Corso di Religione



L'educazione religiosa
Il senso religioso
         


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Lo sviluppo del senso religioso nell'essere umano (Giacomo Dacquino- psicologo- in Credere e amare)

«...Tempo fa, durante un'intervista televisiva, un giornalista mi domandò a bruciapelo: «Sul divano dello psicoanalista s'incontra Dio?». Ho analizzato credenti di varie confessioni religiose, ho avuto in cura atei nevrotici e atei maturi, ma non ho mai incontrato Dio, né la Madonna e nemmeno il diavolo. Però ho scoperto qualcos'altro.
In tutti i miei pazienti ho rilevato una caratteristica psicologica costante: la relìgiosità, un valore della personalità, un fenomeno naturale che si struttura e si sviluppa nel rapporto figlio-genitori e che si manifesta nella condotta religiosa. La religiosità è presente in ogni individuo, sano o malato. Anche durante la terapia psicoanalitica, affiora in ogni paziente una dimensione religiosa, pur se questi la ignora o tenta di negarla.

Emerge da molti segni: dal modo di giacere sul lettino a «mani giunte», dai lapsus, dai contenuti latenti dei sogni ecc. Ho definito la religiosità come un fenomeno naturale, anche se si accompagna alla disponibilità al sovrumano o al soprannaturale; può dunque corrispondere al rapporto con il trascendente, oggettivarsi o meno, agganciarsi o no a una religione definita, ma può anche essere indipendente da un credo specifico.
Non bisogna infatti identificare la religiosità con l'affiliazione a un gruppo religioso, poiché l'adesione istituzionale e cultuale è la conseguenza di interessi e di preferenze individuali. E' necessario distinguere tra «religiosità» e «religione», due realtà da non confondere, due valori che a volte concordano, altre sono antitetici. Se religione è anche religiosità, in quanto ne è l'oggetto, non è vero il contrario, come è riscontrabile ad esempio nell'ateo.

  La religiosità e la religione sono nate con l'uomo che, con la sua intelligenza e le sue emozioni, non ha soltanto cercato di risolvere i problemi pratici della vita, ma anche d'interessarsi ai valori spirituali, metafisici, ponendosi al di sopra della dimensione biologica e culturale.
Lo sviluppo religioso segue le tappe della maturazione affettiva, sociale, morale, intellettuale della persona.

Qualche cosa dipende dalla natura stessa dello sviluppo psicologico, ma molto nello sviluppo religioso più che altrove, perché è tutt'altro che uno sviluppo automatico, che viene da sé, esso dipende dall'educazione ricevuta che il bambino raggiunga e superi, senza restarvi fissato, le tappe dello sviluppo e dello sviluppo religioso in particolare; dipende dall'aiuto che riceve e dal tipo di infIusso che viene esercitato su di lui.
Il senso religioso nel bambino( "Religiosità infantile ed esperienza familiare" di Remo Vanzetta. Relazione presentata al Corso di aggiornamento per mamme SOS dei Villaggi italiani )

" Il bambino non è un adulto e non è un adulto in miniatura; ma nel bambino è nascosto l'adulto, è destinato a divenire adulto.

La religiosità del bambino ha caratteristiche sue proprie, ma che sono destinate a scomparire o a trasformarsi mano a mano che la persona cresce, per assumere poco a poco le caratteristiche dell'età adulta. Il bambino è religioso a modo suo: si fa un'idea di Dio, ha un rapporto con Dio secondo il suo modo di intendere e di sentire: è appunto infantile; non per questo da disprezzare, come non è da disprezzare un disegno infantile.
Però il bambino va aiutato a crescere: talvolta si corre il rischio di fissarlo nella fase infantile, magari perché è bello che creda ancora a babbo natale, o è comodo che stia buono.

