Concezione della malattia e assistenza sanitaria in Occidente . Prospettiva storica . Cristianità N. 333 gennaio-febbraio 2006
1. Crisi della medicina moderna
La medicina e l’assistenza
sanitaria hanno fatto grandi progressi negli ultimi secoli, ottenendo
risultati sorprendenti nella prevenzione e nella cura di molte malattie.
Non mancano però elementi di crisi, dalla comparsa di nuove
patologie, che sembrano vanificare i successi ottenuti, al problema
dei costi, e non ultimo alle questioni etiche.
La concezione della
medicina e dell’assistenza sanitaria nella società occidentale
rivela ancora le sue origini legate al cristianesimo, ma manifesta
pure contraddizioni dovute all’avanzare del processo di secolarizzazione.
L’originalità della concezione cristiana della malattia
e dell’assistenza è dimostrata, per esempio, dall’importanza
attribuita all’assistenza sanitaria nell’ambito dell’attività missionaria,
con l’organizzazione di ambulatori medici o di ospedali non solo
a contatto con civiltà cosiddette primitive, ma anche in quelle
con una grande tradizione. Basti pensare alle differenze nella concezione
della morte e dell’assistenza ai moribondi esistente fra una
cultura, per altri aspetti così sviluppata, come quella indiana
e quella cristiana, il che consente di capire la novità costituita
a Calcutta, in India, dall’opera di Madre Teresa, la suora albanese
Gonxha Agnes Bojaxhiu (1910-1997) beatificata il 19 ottobre 2003.
Il raffronto fra l’azione assistenziale della religiosa e certe campagne
di sterilizzazione della popolazione condotte in India consente di apprezzare
come anche paesi non occidentali sono diventati teatro del confronto e dello
scontro fra concezioni completamente diverse dell’uomo, della malattia
e dell’intervento sanitario. La descrizione dell’influenza del cristianesimo
sullo sviluppo della concezione medica in Occidente può contribuire a
mettere meglio a fuoco questi problemi.
2. La concezione della malattia
nell’antichità
La
portata del contributo del cristianesimo diventa più evidente
se si esamina come esso ha modificato concezioni anteriori. Non mancano
reperti preistorici che in certi casi forniscono indicazioni interessanti
su malattie e su terapie del tempo, ma questi documenti non sono tali
da consentire la ricostruzione completa delle concezioni mediche preistoriche.
Per quanto riguarda la nostra area culturale le concezioni mediche
più antiche, a noi sufficientemente note, sono l’ebraica,
la greca e la romana.
La concezione ebraica antica interpreta la malattia
come manifestazione visibile di una trasgressione della Legge ed è strettamente
legata alla concezione del peccato (1).
«Nel vocabolario dell’Antico
Testamento il rapporto fra sofferenza e male si pone in evidenza come
identità. Quel vocabolario, infatti, non possedeva una parola
specifica per indicare la “sofferenza”; perciò,
definiva come “male” tutto ciò che era sofferenza » (2).
La sofferenza viene intesa come pena inflitta da Dio all’uomo
per i suoi peccati e il suo significato è legato all’ordine
morale e alla giustizia: «Così dunque, nelle sofferenze
inflitte da Dio al popolo eletto è racchiuso un invito della
sua misericordia, la quale corregge per condurre alla conversione: “Questi
castighi non vengono per la distruzione, ma per la correzione del nostro
popolo” [2 Macc. 6, 12]» (3).
Questa concezione porta a
una valutazione morale della malattia, soprattutto di quella grave
e cronica: se la malattia viene intesa come un segnale dell’infrazione
della Legge, chi ne è colpito deve modificare il proprio comportamento.
Gravità e
cronicità di una malattia testimonierebbero che il malato è un
peccatore impenitente, che non ha reagito a questi segnali, e che continua
a vivere in una condizione di conflitto con il Signore. L’episodio
biblico di Giobbe è molto istruttivo al riguardo: Giobbe non
riesce a darsi ragione delle sofferenze che affliggono proprio lui,
rispettoso della legge del Signore.
La cultura
della Grecia antica ha prestato una grande attenzione alla
natura, in cui ha cercato di riconoscere un ordine armonico, considerando
l’universo come
cosmo. Scopo della vita umana è quello di vivere in armonia
con le leggi del cosmo, cosa non sempre facile in quanto è difficile
superare le divergenze fra la natura, physis, da una parte, e la cultura,
le abitudini e le leggi umane, nomoi, dall’altra. Tale contrapposizione
influenza anche il pensiero medico.
Negli scritti attribuiti al medico
greco Ippocrate di Cos (460 ca.-370 ca. a.C.) si legge: «L’uso
degli uomini [nomos] infatti e la natura in base ai quali tutto noi
facciamo non concordano pur concordando; l’uso l’hanno
stabilito gli uomini per loro stessi senza conoscere ciò che
esso riguardava, mentre sono stati gli dèi a ordinare la natura
di ogni cosa. Pertanto ciò che gli uomini hanno stabilito non è mai
duraturo, né in bene né in male, mentre quanto stabilirono
gli dèi è sempre bene» (4).
Tanto nella natura
quanto nell’uomo è insito un ordine: «Tutte le cose,
l’anima dell’uomo e, come l’anima, il corpo posseggono
un dato ordine» (5). La salute dell’uomo dipende da una
condotta di vita in sintonia con la natura: «Se infatti fosse
possibile stabilire [...] un rapporto tra alimentazione ed esercizi
che fosse numericamente proporzionato alla natura di ognuno senza eccedere
né in più né in meno, si sarebbe individuata con
estrema precisione la salute per gli uomini» (6).
