Corso di Religione








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Nella Bibbia, vivere, che cosa significa ? "

Per la Bibbia, "vivere" non significa solo "esistere", non equivale a essere fisicamente al mondo alla maniera delle cose e nemmeno alla maniera degli animali. Animali e piante non sono di per sé soggetto del verbo "vivere". Questo verbo è riservato all'uomo e, naturalmente, a Dio, che è sorgente della vita ed è "il Dio dei viventi e non dei morti".

"Vivere" da uomini, in senso bíblico, equivale a:
- benessere (= essere bene), perché benedetti da Dio e perché si è degni di godere quei beni indispensabili per un'esistenza felice: gioia, serenità, piacere, sicurezza (anche economica), fedeltà alla tradizione dei padri, equilibrio interiore;
- essere aperti alla vita e desiderare, cioè essere ottimisticamente disponibili a un domani migliore, tendere senza fermarsi a una compiutezza senza limiti (l'uomo biblico è desiderio, è "un essere che desidera");
- appartenere a una nazione e abitare una terra: la vita umana è autentica quando si è inseriti in una famiglia, che a sua volta fa parte di una tribù, di un popolo, non nomade ma residente in una terra patria e ospitale;
- riconoscere e comunicare con l'origine della vita, Dio: non c'è vita vera se non in dialogo con chi l'ha data; la vita infatti non è frutto del caso, né è fine a se stessa, ma è sempre un dono, quale l'uomo non è che un amministratore responsabile. La stessa nascita di un figlio è vista come un libero dono fatto dal Signore alla coppia che ama e protegge.

L'ebraismo biblico esprime un grande amore per la vita concreta e piena. Il saluto ebraico , shalom  significa appunto: pienezza di vita. L'ebraismo biblico rifugge sia dallo spiritualismo disincarnato del platonismo che esalta l'anima a spese del corpo, sia dal materialismo edonistico che non riconosce all'uomo se non la dimensione corporale. 

La cultura della vita nell'ebraismo ha alcuni tratti inconfondibili:
- è vita intera, non divisa artificiosamente tra esigenze materiali e spirituali, tra l'al di qua e l'aldilà;
- è vita quotidiana, fatta di piccole cose come delle più grandi, di momenti ordinari vissuti in modo straordinario;
- è vita assaporata in pienezza, godendo di tutte le cose buone cui il Creatore ha circondato l'uomo, dall'abbondanza di beni materiali all'amore coniugale, dal piacere dell'amicizia alla fecondità del matrimonio;
- è vita pagata a caro prezzo, esposta al rischio dell'infede e bisognosa quindi di un vigilante autocontrofio, da conseguire c l'aiuto della Torah;
- è vita che trova il suo senso in Dio, perché ricevuta singol mente in dono da lui (perciò la Bibbia non si pone nemmen problema se una vita umana valga più di un'altra: ogni vita è do unico e irripetibile);
- è vita amata malgrado le passività, nonostante le catene d'Egitto e l'esilio di Babilonia, nonostante le cento diaspore della storia e i ghettí dell' emarginazione, nonostante l'olocausto.

Sono di un ragazzo ebreo questi versi scritti sui muri del ghetto di Varsavia nel 1941: 
«Da domani sarò triste, da domani. Ma oggi sarò contento. A che serve essere tristi, a che serve?. Perché soffia un vento cattivo? Perché dovrei dolermi oggi del domani? Forse il domani è buono forse il domani è chiaro. Forse domani splenderà ancora il sole e non vi sarà motivo di tristezza. Da domani sarò triste, da domani. Ma oggi, oggi sarò contento e a ogni amaro giorno -da domani  dirò  sarò triste- Oggi no ».

Nella Bibbia cristiana gli impegni morali discendono dalla verità teologica . Non si capisce il senso dell'etica biblica sulla vita se non la si inquadra nei grandi fatti della rivelazione dell'Antico e del Nuovo Testamento.

Quello che la Bibbia richiede (per es. quando impone di «non uccidere») non è un'obbedienza cieca a un ordine tirannico, ma la naturale conseguenza pratica di un certo rapporto di alleanza stabilitosi tra Dio e l'uomo.

L'etica biblica non è un sistema normativo a sè stante ma una logica conseguenza che nasce dal prendere sul serio ciò che il Dio della vita ha compiuto per salvare l'uomo.  [ portarlo a pienezza, a compimento definitivo n.d.r.]

