno e amministrato.

E’ un movimento passeggero di contestazione, di protesta, sostenuto dai Paesi vicini, ma non credo che essi possano continuare a governare perché non hanno nulla. Essi dipendono interamente dall’occidente anche per le armi che utilizzano: non producono nemmeno un coltello. Tutto viene dai Paesi stranieri. Al di là di una piccola produzione petrolifera in Siria e in Iraq, non hanno nient’altro. Si sostengono vendendo donne, petrolio, applicando tasse sulla popolazione, e vendendo i reperti archeologici. Vendono statue o fregi antichi, dato che la Mesopotamia è ricca di siti archeologici e musei. Ancora qualche mese o qualche anno, Daesh è finita perché non può continuare in questo modo, senza rispondere ai bisogni della popolazione, dominandola con una stile oscurantista e violento, costringendola ad obbedire, a indossare il velo, ad andar in moschea con la forza. Ma non avendo da scambiare nulla col mondo esterno, sono condannati all’auto-soffocamento. Resistono ancora perché si danno al contrabbando o alla criminalità organizzata.
 
In Italia si parla molto dei cristiani dell’Iraq, ma fra vittime di Daesh non vi sono soltanto i cristiani...

Se parliamo di vittime nel senso di uccisi, vi sono molti più uccisi fra i musulmani. Se parliamo di persone che sono fuggite, allora sì: i cristiani sono fra i più colpiti. Ormai nella zona di Mosul non vi è un solo cristiano, o yazida, o shaba, o sciita.

La differenza fra un curdo e un cristiano è che il curdo viene ucciso subito e la sua donna viene venduta. I cristiani sono costretti a scegliere fra diverse possibilità: o convertirsi all’islam, o pagare la tassa dei protetti, o fuggire, altrimenti si viene uccisi.

Per l’ideologia dello SI, i cristiani potrebbero vivere sotto di loro come protetti, purché paghino la tassa. Ma nessun cristiano ha accettato questo. Tutti sono fuggiti in Kurdistan, dove riescono a vivere in sicurezza. Facendoli fuggire, lo SI ha preso i loro beni, le loro case, la loro terra. In compenso noi curdi abbiamo ancora 3mila donne scomparse, vendute sul mercato, e finora ne abbiamo recuperate pochissime. Lo SI ha ucciso migliaia di curdi e di altre persone. Non parliamo poi degli yazidi, uccisi sul monte Sanjar. L’ideologia dello SI vuole l’uccisione dei curdi, degli yazidi, degli sciiti, dei musulmani che non sono d’accordo con loro, e poi vengono i cristiani.

I problemi attuali del Medio oriente vengono inquadrati all’interno di un conflitto fra sunniti e sciiti, di scontro egemonico fra Arabia saudita e Iran… Ma tutte queste interpretazioni rendono l’occidente sempre molto lento nell’agire. Qual è il suo consiglio alla comunità internazionale?

Non penso che nel nostro Paese, l’origine della divisione e della guerra sia un motivo religioso.  In Iraq ci sono almeno 17 gruppi religiosi differenti. Il problema in Medio oriente non è perché vi sono sunniti o sciiti. La questione è che vi è una guerra di interessi, una guerra fra Paesi piccoli o più grandi e allo stesso tempo la scomparsa, le dimissioni dell’occidente. Fino a 30 anni fa vi erano due blocchi guidati dalle superpotenze, quello socialista e quello del mondo libero. Ogni Paese del mondo arabo sceglieva di schierarsi con uno o con l’altro blocco. Oggi vi è un mondo multipolare. E così ogni gruppo, ogni piccolo Paese si sente in diritto di intervenire con i soldi che ha, i media che finanzia, le ideologie che propaga. In ogni Paese – vediamo ad esempio la Libia – vi sono decine di gruppi: ognuno di essi è finanziato, sostenuto da qualche Paese attorno e si battono fra loro.

C’è bisogno di mettere ordine, che qualcuno come l’occidente, gli Stati Uniti in quanto superpotenza, o il Consiglio di sicurezza dell’Onu intervenga e costringa questi Paesi a rispettare le regole e la sicurezza internazionali. Non si può chiudere gli occhi sui miliardi di dollari che si spendono per le armi, sulle televisioni che ogni giorno spingono all’odio e alla guerra. E va detto che questo non è un conflitto religioso: sono le popolazioni a maggioranza musulmana che stanno pagando in più pesante tributo per l’instabilità e la distruzione. Almeno il 90% delle vittime sono sunnite e non perché ci sono gli sciiti, ma perché questa guerra incendia Paesi che hanno maggioranza sunnita. Questa guerra si srotola ormai senza alcuna strategia, fine o ambizione: uccidere è diventato una cosa normale. E’ ormai impossibile guardare i telegiornali in questi Paesi, così pieni di crudeltà sanguinose: corpi dilaniati, teste mozzate, esecuzioni di massa.

Questo è un pericolo per tutta l’umanità. Tutta una regione di 500milioni di abitanti è caduta in questo incubo a causa del disimpegno del mondo libero. Si è lasciato che un pugno di uomini portasse alla distruzione di questa regione e alla destabilizzazione del mondo. Come sapete, almeno 50mila rifugiati sono arrivati fino ad ora in Italia. Ma sulle coste del Mediterraneo ne arriveranno ancora di più se non si regolano questi problemi. E non si risolve nulla se non vi sono regole, principi internazionali da rispettare in Medio oriente. Senza di ciò la regione è abbandonata all’anarchia, dove ciascuno può fare quello che vuole, uccidere chi vuole. La cosa più intelligente per l’occidente è di non lasciare che questi piccoli attori facciano quello che vogliono per i loro bassi motivi economici. Occorre mettere fine al protagonismo di questi piccoli Paesi o allo SI, o ad altre organizzazioni.


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