Ma anche se
l’uomo non è in grado di conoscere fino in fondo la natura
delle cose, in quanto non sa «[...] osservare le cose invisibili
partendo dalle visibili» (7), è necessario cercare di
elaborare una sana condotta di vita, in armonia con l’ordine
naturale e con il cosmo. Secondo una massima di Ippocrate «[...]
la medicina si articolerebbe sostanzialmente in dietetica (diaetetica),
farmacologia (pharmaceutica) e chirurgia (chirurgia).
La dietetica
si occupa dei sani e serve a impostare un regime di vita. Suo compito è quello
di preservare la salute del corpo e garantire l’osservanza delle
leggi vitali attraverso una vita regolata » (8).
Al primo posto
viene quindi la dietetica, termine che nella medicina classica ha un’accezione
più ampia che nell’uso moderno: essa indica non solo una
limitazione nel regime alimentare, ma tutta la condotta di vita, che — almeno
a partire dal medico e filosofo greco Claudio Galeno (129-200 ca.)
di Pergamo — viene distinta in sei ambiti, le cosiddette res
non naturales (9):
1. luce e aria;
2. cibi e bevande;
3. moto e quiete;
4. sonno e veglia;
5. escrezioni e secrezioni;
e 6. accidenti d’animo.
La malattia viene quindi considerata come manifestazione
di una vita sregolata, e lo storico della medicina spagnolo Pedro Laín Entralgo
(1908-2001) ha sottolineato che anche i termini «puro» e «impuro» venivano
utilizzati tanto nel linguaggio medico quanto in quello religioso (10). La malattia è una forma d’impurità, prodotta da
un comportamento innaturale, che non ha rispettato la natura delle
cose, data dagli dèi.
Nonostante le chiare differenze, le concezioni
greca ed ebraica presentano elementi comuni: per esempio, ambedue considerano
la malattia come conseguenza della trasgressione di un ordine o di
una legge. Mentre la cultura greca interpreta quest’ordine in
modo naturalistico, la cultura ebraica considera la legge come dettata
da un Dio personale, il che comporta una relazione personale dell’uomo,
e del malato, con Dio. Entrambe queste concezioni possono portare a
una valutazione morale della malattia in quanto il malato viene considerato
colpevole della trasgressione di una legge.
Si deve ricordare che il
mondo antico precristiano non ha conosciuto istituzioni paragonabili
all’ospedale. Questo è tanto più sorprendente se
si tiene conto, per esempio, dello sviluppo e del livello dei servizi
pubblici in alcune metropoli dell’antichità. «Gli
sforzi appassionati degli studiosi della civiltà ellenica e
gli approfonditi studi degli umanisti con formazione classica non sono
riusciti a portare alla luce, nonostante tutti i loro sforzi, qualche
cosa che possa essere paragonato propriamente a un ospedale. Non vi
erano ospedali né a Sparta né ad Atene.
E anche in grandi
città come Alessandria o Roma non furono mai fondati ospedali» (11).
Nel mondo greco alcuni santuari dedicati a divinità taumaturghe
erano luoghi di pellegrinaggio per ammalati e nelle loro adiacenze
esistevano alloggi per i pellegrini, ma non si trattava di stabilimenti
sanitari. Negli accampamenti delle legioni romane esisteva il cosiddetto valetudinarium, un’infermeria
militare.
Un valetudinarium si trovava, per esempio, a Vindonissa — l’attuale
Windisch, nel cantone elvetico di Argovia —, inserito in un accampamento
in cui, nel corso del tempo, stazionarono la XIII, la XXI e la XI legione
(12). Nonostante alcune caratteristiche comuni, il valetudinarium svolgeva
una funzione particolare, diversa da quella dell’ospedale attuale,
in quanto serviva all’assistenza di soldati ammalati e feriti,
che si trovavano lontano dalle loro case e che, quindi, non potevano
neppure essere rimpatriati.
3. La svolta cristiana
Il cristianesimo
ha modificato profondamente l’atteggiamento antico nei confronti
della malattia. Questo cambiamento è espresso chiaramente in
alcuni passi del Nuovo Testamento, soprattutto nell’episodio
che narra la guarigione dell’uomo nato cieco: «Passando
vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbi,
chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse
cieco?”. Rispose Gesù: “Né lui ha peccato
né i suoi genitori, ma è così perché si
manifestassero in lui le opere di Dio”» (Gv. 9, 1-3).
La
domanda posta dai discepoli è tipica della mentalità dell’Antico
Testamento: se vi è una malattia grave è chiaro che questa è la
conseguenza di una colpa e si deve solo stabilire se si tratta di una
colpa dell’interessato o dei suoi genitori. La risposta di Gesù modifica
questa prospettiva: la malattia non è sempre dovuta a una colpa
umana individuale. Ciò ha portato, con il tempo, anche a un
cambiamento dell’atteggiamento nei confronti dell’ammalato.
La malattia non è stata più considerata come una colpa,
che poteva portare a un giudizio morale sull’ammalato e quindi
anche al suo isolamento e alla sua esclusione, ma essa diventa un elemento
costitutivo dell’esistenza umana, espressione della sua fragilità nella
condizione terrena, un evento che può toccare chiunque indipendentemente
dal suo comportamento e che, quindi, deve suscitare non esclusione
dalla comunità, ma un atteggiamento di carità e di solidarietà da
parte di quanti hanno avuto la ventura di esserne risparmiati.
4. La
nascita dell’ospedale
Fin dalle origini il cristianesimo è stato
caratterizzato da una particolare attenzione per le opere di carità e
per l’assistenza agli ammalati, a cui erano chiamati tutti i
fedeli, ma che era pure istituzionalizzata nella figura del diacono.