Nell'ottíca biblico-cristiana l'etica della vita trova il suo fondamento nella particolare visione teocentrica dell'uomo:
- un uomo che vive la condizione creaturale;
- un uomo che è stato sanato dall'azione redentiva;
- un uomo che ha una vocazione escatologica.

In effetti, tra i principali fatti salvifici che fanno da premessa e cornice all'etica sono da ricordare i seguenti :

- la creazione: la dignità di ciascun uomo deriva dal fatto di  essere creato a immagine di Dio (Gn 1, 27).

Una dignità che non si misura dunque dall'albero genealogico né dal ruolo sociale, né dal quoziente intellettuale o dalla prestanza fisica.

Per la Bibbia  ogni persona umana ha in Dio la sua origine e il suo fine, e resta totalmente persona anche quando, per menomazione naturale o accidentale, non avesse più una figura umanamente presentabile.

Così la persona handicappata, il bambino mongoloide o l'anziano irrecuperabile vanno visti e trattati, per l'etica cristiana, non solo in base ai princìpi enunciati nel quadro dei diritti universali dell'uomo, ma nella convinzione che ogni persona, anche la più menomata, è creata «a immagine di Dio ».

Così, sempre in base a tale convinzione, si considera eticamente intollerabile ogni pratica di procreazione assistita clinicamente che prevedesse l'eventualità di gettare tra i rifiutí il prodotto di un concepimento, quando non corrispondesse alle aspettative dei genitori;  

- l'incarnazione: la logica dell'incarnazione domanda di fare buon uso di tutte le mediazioni umane a disposizione (esperienza, scienza, tecniche) e di non chiedere soluzioni magiche o ultimamente risolutorie alla Bibbia, al magistero o alla sola preghiera.

Per esempio,

la risposta a problemi scientifici o giuridici (dei tipo: a partire da che momento un embrione è persona umana? è lecita la pena di morte?) non può essere cercata nella sola Bibbia e imposta d'autorità, ma va costruita con l'aiuto delle scienze competenti e rimessa onestamente in questione tutte le volte che nuovi per dati accertati o nuove ipotesi plausibili lo domandano.

Altra conseguenza etica che scaturisce dall'incarnazione è la valorizzazione cristiana della corporeità: il corpo umano ha una dígnità singolarissima dal momento che è stato pienamente assunto definitivamente glorificato dal Figlio stesso di Dio.

Ne consegue per i credenti  che il corpo umano non deve mai servire cavia come (e solo a certe condizioni) quello di un animale; c il potenziale genetico o il sesso di una persona non si deve modificare; che non vanno manipolati arbitrariamente né l'embrione ú il feto. che non si possono alterare senza grave motivo le normali e naturali condizioni biologiche e psicologiche della maternità e della paternità;

- la redenzione: il mistero della redenzione compiuta attraverso la croce e la risurrezione invita il credente a non confondere salvezza e salute: s e da una parte la salute fisica e psichica è fondamentale per la pienezza della vita umana (Gesù stesso si è rivelato Messia risanando molti malati), dall'altra essa non esaurisce assolutamente tutta la portata della salvezza.

Per la bioetica la salute è un mezzo, non un fine. Ai fini della salvezza della persona ( il suo compimento nella perfezione dfinitiva n.d.r.) , la salute non è un assoluto.

Si spiega così, per esempio: che dei genitori possano accettare la vita di un figlio handicappato; che una coppia sterile non si accanisca a voler un figlio a tutti costi (per es. ricorrendo a una madre sostitutiva); che dei parenti non accettino per un loro congiunto forme di accanimento terapeutico oppure, peggio, di eutanasia diretta.

- la risurrezione: è la chiave di volta che, nel cristianesimo, permette di interpretare in una prospettiva inedita il cosmo, la storia, la vita, il proprio destino.

Per un verso, la vita terrena coi suoi piccoli e grandi problemi ne resta relativizzata, poiché la risurrezione la proietta in una dimensione escatologica davvero incommensurabile; dall'altro la rivelazione che con la morte "la vita non è tolta ma solo mutata" fa guardare con sgomento al compito immane di gestire il dono di una vita immortale dentro la fragile provvisorietà dei giorni terreni.

Il modello del cristiano compiuto [ l'uomo compiuto n.d.r. ] è Gesù stesso: Gesù muore in croce ferito e deformato dalla violenza subita, ma risorge guarito e irriconoscibile: anche la vecchiaia è una malattia e il corpo risorto ne viene guarito!

La rivelazione cristiana mostra che qualsiasi condizione subisca il corpo della persona in questa vita (comprese le disabilità genetiche) possono essere guarite da Gesù nella risurrezione .

