La Carità Gesù rivela la Carità.
Mt4,23Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. 24La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. 25Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.
At 10,38 c Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, > il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo , perché Dio era con lui.
L'espressione storica della Carità rivelata in Gesù è l'annuncio del
Vangelo dell'UOMO
, Regno di Dio ; annuncio che comunica lo Spirito, la Vita divina , e che guarisce da ogni dominio e potere contrario all'UOMO. Ef 3:17 Che il Cristo abiti , per la fede, nei vostri cuori Gesù abita nel Cuore Nuovo dei Cristiani
per la fede nella Sua Parola
.
Lo Spirito di Gesù che è la
Vita Divina
abitando nel cuore dell'uomo , lo trasforma
in
UOMO
.
CCC
1972 ...ci fa passare dalla condizione del servo "che non sa quello
che fa il suo padrone" a quella di amico di Cristo "perché tutto
ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" ( Gv 15,15 ), o ancora alla condizione di figlio erede di Dio.
Ef 1,4 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
L' Uomo Nuovo è forte
nel combattere il maligno , capace di compiere il bene fino alla perfezione, come
Gesù stesso.Ef 3: 17 e così,
radicati e fondati nella Carità...L'UOMO è radicato e fondato in Gesù che lo abita . Lo Spirito lo muove all'azione così che nella Storia si manifesta ancora Gesù come un Amore che è un Vangelo, una Novità che
S.Paolo chiama con un termine nuovo :
Carità
.
I cristiani sono resi capaci -da Gesù che " abita" in loro- di vivere come Lui, amando
come uominidèi : con Carità.2Tm 1,7 Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.
Gal 5,6 in Cristo Gesù .. vale .. la fede che si rende operosa per mezzo della carità.
1Cor 13,1 Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita . 1Cor 13,2 E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. 1Cor 13,3 E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe . 1Cor 13,4 La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, 1Cor 13,8 La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. ...,13 Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità
1Cor 14,1 Aspirate alla carità. 1Cor 16,14 Tutto si faccia tra voi nella carità
Rm 12,9 La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene;
Fil 2,2 rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità , rimanendo unanimi e concordi.
Eb 10,24 Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone .
1Pt 4,8 Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati.
La " legge di Vita" dei cristiani è la Carità. Ef 3,17 Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità,
Ef 4,15 agendo secondo verità nella carità , cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo.
Ef 4,16 Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità.
Ef 5,2 camminate nella carità , nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi
Rm 13,10 La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge ( divina ) infatti è la Carità.
1Tm 1,5 la carità, che nasce da un cuore puro // da una buona coscienza e da una fede sincera. CUCC Cat. Univ. Chiesa Catt.
1972 La Legge divina nuova è chiamata una legge d'Amore, perché fa agire in virtù dell'Amore
che lo Spirito Santo infonde, più che sotto la spinta del timore ( di Dio) ;
una
legge di grazia, perché, per mezzo della fede e dei sacramenti, conferisce
la forza della grazia per agire;
una legge di libertà , [Cf Gc 1,25;
Gc 2,12 ] perché ci libera dalle osservanze rituali e giuridiche della
Legge antica, ci porta ad agire spontaneamente sotto l'impulso della Carità .
Nel cristiano, ove dimora lo Spirito di Gesù, questo Spirito ... porta ad agire spontaneamente sotto l'impulso della Carità. Spontaneamente non significa qui automaticamente : il rapporto tra il libero arbitrio dell'uomo naturale, che rimane tale, e lo Spirito di Gesù è un rapporto di
alleanza
.
L'uomo può aderire a questa alleanza o romperla :
- se i cristiani aderiscono totalmente a questa alleanza , nel loro agire si manifesta spontaneamente la Carità.
-
se la loro adesione è parziale, la Carità in loro stenterà a manifestarsi.
-
se rompono l'alleanza significa che hanno fatto alleanza con il maligno e la Carità in loro non si manifesterà.
Nella storia del cristianesimo si possono osservare tutte e tre le condizioni : ci sono stati e ci sono santi e beati, bravi cristiani, cristiani mediocri e cristiani traditori dell'alleanza.