Proprio la pratica della carità ha dato caratteri nuovi all’assistenza
agli ammalati.
«Il cristianesimo trasforma la medicina classica,
ma non nella dottrina e nella sua applicazione pratica, che rispetta
e conserva indisturbata, ma nello spirito caritativo dal quale la medicina,
arte diretta al bene del prossimo, deve essere animata. La medicina
classica non possedeva affatto questo spirito che solo il cristianesimo
potè infonderle. Con il monito evangelico
della parabola del “Buon
samaritano” essa diventa un mezzo per mettere in pratica una
delle virtù caratteristiche della nuova religione: la carità e
l’amore del prossimo. Si ha così il sorgere della “medicina
sociale” con la istituzione di ospedali, ospizi, e di soccorsi
per chiunque ne avesse necessità» (13).
«Riguardo
all’assistenza medica non vi è differenza fra greci e
barbari, né fra liberi e schiavi. Per esemplificare questa novità,
nulla è più eloquente delle parole con cui Giuliano l’Apostata
[331-363] elogia la maniera cristiana di assistere i malati e cerca
d’incorporarla nel suo progetto di neopaganesimo: “Guardiamo
quello che fa così forte i nemici degli dèi: la loro
filantropia verso gli stranieri e i poveri... è vergognoso (per
noialtri) che i galilei non esercitino la loro misericordia soltanto
con i propri eguali nella fede, ma anche con i servitori degli dèi”» (14).
Nel secolo IV l’assistenza agli ammalati assume una forma
più complessa;
non è più solo il diacono ad assistere gli ammalati e
i bisognosi in genere della sua comunità, ma è il vescovo
che, nella sua diocesi, assume l’onere dell’assistenza.
Il primo ospedale di cui si abbia notizia certa è quello fondato
nel 370 da san Basilio il Grande (330 ca.-379), vescovo di Cesarea,
in Cappadocia, oggi Kayseri in Turchia. Negli anni seguenti, sempre
in Turchia, vengono fondati altri ospedali a Sebaste, a Edessa, nel
375, ad Antiochia, prima del 398, e più tardi a Efeso, nel 451
(15).
Nei secoli successivi nascono istituti analoghi anche in Occidente:
i vescovi fondano istituzioni per assistere infermi, bisognosi e stranieri,
chiamate xenodochion, «ospizio per gli stranieri»,
e domus
dei, «casa di Dio», denominazione che si è conservata
nel termine francese Hôtel-Dieu, che in alcune città designa
ancor oggi l’ospedale
principale. Queste istituzioni sorgevano, a seconda dei casi, fuori
città, in vicinanza delle principali vie di comunicazione, per
consentire il controllo sanitario di chi voleva entrare in città,
oppure nella città stessa. Quando il ricovero si trovava in
città, questo poteva essere integrato in un complesso costituito
dalla cattedrale e dall’abitazione del vescovo e dei canonici.
Questo fatto rende ancor più evidente la svolta
radicale nella concezione della malattia operata dal cristianesimo: la
malattia non è più motivo
di esclusione, ma il malato viene ospitato nella domus
dei e
talvolta viene addirittura accolto dal vescovo sotto il proprio tetto. E
l’ospedale,
in quanto tale, infonde rispetto: «Dalle
sue origini l’ospedale
fu anche un “luogo venerabile” dal punto di vista morale
e un “luogo religioso” e quindi sacralizzato sul piano
sociale e istituzionale» (16).
Un testo ha avuto un’importanza
fondamentale nello sviluppo dell’assistenza sanitaria in Occidente:
si tratta del capitolo XXXVI della Regola di san Benedetto da Norcia
(480 ca.-547 ca.), dedicato all’assistenza da prestare ai fratelli
infermi. «L’assistenza agli infermi va posta prima e sopra
ogni cosa; essi vanno serviti veramente come se fossero Cristo in persona,
poiché egli ha detto di sé: “Ero
malato e mi avete visitato” [Mt. 25, 36], e “Ogni volta
che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete
fatta a me” [Mt. 25, 40].
Da parte sua chi è ammalato
consideri che viene servito per onore a Dio, e non spazientisca con
pretese eccessive i confratelli che lo assistono; gli infermi, tuttavia,
devono essere sopportati pazientemente, poiché per mezzo loro
si acquista una più grande ricompensa. L’abate presti
dunque la più grande attenzione perché gli infermi non
siano in alcun modo trascurati. «Ai
fratelli malati venga riservato un locale a parte e assegnato un inserviente
timorato di Dio che sia diligente e premuroso.
Sia loro concesso di
prendere un bagno tutte le volte che sarà necessario; ai sani,
invece, e specialmente ai giovani, lo si conceda più raramente.
Ai più debilitati
si conceda inoltre di mangiare carne, perché possano riprendersi;
ma una volta ristabiliti, tutti, come al solito, si astengano dalle
carni. L’abate presti la più grande attenzione perché gli
ammalati non vengano trascurati dai cellari o dagli inservienti. Ogni
negligenza commessa dai suoi discepoli ricadrà su di lui» (17).
Si tratta di poche frasi, ma che stanno alla base dello sviluppo della medicina monastica, che per secoli ha rappresentato
la forma più completa
di assistenza sanitaria. La regola prevede infatti monaci
adibiti all’assistenza,
locali speciali per la degenza e una dieta particolare. Per assolvere
questi compiti i monaci non solo si dedicano alla copiatura e allo
studio degli antichi trattati di medicina, ma coltivano erbe medicinali,
organizzano erboristerie e farmacie nei monasteri. Si può ricordare,
per esempio, come nel progetto dell’abbazia benedettina di San
Gallo, nell’omonimo cantone elvetico, che non è mai stata
comple- tamente realizzata, ma che è servita da modello per
altre abbazie, siano previsti alcuni edifici per ospitare ammalati
da curare e tutte le infrastrutture necessarie: la biblioteca, l’orto
con le piante medicinali, la farmacia, la cucina separata dalla cucina
principale dell’abbazia.