Dunque il cristiano protegge la persona umana in quanto tale fin dal concepimento (anzi oggigiorno è chiamato a proteggerla anche  nel modo del concepimento stesso) "
(*)

«non uccidere»"Il « non uccidere » biblico, come gli altri comandamenti, è stato naturalmente assunto anche dai cristiani come uno degli imperativi morali distintivi della fede in Gesù. Ma il modo di interpretare questo comandamento del rispetto della vita non è stato uniforme nel corso dei secoli.

Ispirandosi alla condotta e al messaggio di pace di Gesù, il cristianesimo dei primi tre secoli fa una scelta radicalmente pacifista e nonviolenta: non è mai ammesso uccidere una persona, nemmeno in guerra o nel caso di autodifesa.

I primi cristiani rifiutano il servizio militare. I militari di professione convertiti al cristianesimo si dedicano esclusivamente a servizi di pace. L'assassinio è, con l'idolatria, il grande peccato: non è ammessa alcuna eccezione, neppure per il soldato.

Tutte le testimonianze sul cristianesimo primitivo confermano che non vi è mai stato ricorso alle armi nemmeno per difendere le comunità dai persecutori.

Oltre alla proibizione delle armi, i cristiani sono contrari alla pena di morte, all'aborto e ai giochi mortali nei circhi. Anche se queste azioni erano allora ammesse dalla legge dello Stato, non per questo erano considerate conformi al vangelo.

Dal IV secolo (con gli editti di Costantino e soprattutto di Teodosío, che "normalizzano" il cristianesimo nella società civile e quindi anche nell'esercito), i cristiani cercano criteri di distinzione tra guerra giusta e ingiusta, permessa anzi obbligatoria la prima, condannata la seconda.

Guerra giusta, però, era considerata di volta in volta quella combattuta dalla propria parte (ciò spingerà il pacifista Erasmo di Rotterdam a mostrare con ironia l'insostenibilità della "guerra giusta" nel libretto Querela pacis , La lamentela sulla pace- del 1517).

Così sant'Agostino distingue tra uccisione compiuta da un privato di propria iniziativa e uccisione commessa nell'esercizio una funzione pubblica o per ordine dello Stato: è illecita la prima è lecita la seconda. In genere, egli è passato alla storia del pensiero cristiano come l'autorità che giustificò guerra giusta, pena morte e autodifesa cruenta, anche se la paternità della dottrina della "guerra giusta" risale al De Officiis (1, 11) di Cicerone.

Nei secoli successivi si può ricordare il caso singolare di san Bernardo, che condanna l'autodifesa cruenta, ma in compenso giustifica l'uccisione dei musulmani nelle crociate.
Dopo la "guerra giusta" nasce l'idea di "guerra santa": l'uccidere, come l'essere ucciso in battaglia, diventa non solo giusto ma meritorio e santo. Uccidere un malfattore musulmano (o un eretico)  sostiene san Bernardo non è un omicidio, ma più propriamente un malicidio!

Più tardi anche san Tommaso d'Aquino sosterrà la liceità della pena di morte, da infliggere però solo a chi è venuto meno alla sua dignità umana (cioè si è reso colpevole di gravissimi delitti). L'argomentazíone è la seguente: come è lecito, anzi doveroso, estirpare un membro malato per salvare tutto il corpo, così quando uni persona è divenuta un pericolo per la comunità o è causa di corruzíone degli altri, essa viene eliminata per garantire la salvezza della comunità (Summa Theologiae II-II, q. 29, artt. 37-42).

Con l'umanesimo e il rinascimento e la nascita degli Stati territorial í spesso in guerra tra loro, la ragione politica si sostituirà agli argomenti morali per discernere se sia lecito o meno uccidere.

Il Principe di Níccolò Machiavelli (1469-1527) segna la transizione a un'altra epoca: per lui ormai la politica è esente da leggi etiche, il potere non sottostà a norme morali; la guerra e la violenza in genere sono viste cinicamente come mezzo necessario al mantenimento del potere.

Nell'epoca moderna la coscienza del valore della vita si è andata progressivamente piegando alle strutture della cultura borghese, dominata da obiettivi fondamentalmente economici (rivoluzione industriale: sfruttamento del lavoro infantile e femminile) e viziata da pregiudizi razzistíci e confessionistici (guerre di religione).