Con il risultato che una volta cresciuto la sua religiosità resti ancora infantile o che la fede venga buttata alle ortiche, perché “cosa da bambini”.
Dopo il sorgere e il manifestarsi della religiosità, nei suoi collegamenti con le strutture e le figure familiari c'è uno sviluppo della religiosità nell'età evolutiva che si può individuare gradualmente nelle diverse tappe dell'età.
Prima dei tre anni i comportamenti “religiosi” sono di tipo solamente imitativo. Verso i tre-quattro anni in certi comportamenti, per esempio nella preghiera, c'è un certo stupore, sempre che il bambino prenda coscienza che sta facendo qualche cosa di diverso dalle attività usuali.
Tra i tre e i cinque anni sembra che Dio sia percepito più chiaramente se presentato come fanciullo, come Gesù Bambino, che non come adulto: la figura del Gesù-adulto non evoca nulla. Il fanciullo divino è un essere come i bambini stessi. Tant'è vero che la bambina se lo rappresenta come bambina; che i bambini lo rappresentano sempre con i genitori e con la mamma.

Il bambino ascolta volentieri storie riguardanti “Dio”: fa parte del suo mondo favoloso-magico, mondo meraviglioso e terrificante insieme, mondo verso cui si volge attratto dal suo fascino e verso cui prova paura. In questa età Dio è piuttosto nascosto dietro !'immagine dei genitori: da una parte il fanciullo maternalizza e paternalizza Dio, dall'altra edifica i genitori.

Intuisce qualcosa di grande e di sacro nel mondo dei rapporti con i suoi genitori. La religiosità del fanciullo fino a questa età è quindi di carattere imitativo (si fa quello che fa l'ambiente familiare, la preghiera è ripetizione giocosa), di carattere favoloso-magico ed egocentrico, per cui non ci si deve illuderei su una partecipazione interiore o su una vera conoscenza di Dio.
Tra i cinque e i sette anni Dio viene distinto dai genitori: si scopre la non-onnipotenza e la non-onniscienza dei genitori. È un delicato momento di transizione: dal riconoscimento, da parte dei genitori, della propria incapacità o debolezza. Proprio da questa ammissione si arriva, a poco a poco, all'affermazione del Totalmente Altro, del Totalmente Diverso, di Colui che è Totalmente Buono, di Colui che sa perdonare sempre, che sa amare sia i genitori sia il bambino.

In questa età il fanciullo si fa un'immagine di Dio come creatore e padrone di tutto, come potere di bene in lotta contro il demonio, come demiurgo che muove tutte le cose, che punisce e protegge.

Verso gli otto-dieci anni si attribuiscono a Dio qualità obiettive quali la grandezza, l'onniscienza, l'onnipotenza, l'onnipresenza, la spiritualità. Emerge una figura di Dio simile a quella del Dio dei filosofi. Si attribuiscono a Dio qualità morali soggettive quali la bontà e la giustizia, qualità affettive come la forza. e la bellezza.

Verso gli undici-docici anni si situa la fase di personalizzazione : Dio è Signore, Dio è Padre, non più un Dio per se stesso , ma Dio per gli uomini , in rapporto con gli uomini. Tra i quattordicisedici anni, se tutto va bene, si entra nella fase di interiorizzazione e di personalizzazione: Dio si mette in rapporto con sé. A differenza del ragazzo, nel quale sembrano più accentuati i sensi di colpa e la paura e quindi si rivolge a Dio per essere liberato e salvato, la ragazza imposta il suo rapporto con Dio in modo più intimistico e confidenziale.

L'educazione religiosa familiare Da quanto si è detto è chiaro che l'educazione religiosa deve tenere conto

- che la fede in Dio si appoggia su meccanismi psicologici molto umani, molto profondi e molto primitivi;
-che la religiosità e il suo divenire è molto legata alle esperienze familiari; -che il confine tra il psicologico e il religioso è molto incerto, specialmente nell'infanzia;
- che molti comportamenti sono misti: hanno valenze, aspetti e motivazioni insieme psicologiche e religiose anche negli adulti, e quindi bisogna trovare molta maturità per trovare una fede “pura”, liberata dalle sue radici e motivazioni umane;
- che molteplici sono nella persona i condizionamenti reciproci tra psicologia e religiosità.

Proprio per le ragioni dette il luogo educativo più importante per il futuro religioso del bambino è la famiglia. Del resto tutte le ricerche sono d'accordo nell'affermare che la fede dei padri tende a continuarsi nei figli e ciò malgrado le apparenze in contrario, le contestazioni dei figli e le lamentazioni dei genitori.