Non è possibile seguire nei dettagli
gli ulteriori sviluppi storici della medicina nell’Occidente
cristiano; infatti, per secoli la storia della
medicina è strettamente
legata a quella del cristianesimo: Concili prendono importanti decisioni
in campo sanitario, per esempio il Concilio di Orléans del 549
prescrive ai vescovi di prendere a proprio carico i lebbrosi (18).
Nel tardo Medioevo, quando scoppiano le grandi epidemie, vengono fondati
ordini monastici particolari, come l’Ordine di San Lazzaro, impegnato
nella cura dei lebbrosi, o l’Ordine Ospedaliero dei Canonici
Regolari di Sant’Agostino e di Sant’Antonio Abate, detto
degli Antoniani, per le persone affette dal fuoco di Sant’Antonio
(19).
A partire dall’anno 1000, con il fiorire delle città,
ai monasteri si affiancano nuove istituzioni: nascono scuole mediche
laiche, che ben presto assurgono a dignità accademica e vengono
incorporate nelle università. «Nel primo Medioevo gli
istituti didattici prendono il nome di scholae (publicae) e nel ’200
di studium generale o universale. Il termine Universitas designa inizialmente
soltanto la corporazione degli scolari e appena verso la fine del ’300
comprende in via definitiva il complesso delle diverse discipline o
facoltà» (20). I cittadini
cominciano a preoccuparsi dell’assistenza
degli ammalati e sorgono così i primi, spesso molto semplici,
ospedali civili.
L’immagine corrente della medicina medioevale è spesso
offuscata da pregiudizi, che la identificano con pratiche superstiziose
e di magia popolare sopravvissute anche in ambiente cristiano e, successivamente,
all’influenza
di concezioni di origine araba. Si tratta di pregiudizi che non vengono
confermati dalle conoscenze sulla medicina ufficiale e sulla letteratura
medica medioevale, come sostiene lo storico tedesco della medicina
Heinrich Schipperges: «Contrariamente a quanto affermano i nostri
manuali e libri di testo, occorre però qui sottolineare la scarsità di
elementi magici, taumaturgici o demonologici all’interno della
letteratura medievale. Il fatto è tanto più sorprendente
se si considera l’ampio patrimonio di speculazioni numerologiche,
scongiuri, sapere astrologico e alchimistico che, ereditato dal Basso
Impero, rifluisce a partire dal XIII e XIV secolo nel mondo occidentale
arricchito della mediazione araba » (21).
L’importanza
della magia, dell’astrologia e dell’alchimia cresce durante il Rinascimento con conseguenze per la concezione dell’uomo e
della malattia (22) e taluni ritengono che la conoscenza della natura — e
dei suoi arcani — possa consentire di raggiungere la salute assoluta. È il
mito della pietra filosofale e della panacea universale: «Il
lapis philosophorum dovrebbe essere anche la grande panacea contro
tutte le malattie» (23).
5. Illuminismo e Rivoluzione Francese
Una svolta nella concezione della malattia e dell’assistenza
medica avviene a partire dalla seconda metà del secolo XVIII,
con l’affermarsi di una concezione più filosofica — in
senso moderno — o più ispirata al metodo scientifico.
Questa svolta è stata influenzata, per esempio, dalle concezioni
del pensatore svizzero Jean-Jacques Rousseau (1712- 1778), che sogna
una società primitiva ancora immune da mali sociali e da malattie.
La malattia, o più in generale la sofferenza individuale, viene
considerata come prodotto di un’ingiustizia sociale, la salute
diventa un problema socio-politico e compare qui, anche se in forma
ancora implicita, il concetto di «diritto alla salute»,
inteso in senso più radicale, cioè non solo come diritto
dell’individuo al rispetto della propria integrità fisica,
ma anche come diritto del singolo a vivere sano e senza malattia, come
se la malattia dipendesse unicamente da un’ingiustizia sociale
e come se un adeguato impegno della società e del potere politico
potesse garantire buone condizioni di salute per tutti.
«Gli
anni che precedono e seguono immediatamente la Rivoluzione [Francese]
hanno visto nascere due grandi miti, i cui temi e le cui polarità sono
opposti; il mito d’una professione medica nazionalizzata, organizzata
sul modello del clero, ed investita, a livello della salute e del corpo,
di poteri simili a quelli ch’esso esercita sulle anime; il mito
di una totale scomparsa della malattia in una società senza
turbamenti e senza passioni, restituita alla sua salute originaria» (24).
Un esponente della Gironda, François Xavier de Lanthenas (1754-1799),
scriveva nel 1792: «Chi dunque dovrà denunciare al genere
umano i tiranni se non i medici che fanno dell’uomo il loro unico
studio e che tutti i giorni, presso il povero ed il ricco, presso il
cittadino ed il potente, nella capanna e nel palazzo, contemplano le
umane miserie che non hanno altra origine che la tirannia e la schiavitù?» (25).