La politica espansionistica delle potenze coloniali non trova resístenza nemmeno nelle Chiese, né a riguardo del saccheggio devastante delle culture indigene, né a riguardo della tratta degli schiavi negri africani verso il continente americano.

E' solamente dopo la seconda guerra mondiale che teologia cristiana e magistero tentano di elaborare un'etica della pace più rispondente alle attese dell'uomo moderno:
- abbandono della tradizionale dottrina della "guerra giusta" a favore del principio della pace giusta intesa come sviluppo sociale
(Giovanni XXIII, Pacem in terris; Paolo VI, Populorum progressio);
- messa al bando di ogni guerra offensiva
- discernimento tra i vari beni in conflitto come criterio per l'ammissibilità morale della guerra (Pio XII, vari messaggi negli anni Cinquanta)
- condanna senza riserve della guerra nucleare,
- condanna senza riserve della corsa agli armamenti nucleari
(Giovanni XXIII, Pacem in terris; Paolo VI, Populorum progressio);
- il razzismo è un peccato grave (locuz. di G.Paolo II del 26/8/2001)
- accettazione della legittima difesa dei popoli anche con mezzi militari cruenti
(Vaticano II, Gaudium et spes, 80);
- tendenza ad abbandonare il linguaggio dell'etica giuridica per privilegiare quello dell'annuncio evangelico
(Giovanni Paolo II e attuali Conferenze episcopali nazionali);
- crescita dei movimenti pacifisti e degli obiettori di coscienza anche nel mondo cristiano, sia cattolico che protestante.


( F.Pajer- RELIGIONE, SEI)

Etica della vita personale : l'amore verso se stessi.
" L'uomo è progetto di vita fin dal concepimento , è il progetto "persona". Questa sua dignità costitutiva è l'appello "etico" : " sii e diventa pienamente ciò che sei, una persona umana".  

La realizzazione della persona implica scegliere  comportamenti che realizzino il bene personale e comune che la ragione riconosce, cioè la legge morale naturale.

L'etica della vita personale comincia dalla responsabilità di se stessi.  Ciascuno deve "rispondere" di ciò che è e di ciò che deve diventare". 
Il duplice compito coinvolge tutti gli aspetti della persona: da quello fisico-corporeo a quello psichico e mentale, a quello propriamente spirituale e valoriale. Questi vari aspetti, da intendersi tra loro integrati e non giustapposti, sono variamente valorizzati o disattesi nelle diverse culture umane.

In genere l'uomo delle culture primitive, dovendo soddisfare i bisogni elementari anche solo per la pura sopravvivenza fisica in un mondo ostile e sconosciuto, dà priorità agli aspetti attinenti all'integrità del corpo e al suo rapporto con lo spazio vitale circostante.

Man mano però che la storia avanza, l'uomo esplora nuove zone della sua interiorità psichica, sviluppa le proprie capacità affettive, padroneggia i processi del pensiero, metabolizza le sue esperienze, impara a creare e non solo a riprodurre, progetta il futuro, conquista e gestisce spazi di libertà.

Questa lunga ricerca, indubbiamente ricca di conquiste, non è andata esente da riduzionismi, eccessi e fallimenti, che ancora si ripercuotono nell'attuale immagine che l'uomo ha di se stesso.

Fu così che, per esempio (per stare agli ultimi secoli della cultura occidentale):
- l'uomo illuminista del Sei-Settecento ha creduto di potersi identificare nell`Io penso" di Cartesio, per il quale la "coscienza" pensante è una realtà totalmente distinta e diversa dal corpo; quest'ultimo, come qualsiasi altro corpo fisico, si spiega anche senza anima, sulla base del funzionamento meccanico degli atomi.

Ne è conseguito un dualismo animalcorpo e una svalutazione della corporeità: dualismo e svalutazione divenuti inaccettabili nelle odierne teorie dell'uomo;
-  all'opposto, l'uomo empirista della cultura industrializzata assolutizza l'importanza del mondo materiale, si affida totalmente alle mediazioni dell'esperienza corporea, e minimizza quindi la funzione della coscienza;
- così pure l'uomo materialista dell'Otto-Novecento ha puntato tutto sui valori materiali e sul benessere materiale, privilegiando la trasformazione della base economica e relegando l'attività dello spirito tra i fenomeni secondari e derivati rispetto alla materia;
- in epoca moderna e contemporanea si sono inoltre combattute due visioni opposte di uomo: quella individualista e quella collettivista.