Come influisce la famiglia sulla religiosità dei bambini? Come avviene l'educazione religiosa in famiglia? La famiglia agisce a tre livelli:

1. livello affettivo-simbolico: il Dio del bambino è il papà, è la mamma; il bambino si farà un'idea di Dio ad immagine e_ somiglianza del proprio padre e della propria madre ; il rapporto che si instaurerà con Dio sarà modellato sul rapporto con i genitori.

E così nascerà l'idea del Dio-buono, del Dio-padre. del Dio-madre, del Dio-giudice, del Dio-carabiniere ecc., e il rapporto sarà corrispondente a tale idea: di tipo possessivo, di tipo paura, di tipo dipendenza, di tipo capriccio, di tipo amore, ecc.

Tuttavia con il crescere del senso critico, con l'esperienza dei limiti paterni e materni, con un'appropriata educazione, il bambino potrà staccarsi dal Dio-genitore e avvicinarsi al vero Dio;

2. a livello di imitazione (fare come) e di identificazione (diventare come, essere come): il bambino tende a fare e ad essere come fanno e come sono i genitori. C'è una specie di generazione spirituale, psicologica, e così il bambino tende ad assumere gli atteggiamenti e i comportamenti religiosi o non religiosi dei genitori;

3. a livello di “apprendimento” e di obbedienza: il bambino impara, compie atti quando i genitori insegnano quando gli fanno compiere determinate azioni, ad esempio recita preghiere quando gliele fanno dire. Talvolta lo fa perché convinto (ma non è possibile fino ad una certa età); talvolta o forse spesso accetta ciò che gli si dice o gli si fa fare per bisogno di affetto, di sicurezza, di protezione o per paura. Questo terzo modo può essere problematico per la religiosità del bambino: anzitutto perché è sottoposto al pericolo del ricatto affettivo o dell'imposizione e allora la religiosità potrà essere dominata dalla paura o sarà una veste che si butta via alla prima occasione. E poi perché talvolta c'è la contraddizione nei genitori stessi: dicono e non fanno.

Ma alla fin fine questo terzo modo rende anche meno, perché in qualunque educazione vale più quel che si è, che quel che si fa o si dice: per la semplice ragione che ciò che “si è” influisce sempre, mentre ciò che “si dice” o “si fa” intenzionalmente è sempre limitato e parziale.

Due fatti

1. il ragazzino che rifiuta di invocare Dio con il 'Padre nostro'. cioè di chiamare Dio con il nome di 'padre', perché suo padre era tutt'altro che padre;

2. la signora separata che non capisce l'amore di Dio per l'uomo, con la motivazione: "guardi noi!". L'esperienza del fallimento dell'amore è ancora recente. Questi due esempi la dicono lunga sul legame fede ed esperienza familiare e affettiva.

Essere o insegnare?
L'importanza dell'“essere” rispetto all'“insegnare" spiega pere e non ci può essere neutralità nell'educazione religiosa: l'ateo genererà l'ateo e il religioso il religioso e l'indifferente l'indifferente, come dimostrano le ricerche, qualsiasi cosa facciano o non facciano, dicano o non dicano al terzo livello. Quello che vale infatti è il secondo livello e ancor più il primo: è a questi livelli che vengono gettate le basi e le strutture della religiosità, come del resto quelle del rapporto sociale, come della responsabilità morale.
È a questi livelli soprattutto che si situa il compito specifico dei genitori anche dei genitori per procura -nell'educazione religiosa: il terzo livello può anche essere lasciato delegato “a quelli che sanno”, ai competenti; ma il primo ed il secondo sono insostituibili.

Da parte dei genitori la prima educazione religiosa consiste nell'essere il più pienamente possibile padre e madre; nel “mostrare” Dio e il suo amore. Questa potrebbe allora essere la conclusione:

non preoccuparsi tanto di dire o di fare, ma di essere: di sviluppare noi stessi educatori un buon rapporto con Dio; il resto verrà da sé.

E una raccomandazione: mai mettere paure o sensi di colpa, tanto meno agganciandoli a Dio. "
Formazione ed evoluzione del senso religioso( Giacomo Dacquino in : Credere e amare )

La formazione della personalità nel bambino inizia fin dalla nascita. Le prime esperienze psicoaffettive nella famiglia lasciano tracce indelebili che condizionano poi i comportamenti adulti, anche quelli religiosi. kidSulla genesi della religiosità nella prima infanzia le posizioni degli studiosi sono diverse. Alcuni sostengono che nel bambino è innata oppure la considerano come una risposta derivante dalle sue esigenze psicologiche; altri accettano la tesi che il «bisogno religioso» dipenda dallo «stimolo religioso» ambientale.