Questo nuovo atteggiamento può essere esemplificato da un episodio
riferito dallo storico francese Jean Imbert: dopo aver letto l’iscrizione «Casa
destinata ad alleviare le sofferenze dell’umanità» posta
all’entrata di un ospedale, un commissario rivoluzionario si
sarebbe rivolto in questi termini agli amministratori dell’istituzione: «Deve
forse esserci una parte qualunque dell’umanità in stato
di sofferenza? ... Ponete dunque al di sopra delle porte di questi
asili scritte che annuncino la loro prossima scomparsa. Poiché se,
finita la Rivoluzione, avremo ancora fra noi degli infelici, le nostre
fatiche rivoluzionarie saranno state vane» (26).
Durante la Rivoluzione
Francese si realizza una trasformazione dell’assistenza sanitaria:
vi sono politici, come François-Alexandre-Frédéric,
duca di La Rochefoucauld- Liancourt (1747-1827), che privilegiano l’assistenza
domiciliare a scapito di quella ospedaliera (27); queste idee vengono
adottate in diverse leggi, come quelle del 19 marzo e del 28 giugno
1793, che promuovono l’assistenza domiciliare (28). Il nome stesso
di Hôtel-Dieu, e addirittura quello di ospedale, sono considerati
offensivi, ripugnanti e avvilenti, per cui vengono sostituiti dal termine «ospizio»:
per esempio, l’Hôtel-Dieu
di Parigi diventa il Grand Hospice d’Humanitè (29).
Nell’agosto
del 1792 viene decretata la secolarizzazione degli ordini ospedalieri,
che erano stati risparmiati dalla secolarizzazione degli altri ordini
religiosi, voluta da una legge dell’agosto del 1791 (30).
La
legge del 23 messidoro 1794 nazionalizza, poi, i beni degl’istituti
ospedalieri e di beneficenza, privandoli dei mezzi necessari alla loro
esistenza. Nell’estate del 1794 il processo rivoluzionario ha
ormai raggiunto il suo apice: «Quando si giunge a Termidoro,
i beni degli ospedali sono nazionalizzati, le corporazioni proibite,
le società ed accademie abolite; l’università,
con le facoltà e le scuole di medicina, non esiste più;
ma i convenzionali non hanno avuto agio di mettere in opera una politica
d’assistenza di cui hanno ammesso il principio, né di
stabilire dei limiti al libero esercizio della medicina, né di
definire le competenze che gli sono necessarie, né di fissare
infine le forme del suo insegnamento » (31).
6. Verso l’utopia
della salute perfetta
Alla fine del secolo XVIII si possono identificare
altre importanti correnti all’interno della medicina, per esempio
quella del medico tedesco Franz Anton Mesmer (1734- 1815) (32). Mesmer
era convinto dell’esistenza di un fluido universale, da lui chiamato «magnetismo
animale», presente in tutto l’universo e quindi anche nel
corpo umano. Proprio un disturbo della distribuzione del fluido all’interno
del corpo umano sarebbe stato, per Mesmer, responsabile di tutte le
malattie. Per mezzo di una particolare tecnica, la magnetizzazione,
sarebbe stato possibile riequilibrare la circolazione del fluido e
quindi curare ogni malattia.
In una Memoria sulla scoperta del magnetismo
Mesmer enuncia la sua dottrina in 27 punti: negli ultimi viene ricordata «l’utilità universale» (33)
della sua scoperta, che consentirebbe al medico di «[...] trovare
sicuramente l’origine, la natura e i progressi delle malattie,
anche delle più complicate; ne impedirà l’aggravamento
e arriverà alla loro guarigione» (34) e si sostiene che «l’arte
di guarire arriverà così alla sua perfezione ultima» (35).
Anche in Mesmer, quindi, si trova la convinzione non tanto di aver
trovato un nuovo rimedio, ma il rimedio, di aver portato la medicina
alla sua «perfezione ultima».
Queste concezioni, tanto
di Mesmer quanto di altri autori, costituiscono quella che storici
della medicina hanno definito «utopia della salute perfetta », cioè la convinzione di poter curare non solo qualche
malattia, ma di eliminare definitivamente ogni malattia e quindi di
risolvere una volta per tutte il problema della sofferenza.È il mito
della trasformazione radicale dell’uomo, della creazione di un’umanità nuova,
non più soggetta alla caducità dell’esistenza terrena,
e della restaurazione della condizione primordiale dell’uomo (36).
La radicalità delle tesi sostenute durante la Rivoluzione
Francese evidenzia la differenza sostanziale rispetto alla concezione
cristiana. Nella visione cristiana le malattie potevano dipendere in
alcuni casi dal comportamento del singolo o da fattori sociali, ma
il problema della malattia in sé è intimamente legato
all’esistenza umana e alla sua caducità post peccatum,
perciò la malattia non può essere eliminata completamente,
e richiede quindi la solidarietà di tutti, la caritas.
Le ideologie
moderne rifiutano la concezione cristiana, ritengono che la malattia
sia il prodotto di situazioni umane che è possibile modificare.
In questa prospettiva viene attribuita alla concezione cristiana della
malattia addirittura una funzione negativa, in quanto giustificherebbe
non solo le malattie, ma potrebbe addirittura far passare in secondo
piano, se non trascurare del tutto, la ricerca e la successiva eliminazione
delle condizioni che sono responsabili delle malattie.
7. Darwinismo
sociale
Una delle critiche più radicali alla concezione cristiana,
alla fine del secolo XIX e all’inizio del XX, è rappresentata
dal darwinismo sociale. Seconda la teoria proposta dal naturalista
inglese Charles Robert Darwin (1809-1882) l’evoluzione delle
specie si è attuata e continua ad attuarsi per mezzo di mutazione
e di selezione: per mezzo delle mutazioni la molteplicità delle
specie si arricchirebbe continuamente di nuove forme e la lotta per
l’esistenza consentirebbe l’affermazione dei mutanti più idonei
e la scomparsa delle specie meno adatte. Un fattore importante sarebbe
quindi la lotta per l’esistenza. Diversi autori, fra i quali
il biologo Ernst Heinrich Haeckel (1834- 1919), che ha contribuito
alla diffusione del darwinismo nei paesi di lingua tedesca, ritengono
che le leggi fondamentali dell’evoluzione
valgano anche per la specie umana.