Ambedue le tendenze mortificano, per opposti motivi, la dimensione propriamente sociale della persona: la prima perché esalta talmente la centralità dell'Io, da dimenticare che nessun "io" può crescere al di fuori di un "noi", cioè di una comunità; la seconda perché crede di risolvere il problema della solitudine dell'uomo ponendolo a vivere in una collettività massificante, che può tutt'al più sviluppare contatti di tipo burocratico o funzionale ma non rapporti interpersonali.

E' stato soprattutto merito della tendenza personalista di questo secolo ( il 19°) l'aver saputo contrastare le grossolane ambiguità delle precedenti visioni, riproponendo una concezione dell'uomo inteso come indissociabile unità bio-psichica, soggetto di bisogni e di desideri, dotato di identità sessuale, aperto alla socialità e capace di autocritica, radicato in una storia e proiettato nel futuro.

Tutti questi "modelli d'uomo", e altri ancora, sono in circolazione, con più o meno fortuna, nella cultura attuale. Ciò spiega tanti comportamenti contraddittori: 
- il culto del corpo a scapito di altri valori dello spirito; 
- il consumismo egoistico che ignora ogni senso di solidarietà; 
- la dipendenza dal gruppo o dalla società che compromette l'autonomia personale... 

Sono comportamenti che non denotano un corretto rapporto con se stessi, perché enfatizzano alcune componenti della persona e ne occultano altre. Vanno quindi verificate tali componenti per poter costruire un corretto rapporto con se stessi.

Assumere responsabilmente la corporeità.
-L'uomo è corpo vivente, e la sua soggettività è segnata, oltre che dalla mente e dalla coscienza, da una energia localizzata nel tempo e nello spazio, che si organizza e si esprime in ogni cellula corporea.

Tra il corporeo e lo psichico non si dà separazione né inferiorità dell'uno sull'altro, ma flusso di reciproche integrazioni tra le due polarità (corpo e spirito) che formano l'unità della persona umana.


La cultura odierna, a differenza di quella di epoche passate, fa della corporeità una dimensione irrinunciabile dell'intera esistenza. Abbigliamento e moda, cosmesi, sport e danza, cura della salute, terapie d'ogni tipo, ricerca dell'effetto estetico, movimento ecologico, ecc., sono altrettanti segnali di una diffusa e vistosa cultura del corpo.

Se ci può essere una propensione a mitizzare il corpo, non si possono tuttavia disconoscere
le insostituibili funzioni della corporeità:
- con il corpo si entra in interazione col cosmo;
- si coglie e si interiorizza la realtà esteriore;
- si instaura un rapporto di presenza e reciprocità con l'altro;
- si realizza lo stare insieme comunitario;
- ci si orienta nell'attrazione sessuale e si manifesta l'esperienza d'amore.


Assolvendo queste funzioni, il corpo è mezzo di comunicazione, ma a tempo stesso è messaggio, è rivelazione di se stessi, e spesso all'insaputa della stessa persona.

[...]

La dimensione corporea della persona va accettata e assunta realisticamente: senza minimizzarla o tabuizzarla, ma nemmeno senza maggiorarla fino a renderla un mito. Essa è parte integrante del proprio "io" storico, della propria biografia e del proprio progetto di vita.

Nella adolescenza in particolare, accettare positivamente la propria corporeità significa assumerne la connotazione sessuata, maschile o femminile, e tutte le caratteristiche fisiche più o meno gratificanti (salute, altezza, colore degli occhi e dei capelli, ecc.), e per ciò stesso significa riconoscerne con sano realismo gli inevitabili limiti: fragilità, stanchezza, dolore, malattie, disfunzioni, passioni, invecchiamento, morte.

Il non saper assumere col dovuto realismo la propria identità psicofisica può condurre a patologie più o meno gravi e talvolta al suicidio.


L'identità
Chi sono?
Cosa voglio dalla vita?
Come mi sto realizzando?
Come mi "vedono" gli altri?
Che cosa c'è nella mia personalità che mi distingue dagli altri?


Rispondere a queste domande significa declinare i propri connotati,  dichiararsi.

Di quali tratti si compone l'identità personale?