Preferisco invece pensare che la religiosità primaria scaturisca da una «disponibilità religiosa aspecifica» d'origine inconscia e quindi intrinseca allo psichismo umano, ma che si strutturi precocemente fin dalla prima infanzia secondo i modelli identificativi ambientali, soprattutto di entrambi i genitori che esercitano funzioni specifiche e complementari.

L'evoluzione della religiosità, quale disposizione alla trascendenza, si colloca infatti in un processo psicologico durante il quale si evidenziano, partendo da una disponibilità religiosa di origine inconscia, le successive differenziazioni degli atteggiamenti e delle condotte religiose. Nella relazione primaria, dipendente da una madre gratificante che lo accoglie e lo cura teneramente, il bambino intuisce sia pure in modo ancora indistinto il senso della fiducia, della soddisfazione, dell'amore che condizioneranno in modo positivo la sua futura apertura affettiva e religiosa.

Al contrario, in un rapporto madre-figlio negativo, il bambino accumula valenze aggressive, diffidenza, refrattarietà anche nella strutturazione della religiosità. Il ruolo paterno è altrettanto importante nella formazione affettiva e religiosa del bambino; è il fattore promozionale nel processo di separazione-individuazione, che contribuisce ad allentare il legame simbiotico con la madre e a rafforzare la rappresentazione di un protettore forte, proiezione futura di un padre divino.
Quando il padre terreno è latitante negli affetti e nelle cure filiali, il bambino è condizionato negativamente non soltanto nella sua evoluzione psicoaffettiva, ma anche nel divenire della sua religiosità.Tuttavia, pur riconoscendo che la precoce predisposizione infantile allo sviluppo religioso che si forma nell'esperienza parentale, e pur attribuendo a quest'ultima l'importanza che riveste nel suo ruolo, non si può certo affermare che la religiosità del bambino derivi esclusivamente dal sentimento filiale.

Questi ne è condizionato, più o meno felicemente, secondo l'impronta positiva o negativa della relazione con i genitori.

Nell'infanzia la condotta del bambino è infatti imitativa e consiste soprattutto nell'adeguarsi a norme e atteggiamenti proposti dagli adulti.

Il suo comportamento è perciò di solito la conseguenza del carattere religioso dell'ambiente familiare.
La religiosità infantile presenta tre peculiarità fondamentali:

1. l'antropomorfismo (visione umana di Dio, che il bambino immagina proiettando su Dio le caratteristiche dei genitori; vi contribuiscono l'educazione familiare e l'iconografia religiosa, cioè immagini, statue ecc.);

2. il magismo (tendenza a impossessarsi di forze superiori, mediante riti, al fine di dominare e governare la realtà a proprio vantaggio);

3. l'animismo (tendenza spontanea, presente ancor oggi nei popoli primitivi, ad attribuire vita e intenzioni agli avvenimenti esterni e alle cose inanimate che ci circondano, dalle quali si può essere puniti o protetti).

Durante la fanciullezza, il ragazzo passa da un pensiero di tipo intuitivo a uno di tipo logico. Acquisisce maggiori facoltà di introspezione, capacità di differenziare, di comparare, di comprendere le relazioni causali, distaccandosi poco per volta dalla propria orbita egocentrica, riuscendo a intravedere la diversità che esiste tra Dio e le proprie rappresentazioni, tra Dio e i genitori.

E' la fase in cui nella vita del ragazzo entrano nuove realtà e nuove dimensioni sociali, e tra queste l'istituzione religiosa e le «persone di Chiesa»,che tuttavia egli tende ancora a identificare con le figure parentali.

Soltanto nell'adolescenza l'esperienza sociale travalica veramente il nucleo familiare per cercare al di fuori di esso i punti di riferimento e di confronto; è allora che i modelli culturali esterni giocano un ruolo determinante anche nella condotta religiosa.