La libertà dei cristiani1Pt 2,15Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all'ignoranza degli stolti, 16come uomini liberi, servendovi della libertà non come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio.
L'esperienza cristiana è esperienza di
azione libera rispetto a tutte le leggi incluse quelle religiose e ovviamente rispetto alle suggestioni del male.
Gv 8, 31«Se rimanete nella mia Parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la Verità
[ Gesù, l'UOMO compiuto ]
e la Verità vi farà liberi».
La libertà cristiana è azione orientata da Gesù in chi " rimane" nella Sua Parola" : questi è mosso dalla Verità ( Gesù) // dalla Carità ( Gesù) che è nella sua Parola . 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: «Diventerete liberi»?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato.
E siccome tutti hanno peccato :
Os 4,7 Tutti hanno peccato contro di me;
Rm 3,23 perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio
Rm 5,12 in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato...
..tutti gli uomini sono schiavi della morte.
35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa [ del padrone ] ; il figlio vi resta per sempre.
36Se dunque il Figlio ( di Dio, il Padrone) vi farà liberi, sarete liberi davvero.
... ma tutti possono essere liberati dalla morte, dal Figlio del Padrone della morte , DIO.
E se il Fglio di Dio libera l'uomo dalla morte dandogli la Sua VITA, questi è libero davvero , cioè definitivamente.
Liberi dalla morte i cristiani, UOMINI e DONNE che hanno la VITA che supera la morte, agiscono mossi dallo Spirito di Dio, che è CARITA' La nuova relazione con Dio per mezzo di Gesù, VITA che abita l'UOMO "tiene" il cristiano nel milieu divino della Carità:
Ef 3,18 siate in grado di compren dere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, 19 e
conoscere l'Amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza,
Qui è la novita': l'uomo poteva amare solo con la sua natura umana, il
cristiano puo' amare con la sua natura umano-divina, con Carità, come
Gesù, come il Padre.
Il comando antico era "ama".
Il comando nuovo è letteralmente lo stesso di quello antico
ma è nuovo perchè rivolto ad un uomo nuovo , l'uomodio , perché siate
ricolmi di tutta la pienezza di Dio.
l'UOMO in formazione e compimento ( ricolmo di tutta la pienezza di Dio ).
Fil 1,9 E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento,
CUCC
360 Grazie alla comune origine il
genere umano forma una unità. Dio
infatti "creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini" ( At 17,26
): [Cf Tb 8,6 ] .
La fratellanza umana è il fondamento della solidarietà umana (solido=unità
inscindibile) in quanto tutti derivano da una unico uomo originario
e tutti hanno il diritto di realizzare in pienezza la loro umanità attraverso le infinite culture umane possibili.
La fratellanza umana in Dio, nella comune immagine del Verbo, riscattata
e resa VIVA dalla salvezza donata in Gesù, è il fondamento della Carità ..
..in quanto tutti ereditano da
Adamo l'immagine di Dio e tutti hanno il diritto di realizzarla nella
loro vita in tutta la sua pienezza, per grazia dell'opera di Gesù , di
redenzione e santificazione e della sua Chiesa.
1699 La Vita nello Spirito Santo è gratuitamente
concessa come una Salvezza : essa realizza la vocazione dell'uomo ( l'UOMO COMPIUTO E DEFINITIVO) . Il fine ultimo dell'uomo creato
ad immagine di Dio, il fondamento dell'etica è la beatitudine e ( nello stesso tempo è ) le vie per giungervi, cioè la VIA della Carità Le strutture storiche della carità cristiana. F.Pajer-Religione-SEI
La Regola d'oro : Ama il prossimo come te stesso Già nel giudaismo precristiano si praticavano ampiamente
azioni "caritative" a favore del prossimo bisognoso.
Si può ricordare -l'ospitalità di Abramo ai tre uomini di Mamre (Gen 18),
-
l'insistenza
a prendersi cura degli orfani e delle vedove,
-
a ospitare stranieri e
pellegrini.
Non sono solo i poveri l'oggetto centrale dell'amore umano,
ma anche gli stranieri e persino i nemici della nazione. L'elemosina è una delle tre pratiche giudaiche fondamentali, insieme alla preghiera e al digiuno. I profeti pongono la giustizia e la carità
come condizioni per offrire sacrifici graditi a Dio.
