TORNA ALL 'INDICE DEI MESI

Libri consigliati
Luglio 2011

labellezza

La Bellezza che ci Salva.
 Edizione pro manuscripto, Milano 2011, pp. XX + 306,
euro 35;
si può richiedere all’Autore (328.83.42.142), via San Sisto, 3 -20123 Milano,
oppure con e-mail a: info@enricomariaradaelli.it,
oppure a: www.hoepli.it.

«Giovani in estinzione. L’Italia ne ha persi due milioni in dieci anni» (così il rapporto del «Censis» nella primavera del 2011). Da qui si può capire il titolo «La bellezza che ci salva»: la bellezza non è «leggera come una farfalla» (cfr. p. 47), ma è la bellezza della verità: una bellezza di contenuti.
Si parla di arte, si parla di paesaggi e di chiese, ma il vero soggetto è l’uomo, cui qui, sulle orme di san Tommaso d’Aquino, vengono mostrate le Origini della bellezza (primo capitolo) e il criterio per realizzarla a sua volta anche nella vita più quotidiana (secondo capitolo).
Futuro, positività, «sorridenza», Paradiso, sono obiettivi raggiungibili se, mantenendosi nell’equilibrio del senso comune dato dalla ragione vivificata dalla grazia, «non si cade nei dirupi di misoneismo o di avventurismo» (terzo capitolo), così riprendendo la costruzione della civiltà a partire ancora dalla bellezza, devastata dai flagelli materiali e morali del «Ciclope del Liberalismo» (p. 17).

L'AUTORE

-Enrico Maria Radaelli, docente di Filosofia dell’estetica, e direttore del Dipartimento di Estetica della Associazione Internazionale “Sensus Communis” (Roma), ha collaborato per tre anni alla cattedra di Filosofia della conoscenza (sezione Conoscenza estetica) della Pontificia Università Lateranense. Opere precedenti: 
Ingresso alla Bellezza, Fede & Cultura, Verona 2007; 
Sacro al Calor bianco. La Messa di san Pio V e la Messa di Paolo VI alla luce della Filosofia dell'Estetica trinitaria, Edizione pro manuscripto 2008; 
Romano Amerio. Della verità e dell'amore, Marco Editore, Lungro di Cosenza 2005; 
Teomachia ultima. Teologia delle tre grandi religioni monoteiste, pro manuscripto Milano 2005; 
Il mistero della sinagoga bendata, Effedieffe 2002;
Per l'Opera Omnia di Romano Amerio in corso di uscita per la Lindau, ha curato finora i primi tre volumi:
-Iota unum, 
-Stat Veritas
-Zibaldone,

con tre ampie e appropriate Postfazioni.

IL LIBRO

Tra le conclusioni del Convegno di dicembre scorso sul Concilio Vaticano II è emersa la consapevolezza che nella difficoltà ermeneutica in cui ci dibattiamo si nasconde la carenza della metafisica. E’ un problema di forma e di sostanza: la modernità fa perdere chiarezza accusando il dogmatismo normativo, ma accantonare la metafisica è significato accantonare la fede che è messa in un angolo.

E’ appena uscito un nuovo libro di Enrico Maria Radaelli (*), un autore che ha la peculiarità di intraprendere percorsi metafisici di rara profondità e suggestione intellettuale e spirituale, sviluppando e proseguendo sia l'opera di Romano Amerio che la sua personale elaborazione su dove e come sia avvenuto il «disorbitare della Chiesa dal suo fine primario» e individuando le soluzioni secondo la Tradizione perenne, non quella “vivente” in senso storicistico.

Abbiamo la ventura di immergerci in 300 pagine che flagellano e svuotano di ogni sua più ridicola pretesa di ragionevolezza e persuasività il liberalismo massonico: La Bellezza che ci salva. La forza di imago, il secondo Nome dell’Unigenito di Dio, che, con Logos, può dar vita a una nuova civiltà, fondata sulla bellezza.

Avrebbe potuto chiamarsi La Verità che ci salva (soprattutto dal liberalismo massonico), ma l’Autore ha voluto riferirsi alla nota affermazione dostoevskjiana in primo luogo per mostrarne una volta per tutte la futilità, in secondo per portare finalmente alla ribalta le devastanti nuove eresie iconologiche propalate dalle diaboliche vesti cementizie delle nuove chiese, che sono lo specchio di quelle logiche che stanno oscurando la Tradizione perenne, unica portatrice della Verità.

Nelle nuove chiese impera da decenni l’«assenza di immagini» di Cristo e delle sue schiere di angeli e santi, impera cioè l’iconoclasmo, e Radaelli dimostra che esso è il risultato visivo e appariscente dell’attuale ostinata e grave sospensione della pastorale dogmatica nel magistero della Chiesa, dunque è doppiamente «incompatibile con l’Incarnazione» (p. 156).

La sospensione del munus dogmatico a favore di un insegnamento meramente “pastorale”, denunciato da mons. Gherardini come il più grave intorbidamento del magistero attuale, è dichiarato da Radaelli un vero e proprio «peccato di pastoralità del magistero» (p. 54) sia contro la fede che contro la carità, iniziato da Giovanni XXIII e tenuto dai Papi fino ai giorni nostri: «Ma – mette in guardia Radaelli – senza chiarezza dogmatica anche l’arte sacra sarà confusa, relativista e gnostica» (p. 285).