Questo approccio biologico non si
limita a considerare l’uomo come prodotto dell’evoluzione,
ma interpreta anche la storia dell’umanità come una prosecuzione
della storia naturale e quindi dell’evoluzione. Le leggi dell’evoluzione
non avrebbero perso la loro validità o la loro importanza nel
momento dell’ominizzazione, anzi proprio tali leggi dovrebbero
consentire di comprendere meglio le ragioni del fiorire o del declino
delle civiltà e delle nazioni. In altri termini, il darwinismo
sociale ritiene che gruppi umani, non diversamente dagli altri esseri
viventi, si affermano se presentano un adattamento migliore alle condizioni,
il che comporta una selezione.
I socialdarwinisti erano convinti che
società ispirate a princìpi diversi o in contrasto con
le leggi dell’evoluzione, e soprattutto con la lotta per l’esistenza,
fossero destinate alla decadenza, perciò sembrava necessario,
per la salvezza di una nazione, combattere princìpi come quelli
rappresentati dal cristianesimo.
Nasce quindi il conflitto fra la solidarietà,
la carità, l’assistenza al debole e all’infermo
e la selezione con l’eliminazione degl’individui meno dotati
e meno adatti.
I successi della medicina sembravano quindi eliminare,
o almeno ridurre, la selezione prodotta dalle malattie. Per controbilanciare
questi effetti viene sviluppata un’igiene razziale che cerca
d’impedire la riproduzione d’individui con caratteristiche
indesiderate o vengono presi provvedimenti di eugenetica oppure di
eutanasia.
8. Le correnti dell’ideologia
medica contemporanea: biologica, psicologica e sociale
La medicina contemporanea presenta
tre approcci principali al problema della malattia:
a. una corrente
biologica, che considera la malattia unicamente come un difetto o un
danno biologico che dev’essere studiato con il metodo delle scienze
naturali, nella convinzione che la ricerca scientifica, in un futuro
piú o meno lontano, possa accertare le cause delle malattie
e sviluppare terapie adeguate;
b. una corrente psicologica, che pone
in primo piano l’attività psichica e che considera i disturbi
psichici e psicosomatici come il prodotto di uno sviluppo psichico
patologico.Secondo la psicoanalisi sarebbero certe condizioni all’interno
della famiglia e i valori morali di una società a impedire uno
sviluppo armonico della personalità. Una terapia psicoanalitica
consentirebbe di eliminare le cause dei conflitti all’interno
dell’uomo. La psicoanalisi è molto sicura delle proprie
possibilità: la guarigione è garantita a patto che l’interessato
s’impegni sinceramente nell’analisi. La mancata guarigione
viene spiegata normalmente non con l’inadeguatezza del metodo,
ma con la mancata volontà dell’interessato a guarire o
con il suo interesse personale a restare ammalato;
c. una corrente
sociopolitica, secondo cui la malattia sarebbe il prodotto
di contraddizioni sociali.La medicina e la psichiatria dovrebbero denunciare
tali condizioni patogene e aiutare a eliminarle. La malattia non sarebbe
quindi un evento ineluttabile, ma dimostrerebbe solamente l’esistenza di
contraddizioni sociali e la mancata volontà politica di risolverle,
in quanto un adeguato impegno potrebbe eliminare tanto le contraddizioni
sociali, quanto le malattie che ne derivano.
Questi tre approcci al
problema della malattia sono di per sé legittimi: vi sono infatti
malattie che hanno origine in una disfunzione biologica, altre che
dipendono da fattori psichici, altre ancora che sono causate da problemi
sociopolitici. È sbagliato però sostenere la validità assoluta
di ognuna di queste teorie a scapito delle altre nella presunzione
di poter eliminare definitivamente ogni malattia e di arrivare quindi
a una condizione di salute perfetta.
In questi casi l’approccio
di un certo tipo diventa ideologia.
L’approccio biologico concentra
la sua attenzione su processi patologici e perde di vista tanto l’ammalato
come persona quanto il contesto sociale e familiare. La malattia viene
considerata quasi come un guasto meccanico che dev’essere riparato
dallo specialista. Uno dei rischi insiti in questo tipo di approccio è che
l’assistenza sanitaria non prenda in considerazione le esigenze
dell’uomo, che si disumanizzi, non tenendo conto che in ogni
caso fattori personali sono sempre di estrema importanza.
Per esempio,
anche nel caso di operazioni complicate e altamente specializzate,
il decorso post-operatorio, e quindi in definitiva il successo dell’operazione,
non dipende unicamente dalla perizia del chirurgo, ma pure dalla motivazione
del malato a impegnarsi nella riabilitazione e quindi anche dal modo
in cui l’équipe terapeutica riesce a suscitare e a incoraggiare
tale motivazione. Manipolazione e ingegneria genetica, così come
la diagnosi genetica prenatale, possono degenerare in impostazione
unicamente tecnica e biologica del problema della malattia.
L’approccio
psicologico può trascurare tanto gli aspetti somatici di una
malattia quanto quelli sociali, non tenendo in debito conto né le malattie organiche né la
dimensione sociale dei disturbi.