Nel Nuovo Testamento la pratica della carità diventa
segno del regno che Gesù annuncia: Gesù stesso pratica l'elemosina
e la esige dai discepoli (Gv 13, 29; Lc 12, 33); propone come norma
la figura del buon samaritano (Lc 10, 25-37); ripete col profeta di
voler misericordia e non sacrifici (Mt 9, 13; Os 6, 6); chiede ai discepoli
la povertà nello spirito come condizione di accesso al Regno (Mt 5,
3); e dice che l'uomo sarà in definitiva giudicato sulle opere di carità
compiute "verso i più piccoli" (Mt 25, 31-46).
I Vangeli sono percorsi da una certa virulenza
nei confronti dei ricchi, che fanno dell'accumulo dei beni la ragione
di vita, quasi una religione che impedisce loro di accogliere il regno
di Dio. In un Israele dove c'erano ingiustizie sociali, spargimento
di sangue innocente, leggi ingiuste e tribunali venali, oppressione
dei poveri, Gesù viene a praticare e a predicare la giustizia, il
diritto, la compassione, la solidarietà.
Ma quello di Gesù non è un programma di riforme sociali, bensì l'annuncio
del
Regno imminente, che lui stesso inaugura.
Il suo vangelo comunque
ha prodotto radicali cambiamenti nella società, a cominciare da quella
antica, quando i cristiani iniziarono a mettere in atto il "comandamento
nuovo".
Le prime comunità cristiane comprendevano poveri
e ricchi, ma la Lettera di Giacomo prende posizione netta a favore dei
primi.
Un particolare problema poneva la coesistenza di padroni e di
schiavi come fratelli cristiani. Paolo consiglia a ciascuno di restare nella condizione
sociale precedente la conversione, e prega Filemone di riprendere un
suo schiavo che, scappando, l'aveva derubato. Cominciano così a stabilirsi
tra padroni e schiavi rapporti di reciproco rispetto e anche di affetto.
Convertendosi al cristianesimo, i padroni si compromettevano più degli
schiavi: dovevano infatti rinunciare a partecipare alle cerimonie ufficiali
in cui si praticavano atti di culto agli déi, con la conseguenza di
vedersi esclusi dalla normale vita civile e talora di subire persecuzione
(come nel caso di Flavio Clemente, cugino dell'imperatore Domiziano,
condannato a morte alla fine del i secolo).
La coscienza della fraternità, portata dal cristianesimo, era tale che
anche uno schiavo poteva diventare vescovo e papa (corne nel caso di
san Callisto).
la condivisione dei beni : un fallimento
Gli Atti degli apostoli riferiscono come la comunità
di Gerusalemme praticasse la condivisione dei beni. In un primo tempo
c'è una condivisione spontanea dei beni: chi aveva proprietà
e sostanze le vendeva e ne distribuiva il ricavato a chi ne aveva più
bisogno.
Luca fa notare che a Gerusalemme questa pratica fu un fallimento . Quando ci fu carestia la comunità non fu in grado di sollevarsi e dovettero intervenire le comunità di Antiochia dove ognuno dava ciò che riteneva opportuno.( Cf. : At 5, 1ss e 1Cor 16 ss) - n.d.r.
Man mano che la comunità si espande, cresce anche la cerchia dei bisognosi
e quindi dalla carità spontanea si passa a un servizio assistenziale
organico, in modo che «nessuno tra loro era lasciato nel bisogno
Per meglio assicurare l'assistenza ai poveri e non distogliere gli
apostoli dalla preghiera e dalla predicazione, la comunità sceglie un
gruppo di sette fedeli (At 6, 1-4), addetti al servizio delle mense.
Infine, l'azione caritativa non si esaurisce all'interno della propria
comunità di appartenenza, ma viene praticata anche da una comunità all'altra, come testimonia l'aiuto offerto dai cristiani di Antiochia a quelli di Gerusalemme (At 11, 27-30).