L'adolescente si rende progressivamente autonomo per conquistarsi una propria coscienza morale e razionale. Respinge quanto aveva precedentemente accettato e imitato passivamente e riconosce soltanto ciò che acquisisce attraverso la propria convinzione; tende di conseguenza a elaborare una religiosità personale e individuale, in funzione delle proprie problematiche e in armonia con le proprie motivazioni.

Questa evoluzione non avviene serenamente. L' aumento delle tensioni sessuali e aggressive per motivi biologici e inconsci, l'accresciuta capacità conscia di logica e di critica, l'apertura culturale, la tendenza alla spiegazione razionale anche delle verità trascendenti, provocano nella maggior parte degli adolescenti una crisi il cui effetto è una fede oscillante tra sicurezze e incertezze, tra fiducia e incredulità, tra pratiche religiose e indifferenza.

Il risultato può sfociare ìn posizioni dìverse: 

- l'adolescente può giungere a una nuova religiosità più integrata e personale 
- oppure all'accettazione passiva e conformista della religione tradizionale 
- o ancora all'indifferenza, all'abbandono, all'agnosticismo, all'ateismo, a causa della perdita delle motivazioni corrispondenti. 

Tuttavia è opportuno ricordare che è il rapporto con la religione a essere messo in discussione e non la religiosità, che continua a essere presente nel profondo nonostante i problemi della superficie. Negli anni della giovinezza poi le posizioni religiose si strutturano in modo vario e differenziato, in rapporto all'esito della crisi religiosa adolescenziale. Vi sono gli «indífferenti», privi di autentiche motivazioni, in balia ancora di un forte individualismo egocentrico; hanno difficoltà a stabilire la propria identità, a trovare un posto nella vita e un senso al proprio destino.

Si tratta per lo più di casi d'immaturità psicoaffettiva. Vi sono i giovani che si dichiarano «atei» i quali, anche se spesso sono impegnati nella realizzazione di valori umani positivi, escludono ogni trascendenza e di conseguenza ogni appartenenza religiosa. Causa importante del loro ateismo è sovente una mancata evoluzione della religiosità per cause interne (Super-io ipertrofico) o esterne (delusione derivante dall'ambienteíeligioso, influenza subita da gruppi o persone antireligiosi o areligiosi ecc.).
I giovani «credenti» infine sono coloro che trovano nell'appartenenza a una Chiesa, non per tradizione né per costrizione ambientale, le risposte all'esigenza di un significato esistenziale e al bisogno di dare un senso al proprio progetto di vita. Molti di essi assumono spesso nei confronti delle istituzioni, anche religiose, un atteggiamento critico in nome di ideali quali la libertà, la giustizia, l'eguaglianza. Auspicano una Chiesa che si ponga non come centro di potere politico-economico, bensì più vicina alle esigenze terrene e sociali dell'uomo. La maturita' del sentimento religioso.

guru
Quando scrivo di religiosità matura mi riferisco a una religiosità laica, non basata su valori legati a una confessione specifica, ma valutata sulla base di caratteristiche essenzialmente psicologiche, sebbene disponibile a ogni esperienza cultuale. Essa è fondata su convinzioni personali, è coerente tra età anagrafica ed età mentale in un equilibrio dinamico, senza arresti, fissazioni o regressioni; è esente da meccanismi infantili di reazione e di difesa, e si sviluppa in stretto rapporto con l'esperienza individuale e socioculturale,è quindi il risultato della storia vissuta sotto l'influsso dell'ambiente familiare, più o meno evoluta secondo i successivi modelli di riferimento.
Poiché la religiosità è sempre condizionata dalle problematiche psicologiche, presuppone necessariamente la maturità dell'individuo.

Non costituisce infatti un settore separato di comportamento, ma è integrata nella struttura globale dello psichismo
Un adulto maturo è capace di un continuo progresso, sempre alla ricerca di nuove forme di autorealizzazione. Sa applicare il precetto dell'amore: «Amerai il prossimo tuo come te stesso», realizza cioè una serena integrazione in se stesso che è la base per una disponibilità e un impegno autentici anche verso la società. In un certo senso si può affermare che la sua condotta corrisponde alla «carità cristiana» del cattolico.

Ma religíosità matura significa anche qualcos'altro; è caratterizzata dal fatto che non si ferma entro i propri confini, che va al di là del sensibile, del percettibile. Significa disponibilità al soprannaturale, all'assoluto, conditio sine qua non per diventare credente, ma può essere e presente anche nell'adulto ateo, religioso benché senza fede, a patto che il suo ateismo non abbia motivazioni nevrotiche.
Si parla di maturità religiosa come frutto di una faticosa evoluzione spirituale.