Può essere d'aiuto qui la psicologia, che individua le seguenti dimensioni di un'identità naturale
- l'aspetto intrapersonale: sono gli elementi strettamente personali che il soggetto individua come costituenti la propria originalità, il suo modo di essere e di reagire, la sua coerenza con se stesso, la sua continuità nel tempo, ecc.;
- l'aspetto interpersonale o relazionale: elementi che il soggetto vive in modo tale da distinguersi dagli altri: il mio modo di essere con gli altri, di vedere me stesso in relazione ad altri, ciò che mi distingue da altri, ecc.;
- l'aspetto conoscitivo: elementi che aiutano la conoscenza personale: saper verbalizzare il contenuto della propria autocoscienza, scoprire e accettare se stessi come uomo o donna, saper ricostruire la propria autobiografia critica, ecc.;
- l'aspetto trascendentale: elementi che esprimono il desiderio di realizzare valori, come per esempio: la voglia di superare se stesso; la ricerca di giustizia e di amore; la ricerca di fede; il desiderio di compiere la propria missione, ecc.

Le condizioni per realizzare armonicamente questi vari aspetti dell'identità umana sembrano essere, sempre secondo la psicologia : - acquisire progressivamente l'autonomia psicologica, superando le, dipendenze infantili e distanziandosi dai modelli di comportamento maturare l'identità psico-sessuale, riferita cioè all'essere uomo o donna sessuati non solo biologicamente ma anche psicologicamente, premessa alla capacità affettiva e oblativa;
- sviluppare lo spirito critico per far fronte ai condizioname ideologici, sociali e culturali che minacciano l'originalità de personalità;
- elaborare un progetto di vita che nasca da un discernimento de propria "vocazione" ( o chiamata ) ;
- aprirsi alla solidarietà e alla partecipazione, per superare il narcisismo e l'individualismo.

Dal punto di vista propriamente etico promuovere la propria identità significa :
- capacità di guardarsi dentro, di prendere possesso di se stessi di saper far fronte agli eventi per non rimanerne condizionati
- possibilità di arricchimento esistenziale, sfruttando le proprie potenzialità, e sfuggendo così al nauseante non-senso del vivere epidermico, superficiale, discontinuo;
- capacità di discernere i bisogni veri da quelli indotti artificiosamente dalla pressione sociale (moda, gruppo-dipendenza, pubblicità...


Nella linea del tempo biografico, il rapporto con se stessi no si esaurisce nel riconoscimento pur necessario delle proprie radici e delle esperienze compiute nel passato, non si ferma nemmeno a possedere e gustare solo l`attimo fuggente" del presente , ma si proietta nel futuro come il luogo della piena realizzazione di sé.

La persona umana è fatta anche di ideali, di desideri, di tensioni, di sogni, di progetti. Siamo fatti per «dimorare nella casa del domani».

L'impulso naturale a realizzare determinati progetti nel futuro viene dalla scoperta delle proprie attitudini e dalla "coltivazione" delle medesime negli anni della formazione giovanile. Attitudini che devono essere anche messe creativamente al servizio degli altri, oltre che riuscire possibilmente gratificanti per se stessi (realizzarsi nel realizzare una missione).

E' la responsabilità di coltivare la propria dimensione progettuale: di cercare prima, e di realizzare poi quello che anche umanamente e professionalmente si chiama " la propria vocazione".


Il rapporto con se stessi non si esaurisce evidentemente nel conoscersi, nel raffinare la propria identità o nel saper prender in mano il proprio futuro.

Anzi, queste attenzioni verso la maturazione del proprio io non si svilupperebbero se mancasse all'origine quell'energia motrice, legata all'istinto di conservazione, che è l'amore verso se stessi.

Un corretto amore verso se stessi è la premessa per saper amare gli altri: l'io personale è in grado di amare nella misura in cui è stato capace di accogliere anche se stesso con amore;


A ccettare se stessi, saper vivere in pace e in armonia con la propria presenza, è anche la condizione per evitare certe distorsioni psicologiche, quali il ripiegamento egoistico su se stessi, i complessi di inferiorità o di gregarismo o, al contrario, l'ambizione a mete superiori alle proprie forze o fuorvianti rispetto alle proprie reali aspettative; la stessa Bibbia (Lv 19, 18; Tb 4, 15; Mt 22, 39) pone il sano amore di se stessi come misura dell'amore dovuto agli altri.

Non senza indicare però anche il salto di qualità che la fede richiede ai credenti disposti ad abbracciare la radicalità del vangelo: la capacità eroica di "morire a se stessi" e di rinunciare persino alla propria vita per il progetto di Dio [ compiere l'uomo come Uomo Definitivo sul modello di Gesù n.d.r.] (è

E' il caso dei martiri, ma anche di tanti "testimoni" che antepongono ai propri interessi il servizio del prossimo per amore di Dio .

(*) F.Pajer, RELIGIONE, SEI)




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BIOETICA
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