Affievolitosi
però l'entusiasmo primitivo, alla condivisione dei beni succede il tempo
dell'elemosina, incoraggiata da motivi piuttosto moralistici :«Fa bene a chi la riceve ma meglio ancora a chi la fa». Oltre che ad avere un valore economico, l'elemosina - attuata per lo
più in ambito liturgico - assume un aspetto religioso: di fronte a Dio,
essa serve a cancellare i peccati.[ ???]
Tertulliano,
della comunità di Cartagine, parla di una regolare colletta mensile e di una cassa comune attivata per soccorrere ogá forma di indigenza. Luciano
di Samosata (Asia Minore) parla di scrocconi che si
facevano passare per cristiani per essere soccorsi.
La
Didaché
dispone
che il pellegrino ospitato si metta a lavorare entro i tre giorni dal
suo arrivo.
Chi vendeva i propri beni non li dava direttamente ai poveri, ma li
consegnava al fondo ecclesiastico, o cassa comune, da cui venivano poi
distribuiti agli indigenti sotto la diretta responsabilità del vescovo.
La carità tuttavia non si identificava con l'aiuto in denaro: prima
di tutto veniva il dovere dell'ospitalità e in tempo di persecuzione
l'ospitalità offerta a dei ricercati poteva mettere a rischio anche
la vita personale.
L'azione sociale caritativa dei cristiani fu vista
come la chiave del loro successo, se l'imperatore Giuliano l'apostata,
volendo contrastarli, fece istituire ospizi per mendicanti e pellegrini.
Insistente è presso i Padri della Chiesa il tema della carità: Basilio
di Cesarea creò una città per poveri e malati (la Basileide, un enorme
ospedale con diversi padiglioni e con medici e infermieri specializzati)
e nelle sue omelie si scagliò contro le cause della povertà e l'ingiusto
arricchimento; Giovanni Crisostomo e Ambrogio si opposero decisamente
al despotismo imperiale in quanto strumento di oppressione e di corruzione
della gente semplice.
Ospizi e ospedali sorsero un po' ovunque, per iniziativa di
vescovi ma anche di privati cittadini benestanti.
L'insegnamento costante dei Padri è che le risorse economiche devono
servire a tutti e non diventare un lusso per pochi. Il povero ha diritto
al necessario per vivere. Il ricco può usare dei suoi beni, ma non abusarne.
D'altronde, le grandi ricchezze - ripetono i Padri - sono sospette:
da dove vengono, se non dall'ingiusto sfruttamento dei poveri? E perciò
quello che ai poveri è stato tolto, ai poveri va restituito (san
Basilio).
Nel mondo antico in cui la Chiesa si trova a vivere, tre
sono i fattori problematici del rapporto tra ricchezza e povertà:
- la distribuzione
sproporzionata di proprietà e ricchezze, per cui solo chi aveva potere
poteva avere anche ricchezze;
- il tenore
di vita estremamente lussuoso dei facoltosi, che, nell'uso delle loro
ricchezze, non tolleravano alcuna limitazione;
- la carenza o
inadeguatezza delle strutture dello Stato nel farsi carico delle categorie
di cittadini socialmente deboli.
Agape, pasto cristiano di comunione fraterna.
Sarcofago del III sec.
Una volta uscito dalle persecuzioni
con Costantino e riconosciuto legalmente come religione di Stato da Teodosio,
il cristianesimo, pur continuando a praticare la carità, perderà in
forza profetica: la sua denuncia si attenua, sia perché il vissuto sociale
della comunità credente si allinea sostanzialmente alle pratiche socio-economiche
imposte dal potere politico, e sia perché il discorso della Chiesa,
attraverso la voce di vescovi e di monaci, si ridurrà a inculcare,
in chiave piuttosto volontaristica, l'amore verso i poveri.
A partire
dal tempo della Chiesa imperiale infatti, i poveri vengono progressivamente
considerati come una categoria di persone che vanno amorevolmente assistite
con le risorse accumulate dalla Chiesa e amministrate dal vescovo.
Più ancora: nella generale carenza di strutture pubbliche di un impero
che sta agonizzando, la Chiesa, già diffusa capillarmente nelle campagne
come nelle città, subentra a offrire con le risorse della sua carità
quello che lo Stato non riesce più a dare per giustizia.