Come quella psichica, non si acquisisce in tempi rapidi ma è un processo di crescita continua su cui influiscono l'esperienza, la capacità di ragionare, l'autostima, la cultura ecc.
Per questo l'individuo può elaborare nuove integrazioni e nuove strutturazioni religiose, anche se a rischio di travagli dolorosi. Tali crisi sono segni positivi quando permettono di rafforzare la fede con il buon senso di chi non cerca verità assolute (perché sa di non trovarle) e di chi accetta di vivere in compagnia dei propri dubbi.
L'uomo ha piu' bisogno del divino di quanto ne abbia coscienza. Il suo vero dramma non è " la morte di Dio" ma la difficoltà di conciliare la propria religiosità con la religione. Tutti viviamo di credenze, perché si può aver fede in senso diverso da quello teologico. Anche l'ateo a suo modo crede. Infatti si può essere atei e compiere atti di fede, come innamorarsi di un partner, fidarsi degli altri, sacrificarsi per una causa sociale o scientifica.L'educazione religiosa ricevuta durante l'età evolutiva lascia sempre tracce profonde . Il condizionamento dell'ambiente gioca infatti un ruolo fondamentale nel comportamento religioso degli individui, soprattutto quello assimilato prima in famiglia, poi a scuola e nella società. Certe relazioni parentali favoriscono la credenza religiosa, altre l'accentuano o la rendono quasi impossibile.

L'immaturità religiosa è caratteristica dell'età infantile. Il pensiero del bambino è prelogico, egocentrico, animista, magico, e la sua religiosità è contrassegnata da credenze fondate su bisogni e timori. Talora l'immaturità religiosa continua anche nell'adulto, perché in nessun'altra dimensione dell'agire il pericolo d'infantilismo è tanto grande quanto nel comportamento religioso.'

Quando infatti le varie tappe evolutive della religiosità non sono state adeguatamente superate per cause interne o esterne al soggetto, ne consegue una religiosità dipendente, difensiva, utilitaristica, esibizionista, abitudinaria ecc., e il sentimento religioso è vissuto come un'illusione, un sostegno, un'evasione, una fonte di sicurezza, una difesa contro la paura ecc. Il mancato passaggio dalla religiosità infantile a quella adulta è la conseguenza di quegli stessi fattori psicologici che, durante l'età evolutiva, determinano un blocco o un ritardo della maturazione psicoaffettiva. A questi ostacoli si aggiungono altre cause quali il formalismo, il nozionismo, il ritualismo, proprie di ogni religione istituzionalizzata. 

La pratica religiosa cristiana è pervasa da fenomeni la cui descrizione rientra nella psicopatologia: ossessioni, possessioni, stati maniacali, estasi, allucinazioni, sensazioni erotiche. Psicopatia, paranormale e santità possono per certi versi essere considerate esperienze similari: talvolta non c'è un confine netto che le separi.

L'indifferenza religiosa è estremamente diffusa nelle attuali società secolarizzate, dove esiste un contesto ambientale sempre più orientato a ignorare il problema metafisico. L' indifferente religioso non avverte l'esigenza di considerare il problema di Dio. Non sente il bisogno di farlo poiché non ha opinioni al riguardo, e nemmeno è interessato ad averne. Spesso è un individuo che, soddisfatto del successo economico o ' sociale, vive il vuoto religioso con un atteggiamento di normalità. .."


Per una eugenetica veramente scientifica di Don Massimo Lapponi 2017 OSB
[NOTA : questa riflessione non riflette nessun documento del magsitero della Chiesa Cattolica . n.d.r.)

1. L’educazione umana e religiosa del bambino incomincia prima della sua nascita.Bisogna tener conto del fatto, confermato dalla recente neurologia, che il bambino tende ad interiorizzare e ad imitare le realtà che vede intorno a sé: il tono della voce di genitori, educatori, fratelli, le loro azioni e lo spirito che le anima, le espressioni del viso, i gesti, le parole etc.