Lo si vede nella Messa, dove, dopo aver spesso «annientato e distrutto gli antichi altari con incredibile e furioso scempio, spiegabile solo con l’odio per la sacra liturgia Tridentina» (p. 170), si è riversata tutta sulle variazioni liturgiche, ognuna cangiante dal più al meno riguardo alla sacralità alla nobiltà e alla religiosità, studiate con scientifica circospezione dalla commissione liturgica istituita da Paolo VI, col dichiarato scopo di raggiungere fratellanza ecumenica con chi quei cangiamenti, se non anche tagli selvaggi, aveva già fatti propri secoli fa.

Il testo è frutto di uno sforzo intellettuale intriso di preghiera, anzi di Adorazione, diretto ad affrettare il tempo in cui il Trono più alto stabilisca che il linguaggio immerso nell’orizzonte Trinitario dell’arte sacra, discendente dal Nome Imago, ha la stessa potenza veritativa del linguaggio magisteriale discendente dal Nome Logos – e a questo obbediente – proteggendo oggi i fedeli dalle nuove eresie iconologiche come da sempre li ha difesi da quelle logiche, anch’esse tuttavia da ricondurre nei loro argini dai quali sono esondate, invadendo territori che dovevano e devono essere invece custoditi con sacro timore.

Le sue pagine scalano pareti di roccia dogmatica con la forza attrattiva di un linguaggio chiarificatore ed icastico che ne scava e porta alla luce lo splendore della verità. Riconosciamo il sistema teologico-filosofico propriamente scolastico, insieme ai lampi di luce del ‘Sensus Communis’, in cui l’autore si muove con grande levità ed eleganza, nello sgorgare di parole incandescenti, che conservano tutta la loro pregnanza semantica originaria, dalla quale i correnti linguaggi ateoretici mutuati dalle filosofie immanentiste e lo stile colloquiale che rende i discorsi ambigui ed approssimativi rischiano di allontanarci. Esse immediatamente destano l’intuizione e lo stupore che sempre si accompagna alla conoscenza per riposare, poi, nella riflessione e nell’assimilazione di vere e proprie melodie fatiche, che aprono alla scoperta di quello che ci appare il nostro paesaggio più naturale, si spingono fino al nocciolo più profondo della nostra ricerca a partire dai sacri Nomi del sommo Intelletto per riconfluirvi ricolmi dell’acqua delle sorgenti celesti. Ed ecco configurarsi il paesaggio, nuovo della germinale fioritura: «audacia» che nasce dalla sua intrinseca fecondità: «Tradizione», denso del realismo incantato ed incantevole, di una filosofia dell’estetica propriamente e gioiosamente trinitaria.

Tre gli obiettivi, o “proposte forti”, di questo libro scritto per ridare animo a una civiltà fondata sulla bellezza:
◦primo obiettivo (Proposta preliminare): ripristinare gli argini del Fiume della bellezza, le cui Sorgenti sono nelle relazioni trinitarie, dimostrando che essi, legata com’è la bellezza alla verità, si trovano soltanto nella guida “dogmatica” che la Chiesa ha tenuto da sempre (nella quale la verità è riconosciuta nella sua limpida, univoca e splendida realtà), e non in una guida meramente “pastorale”;
◦secondo obiettivo (Prima proposta): individuare le Origini della Bellezza scoperte quasi senza saperlo da san Tommaso d’Aquino settecento anni fa individuando i quattro Nomi dell’Unigenito di Dio (Imago, Splendor, Logos e Filius), specie il primo, che, in quanto Volto, Aspetto ed Espressione del Logos, cioè del Pensiero, è anche la prima Fonte della conoscenza;
◦terzo obiettivo (Seconda proposta): rendere esplicito il criterio da sempre utilizzato dalla Chiesa per fare bellezza, cioè per insegnare, individuato dall’Autore nel binomio «tradizione-audacia» (e come tale autorevolmente riconosciuto anche dal cardinal Ravasi in un seminario tenuto nella Biblioteca del Pontificio Consiglio per la Cultura il 14-7-2010). Infatti “il dittico «tradizione-audacia» rappresenta la forte muraglia intorno all’Hortus conclusus dell’insegnamento della Chiesa – stavolta sul piano metodologico – per tenere avventuristi da una parte e abitudinari dall’altra fuori comunque entrambi dalla cerchia della sua fervorosa città dove regna solo la vita, l’operosità costruttiva dell’attenzione, lo slancio calmo di chi sa che ogni buon insegnamento, ogni buon progetto armonico, ogni santa parola, è una maternità, una straordinaria maternità che dà i suoi frutti soprannaturali tutti pronti per l’eternità” (p. 245).
Con queste tre “proposte forti” riprendere la costruzione della Civiltà della Bellezza non è più un sogno, ma un lieto, sacro dovere.

Recensione di Maria Guarini.
fonte: chiesa e post concilio blog


 

 


 

 


 

 


 

 


  TORNA ALL 'INDICE DEI MESI