Dalla carità
spontanea al servizio organizzato
Già dal VI
secolo la legislazione conciliare, in appoggio o in
supplenza alla legislazione civile, stabilisce lo stanziamento di beni
a esclusivo beneficio dei poveri. A Roma, per esempio, nascono dei centri caritativi, detti diaconie, che funzionano proprio nei vecchi
edifici dell'annona pubblica. Si è calcolato che in un secolo quei centri
abbiano assistito oltre centomila poveri.
Nell' VIII
secolo, solo a Roma, quei centri erano ben diciotto,
tutti annesi alla rispettiva chiesa.
Gli aventi diritto alla assistenza erano iscritti in un elenco (Matricola)
e ricevevano il sussidio in natura o in denaro in determinati giorni
della settimana. I matricolari si chiamavano tra loro fratelli, mentre
la gente li designava come i "poveri di Cristo", i "poveri della Chiesa".
Se la matricola perseguiva lo scopo umanitario immediato di sostentare
i poveri, essa conseguiva per altro anche uno scopo sociale non meno
prezioso: quello di fissare i poveri nei rispettivi villaggi,
di impedire il vagabondaggio, di inserire il povero nella
società dandogli possibilmente un posto fisso e un lavoro.
Diversi concili locali, specialmente quelli celebrati in Gallia dal
V all'VIII secolo, rivendicano il diritto della Chiesa di difendere
i poveri contro i soprusi dei feudatari, fanno obbligo al vescovo di
accogliere tutti i pellegrini anche se sconosciuti, vietano al clero
di stornare a favore dei propri familiari i beni destinati ai poveri (è tacciato di necator pauperum ( assassino dei poveri ), chi ruba
o tiene per sé qualcosa che è destinato al povero).
Dalla povertà subìta alla povertà volontaria
Damasco antica.
Finite le persecuzioni,
viene meno anche l'ideale del martirio come coronamento della vita cristiana.
Subentra così nei cristiani più ferventi il desiderio di un altro tipo
dì eroismo, quello di vivere la perfezione cristiana isolandosi dal
mondo, andando a vivere
nel deserto (per es. in Egitto, in Asia minore) dopo aver rinunciato
ai propri beni e scelto la povertà come nuovo valore e stile di vita.
Nacque così, fin dal IV secolo, il primo movimento monastico, che ebbe
poi grandi sviluppi sia in Oriente (san Pacomio e san Basilio), che
in Occidente (san Benedetto). Secondo le regole scritte dai fondatori,
che a loro volta si ispirano al vangelo, la povertà diventa una
scelta volontaria di vita, una norma ascetica.
Ciò non impedirà,
anzi favorirà, la disponibilità dei monaci verso i "poveri involontari"
e i pellegrini che in ogni tempo busseranno alle porte dei monasteri,
e ne riceveranno ospitalità, cure mediche, cibo, vestiario...
Accanto
ai monasteri sorgono foresterie e ospizi per accogliere nel nome di
Cristo" chiunque si presenti.Nei periodi di peste e di carestie, in
una Europa stretta a nord dalle invasioni vichinghe, a est dai sarmati
e a sud dai saraceni,o lungo le strade dei pellegrinaggi verso la Terrasanta
o verso Santiago di Compostela, i monasteri costituiscono l'unica struttura
affidabile anche solo dal punto di vista civile.
Lo storico medievalista
Léo Moulin ha potuto affermare che in quel periodo la Chiesa ha
investito per i poveri più di un terzo di tutto il suo patrimonio economico
Paradossalmente, l'iniziale scelta della povertà volontaria dei monaci
li porterà col tempo ad accettare donazioni, terreni e ricchezze di
ogni genere.
I monasteri, oltre che centri di ospitalità e di cultura,
diventano anche centri di potere. Gli abati contendono la giurisdizione
ai vescovi; alcuni giungono fino a farsi eleggere papi e a lottare con
imperatori.
Anche per questo, tra l' XI e il XII secolo, si svilupperanno
vari movimenti spirituali di ritorno alla povertà evangelica assunta
come regola di vita,
Francesco e Domenico, tra altri, scelgono di vivere
poveri tra i poveri, e la presenza efficace dei loro ordini mendicanti
nelle nuove società europee provocherà anche una diffusa reazione politica
contro le ingiustizie sociali, contro l'usura e gli effetti negativi
dell'economia, contro il rapporto padrone-schiavo del feudalesimo.