Dunque i genitori devono pensare per tempo a quale sarà l’ambiente di vita che circonderà il bambino. Ciò implica, ovviamente, un grande lavoro su se stessi. E’, infatti, ovvia ( ??? n.d.r.) la diversa influenza di genitori, ad esempio, concordi e benevoli da quella di genitori discordi e collerici.

Ma il vero percorso formativo del nuovo essere umano incomincia, propriamente, con il concepimento. Qui siamo di fronte ad un mistero immenso, soprannaturale, insondabile, al punto che i relativi sconsiderati esperimenti odierni fanno inorridire. Se la moderna psicologia è in grado di spiegare – ma in minima parte! – l’enorme e decisivo ruolo delle condizioni del periodo di gestazione sul futuro del bambino, non è legittimo chiedersi se non sia altrettanto e più decisivo il modo del suo concepimento?

Intervenire arbitrariamente su un mistero così ineffabile, senza neanche chiedersi quali immense realtà decisive per l’avvenire del bambino sfuggano, su questo punto, alla nostra conoscenza, è il massimo dell’incoscienza.


Qualche luce, incompleta ma di vastissima portata, può venirci dai contributi congiunti della teologia e della psicologia.
Secondo la dottrina cattolica, è Dio che, al momento del concepimento, crea l’anima immortale del bambino ( ???? n.d.r.)

Ma attenzione: troppo facilmente si fa riferimento a questa dottrina per trarne conseguenze errate, che non tengono conto di altri fattori non meno importanti.
In antropologia si suole fare una netta distinzione tra il concetto di "Causa prima", identificata con il Dio-Necessità (panteismo) o col Dio-Volontà (monoteismo), e le cause "seconde", quelle fisiche, verificabili empiricamente nelle loro concatenazioni spazio temporali.

Nelle società arcaiche il concetto di causa seconda non esiste, poiché la causazione è considerata sempre come divina o comunque sacrale.

Il problema è stato studiato sin dal 1922 da Lucien Lévy-Bruhl, che in La mentalità primitiva identificava come mistica e pre-logica la mentalità dei primitivi scrivendo: « Si vede ora la ragione profonda che rende la mentalità primitiva indifferente alla ricerca delle cause seconde. È abituata a un tipo di causalità che nasconde, per così dire, il concatenamento di queste cause. Mentre queste costituiscono nessi e complessi che si svolgono nel tempo e nello spazio, le cause mistiche verso le quali si rivolge quasi sempre la mentalità primitiva, essendo extraspaziali e anche talvolta extratemporali, escludono l’idea stessa di questi nessi e di questi complessi. La loro azione non può esser che immediata. [La mentalità primitiva, Torino, Einaudi 1966] »

Il pensiero primitivo, sostiene infatti Lévy-Bruhl, si svolge in forma di partecipazione agli esseri circostanti e a tutta la natura, ma è impermeabile all'esperienza, perché attribuisce lo svolgersi degli eventi a forze soprannaturali: ecco perché il primitivo manca di logica (quale la intende l'uomo civile); ignora i principi di identità, di contraddizione e di causalità; non ha un'idea precisa dell'individualità perché si sente parte del gruppo in cui vive; non è in grado di fare una netta distinzione fra il possibile e l'impossibile perché attribuisce tutto a una causa magica generale.[Il soprannaturale e la natura nella mentalità primitiva, ed. Newton Compton, 1973]
Dio crea come Causa Prima, ma con questo egli non esime le cause seconde dalla loro azione di con-cause. Se, cioè, l’esistenza di un qualsiasi ente viene dall’atto creativo di Dio, la sua forma è determinata dalle cause seconde che hanno concorso alla sua realizzazione.

Così da una pianta nascono frutti della sua stessa specie, e non frutti di un’altra specie. Ciò non cessa di essere vero nel caso dell’uomo: la sua anima è creata da Dio, ma i caratteri di essa sono causati dalle cause seconde che concorrono alla sua nascita , cioè dai genitori. Ora, la forma che i generanti umani trasmettono al generato è la forma dell’essere umano, infinitamente superiore alla forma trasmessa da generanti vegetali o animali.

Si tratta, infatti, di una forma sostanziale che non si limita a dar vita a un corpo organico, come nel caso di vegetali o animali, ma che emerge da questa funzione per attingere il miracolo della coscienza intellettiva.



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