L’approccio sociopolitico può portare
a una relativizzazione delle altre forme di terapia. Un esempio molto
illuminante degli effetti di questo approccio è stato fornito
dall’applicazione della legge n. 180 del 1978, che ha riformato
l’assistenza psichiatrica nella Repubblica Italiana, in cui la
lettura unicamente politica della malattia mentale ha visto in altre
moderne forme di terapia solo uno strumento che avrebbe consentito
alla classe al potere di mantenere la condizione di sfruttamento all’origine
della malattia stessa (37).
Queste concezioni hanno contribuito
a dare un’accezione particolare al concetto di «diritto alla salute ».
Si tratta di un concetto senz’altro legittimo se si riferisce
alla richiesta che il potere pubblico eserciti una efficiente funzione
di controllo sulla salute dei cittadini e intervenga per regolare fattori
che possono esser fonte di malattia, dall’inquinamento ambientale
alle sofisticazioni alimentari, dalle condizioni nell’ambiente
di lavoro a provvedimenti nei confronti di malattie infettive, o se
si riferisce alla possibilità per il cittadino di poter usufruire
di un’assistenza sanitaria efficiente e non burocratizzata. Al
proposito si deve tener conto che anche il sistema sanitario meglio
organizzato può, al massimo, mettere a disposizione i ritrovati
più moderni della medicina, ma non può garantire la guarigione.
Si cade in una concezione
utopistica della salute se
si pretende che il «diritto alla salute» significhi che lo Stato debba
garantire l’assoluta immunità da ogni malattia ed eventualmente
la guarigione sicura. Perciò la mancata guarigione o un decorso
sfavorevole della malattia vengono considerati come lesione di un diritto
e come incapacità e inefficienza dello Stato o del sistema sanitario.
Negli ultimi anni è stato sviluppato il
modello bio-psico-sociale come integrazione dei tre approcci descritti. Pur presentando vantaggi,
questo modello presenta pure limiti: in particolare non tiene conto
della dimensione più importante nell’uomo, quella personale.
9. Il modello spiritualistico
e le «religioni di guarigione»
Per
completezza si deve ricordare, oltre ai tre approcci accennati, quello
spiritualistico, secondo cui una malattia dipende
da una mancanza di natura spirituale e la guarigione può essere
ottenuta solamente con un progresso sulla via della realizzazione spirituale,
paragonabile spesso al concetto di redenzione.
Il modello spiritualistico tende
a dare una valutazione negativa della medicina ufficiale, rispetto
alla quale pretende di essere alternativo. Infatti, se la guarigione è possibile
solo come effetto della redenzione, il ministro del culto diventa automaticamente
guaritore. Per i gruppi religiosi, che attribuiscono un ruolo centrale
alla guarigione e che si propongono come alternativa alla medicina
ufficiale, è stata proposta la denominazione di «religioni
di guarigione» (38).
Un esempio è offerto dalla Christian
Science, la «Scienza cristiana », movimento fondato nel
secolo XIX dalla statunitense Mary Baker Eddy (1821-1910), che considera
malattia e mali come illusioni, e si propone di «[...] dissiparli
e farli svanire attraverso il potere della Verità (che è Dio)
e la persuasione della loro non realtà. La cura delle malattie
da parte del “practitioner” scientista cristiano “dimostra” il
potere della verità e la fondamentale non realtà della
materia (e quindi della stessa malattia)”» (39).
Sociologi
della religione hanno messo in evidenza come il successo di questi
movimenti possa essere spiegato con l’esigenza d’inquadrare
la malattia e la sofferenza in una dimensione spirituale, occupando
uno spazio lasciato vuoto da una medicina sempre più spersonalizzata
e dalle grandi religioni occidentali.
10. Conclusione
Il cristianesimo
ha superato la prospettiva antica che, collegando direttamente la malattia
al problema della colpa, la interpretava inevitabilmente ed esclusivamente
in senso morale. L’atteggiamento di solidarietà ispirato
dal messaggio evangelico ha dato, nel corso dei secoli, un contributo
essenziale allo sviluppo dell’assistenza al malato. Ospedali
e ambulatori gestiti da istituzioni e da ordini religiosi rappresentano,
nel loro complesso, l’organizzazione sanitaria più importante
del pianeta, che non offre solamente terapie adeguate a chi può sperare
nella guarigione, ma anche a chi non ha più speranza.
NOTE
* Studio, riveduto e integrato, comparso con lo stesso
titolo, in Acta Medica Catholica Helvetica. Bollettino dell’Associazione
Medici Cattolici Svizzeri, anno III, n. 1, Friborgo 20-4-2001, pp.
10-21 (trad. tedesca Was ist Krankheit. Geschichte des Krankenhauses.
in factum. Fakten und Analysen zurm Verständnis unserer Zeit [factum.
Fatti e analisi per comprendere il nostro tempo], n. 10, Berneck SG
ottobre 1995, pp. 16-21; trad. croata Pogled na bolest i zdravstvenu
skrb na Zapadu. Povijesni osvrt, in Glasnik Hrvatskoga katolickoga
lijecnickog društva [Rivista dell’associazione medici
cattolici croati], anno XIV, n. 4, Zagabria 2004, pp. 7-15).
(1) Cfr. DIEGO GRACIA-GUILLÉN, Diaita im frühen Christentum [La dieta
nel cristianesimo antico], in HUBERT TELLENBACH (1914-1994) (a cura di), Psychiatrische
Therapie heute. Antike Diaita und moderne Therapie [Terapia psichiatrica oggi.
Dieta antica e terapia moderna], Enke, Stoccarda 1982, pp 12-30.
(2) GIOVANNI PAOLO II (1978-2005), Lettera Apostolica «Salvifici doloris» sul
senso cristiano della sofferenza umana, dell’11-2-1984, n. 7.