Dalle opere di misericordia alla riabilitazione del povero Il medioevo cristiano è interamente costellato di opere
di misericordia, suddivise nei due classici settenari delle opere
di misericordia corporale e spirituale (che rievocano da vicino
il cap. 25 del Vangelo di Matteo). Questi settenari sono molto volgarizzati
soprattutto nel XII secolo, sia attraverso le omelie liturgiche, sia
come immancabile soggetto iconografico di vetrate e bassorilievi, come
anche attraverso la catechesi parrocchiale e in occasione dei sacramenti
del battesimo e della confessione.
Nascono ordini religiosi caritativi come quelli della Trinità
e della Mercede per liberare i prigionieri rimasti nelle mani dei saraceni
durante le crociate; e fioriscono diverse confraternite laicali (dette anche "misericordie" tuttora attive in diverse città
toscane), che fondano istituti di beneficenza, ospedali, case del
pellegrino.
Nei secoli
XIII e XIV, in clima di pre-umanesimo, si fa strada
un cambiamento di mentalità nei confronti del povero: il povero non
è solo oggetto di compassione e destinatario della beneficenza, ma va
riconosciuto anzitutto come persona umana che ha dei diritti che
nessuno, men che meno il ricco e il potente, può conculcare. Già intorno al 1230 (Francesco d'Assisi era appena morto) alcuni teologi
e canonisti arrivano a formulare una "Carta dei diritti del povero",
una dichiarazione che si fonda su princìpi di giustizia oltre che di
carità. Bernardino da Siena (che favorì l'istituzione dei monti di pietà per combattere l'usura) e il Savonarola usano toni sferzanti contro
l'insensibilità dei ricchi verso i poveri.
La giustizia deve precedere l'elemosina L'arcivescovo di Firenze,
sant'Antonino, insegna che il superfluo comincia solo quando la necessità
del povero è soddisfatta.
Il conte di Savoia Amedeo VI e il re di Castiglia
Alfonso XI istituiscono la figura dell'avvocato dei poveri. Una convinzione
si diffonde: la giustizia deve precedere l'elemosina. La
povertà diventa un problema giuridico e non solo economico.
Dal
Quattrocento in poi il povero non è più solo l`immagine di Cristo",
cui fare l'elemosina in riparazione dei propri peccati, ma una persona
da rieducare col lavoro, l'istruzione e il catechismo.
Nel linguaggio corrente
la parola "Carità" è deprezzata e in disuso.
In espressioni come "fare la Carità", "opere di Carità", si è ridotta a sinonimo di elemosina o
di beneficenza. E' imparentata con i buoni sentimenti, un po' zuccherosi
e ipocriti. Si scambia per pietà, condiscendenza, paternalismo.
La sua pratica non è esente - così molti pensano - da secondi fini più
o meno dissimulati: se fai la Carità è segno che vuoi scaricarti la
coscienza di qualche malefatta; o perché nel subconscio ti credi superiore
al povero; o perché speri che il povero una volta beneficiato non si
ribelli minacciando le tue ricchezze...
Non era così nel passato, quando il povero era considerato la 'creatura
preferita da Dio" e soccorrere il debole o ospitare lo straniero era
un dovere sacro e nobile, come testimoniano le classiche opere di misericordia praticate in tutto il medioevo.
Dall'inizio dell'età moderna la povertà perde il carattere di sacralità,
perché il povero, col suo vagabondaggio e la sua improduttività, disturba
l'ordine sociale.
La rivoluzione industriale poi, finisce per sacralizzare il lavoro,
la proprietà, il profitto. In una società basata sul ciclo produzione-consumo-reddito, un certo margine di povertà «può anche essere fisiologicamente sopportabile» (così sosteneva Luigi Einaudi, economista), ma la miseria diventa intollerabile
perché è un tacito ma scomodo rimprovero per la società benestante,
soprattutto i più ricchi e forti che guidano la corsa al profitto.
F.Pajer-Religione-SEI
top