(3) Ibid., n. 12. 12
(4) IPPOCRATE, Il regime, in IDEM, Opere, a cura di Mario Vegetti, Unione
Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1976, pp. 475-576 (p. 506).
(5)
Ibid., p. 499.
(6) Ibid., p. 493.
(7) Ibid., p. 505.
(8) HEINRICH SCHIPPERGES
(1918-2003), Il giardino della salute. La medicina nel medioevo, trad.
it., Garzanti, Milano 1988, p. 129.
(9) Cfr. ibid. p. 145.
(10) Cfr.
PEDRO LAÍN ENTRALGO, Der Sinn der Diaita in der Antike [Il senso
della dieta nell’antichità], in H. TELLENBACH (a cura di),
op. cit., pp. 1-11.
(11) DIETER JETTER, Grundzüge der Hospitalgeschichte
[Elementi di storia dell’ospedale], Wissenschaftliche Buchgesellschaft,
Darmstadt 1973, p. 1.
(12) Cfr. MARTIN HARTMANN, Vindonissa. Oppidum, Legionslager, Castrum
[Vindonissa. Piazzaforte, accampamento militare, forte], Einwohnergemeinde
Windisch, Windisch AG 1986.
(13) ADALBERTO PAZZINI (1898-1975), Piccola
storia della medicina, ERI-Edizioni RAI Radiotelevisione italiana, Torino
1962, p. 31.
(14) P. LAÍN ENTRALGO, Il medico e il paziente, trad.
it., Il Saggiatore, Milano 1969, pp. 56-57.
(15) Cfr. D. JETTER, op.
cit., p. 7.
(16) MICHEL MOLLAT, Les premiers hôpiteaux (VIe-XIe siècles),
in JEAN IMBERT (1919-1999) (a cura di), Histoire des Hôpitaux en
France, Privat, Tolosa 1982, pp. 13-32 (p. 16).
(17) SAN BENEDETTO, La
Regola, XXXVI, I confratelli malati, trad. it. con testo latino a fronte,
a cura di Giuseppe Giorgio Picasso O.S.B., Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo (Milano) 1996, pp. 126-129.
(18) Cfr. M. MOLLAT, contributo cit.,
p. 17.
(19) Cfr. H. SCHIPPERGES, Il giardino della salute. La medicina
nel medioevo, cit., pp. 84 e 74.
(20) LORIS PREMUDA (1917-2005), Storia
della medicina, CEDAM, Padova 1975, p. 109: le università più antiche
sono quella di Bologna, fondata nel 1088, di Montpellier, del 1137, di
Parigi, del 1150, e di Padova, del 1252.
(21) H. SCHIPPERGES, Il giardino della salute. La medicina nel medioevo,
cit., pp. 95-96; trad. it. modificata.
(22) Cfr. IDEM, Lebendige Heilkunde.
Von grossen Ärzten und Philosophen aus drei Jahrhunderten [Arte
sanitaria vivente. Grandi medici e filosofi di tre secoli], Walter, Olten
e Friburgo in Brisgovia 1962, p. 197.
(23) BERNHARD MILT (1896-1956),
Chemischalchemistische Heilkunde und ihre Auswirkungen in Zürich
[Arte sanitaria chimico-alchimistica e le sue ripercussioni a Zurigo],
estratto da Vierteljahrsschrift der Naturforschenden Gesellschaft in
Zürich [Rivista quadrimestrale della Società di Scienze Naturali
di Zurigo], anno XCVIII, 30-9-1953, pp. 178-215 (p. 185). (24) MICHEL
FOUCAULT (1926-1984), Nascita della clinica. Una archeologia dello sguardo
medico, trad. it., con Introduzione di Alessandro Fontana e Postfazione
di Mauro Bertani, Einaudi, Torino 1998, p. 44.
(25) Cit. ibid., p. 46.
(26) J. IMBERT, La tourmente révolutionnaire (1789-1795), in IDEM
(a cura di), Histoire des Hôpitaux en France, cit., pp. 271-289
(p. 276).
(27) Cfr. ibid., p. 275.
(28) Cfr. IDEM, Le droit hospitalier
de la Révoluton et de l’Empire, Sirey, Parigi 1954, pp.
76-77.
(29) Cfr. IDEM, La tourmente révolutionnaire (1789-1795), cit.,
p. 289.
(30) Cfr. IDEM, Le droit hospitalier de la Révoluton et
de l’Empire, cit., pp. 63-66.
(31) M. FOUCAULT, op. cit., p. 63.
(32) Cfr. i miei Franz Anton Mesmer e il «magnetismo animale»,
in Cristianità, anno XI, n. 98-99, giugno-luglio 1983, pp. 9-13;
e Alle origini dello spiritismo: Franz Anton Mesmer e il «magnetismo
animale», in MASSIMO INTROVIGNE (a cura di), Lo spiritismo, Elle
Di Ci, Leumann (Torino) 1989, pp. 97-119.
(33) FRANZ ANTON MESMER, Le
Magnétisme Animal. Oeuvres, a cura di Robert Amadou (1924-2006),
Payot, Parigi 1971, p. 78.
(34) Ibidem.
(35) Ibidem.
(36) Cfr. OSKAR
KÖHLER (1909-1996), Die Utopie der absoluten Gesundheit [L’utopia
della salute perfetta], in H. SCHIPPERGES ET ALII (a cura di), Krankheit,
Heilkunst, Heilung [Malattia, arte medica, guarigione], Alber, Friburgo
in Brisgovia 1978; e LUCIEN SFEZ, La salute perfetta. Critica di una
nuova utopia, trad. it., Spirali, Milano 1999.
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