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La credenza nella sopravvivenza dell'anima. M. Guerra -Storia delle religioni-Brescia 1989

La maggior parte delle dottrine antiche sulla immortalità dell'anima si riferiscono ad un'anima individuale immortale - unica e diversa per ogni persona - che sopravvive alla morte del corpo biologico ma che non è necessariamente eterna.

L'antco Egitto

"...I primi documenti scritti che ci parlano della immortalità dell'anima sono probabilmente quelli egizi. I Testi delle Piramidi sono datati 2500-2300 a.C.
L'anima del faraone ascende sotto forma di uccello fino alla dimora celeste degli dèi. Prima di giungervi essa deve superare delle prove e un giudizio.
Il Libro dei morti è datato 2300-2000 a.C.
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Anime-uccello e anime-ombra -pittura parietale sec. XIII a.C. -Egitto.

La dottrina della immortalità applicata al Faraone è qui applicata a tutti. L'anima superiore, KA, alla morte si separa dal corpo per ascendere alle regioni celesti ove regna sovrana la felicità; l'anima inferiore , BA, resta accanto al cadavere da cui si è separata ma del quale ha bisogno per vivere.
La mummificazione del corpo e la collocazione di oggetti per la vita quotidiana nella tomba è per BA.

L'antico Egitto ha rappresentato l'aldilà con la forma dei campi di Aaru, che assomigliavano a quanto di meglio la vita terrena potesse offrire: qui il defunto, dopo il giudizio, gode di una felicità senza limiti, adorando gli dèi, navigando sulle acque del Nilo celeste, presentando offerte, lavorando il terreno e raccogliendo grano senza più temere la siccità, andando a caccia e divertendosi con il gioco.

Greci e Romani

I testi religiosi e letterari antichi che sostengono la sussistenza eterea di tutto l'io, ne parlano sempre in termini di dimora sotterranea, buia, luogo di oscurità e di oblio in cui le «ombre», immagine umbratile di ciò che furono nella vita terrena, ne riproducono la statura, la figura e persino il modo di guardare ma private di ogni consistenza.

La loro è una condizione nebulosa, svuotata, ectoplasmatica. In quella dimora vivono senza pena e senza gloria nel senso pieno dei due termini; di solito non hanno la possibilità di ritornare sulla terra, nel mondo dei viventi. Anche se ogni popolo o lingua adopera nomi diversi, la realtà è sempre identica: Ade (Greci), Orco (Romani), Sheol (Ebrei), Kigallu (Sumeri), Arallu (Babilonesi).

La vita nella dimora sotterranea è oscura. Le pallide ombre sono nell'incapacità di provare gioia o tristezza.
Tale sopravvivenza umbratile, amorfa e noiosa giustifica l'affermazione di Achille: «Oh, non cercare di consolarmi della morte, o nobile Ulisse. Io vorrei come schiavo della gleba servire un altro uomo, vivendo con un diseredato che non avesse molte sostanze, piuttosto che esser sovrano di tutti i morti che si spensero» (Odissea 11, 613-617)

Non c'è da meravigliarsi allora se — secondo Lucrezio, secolo I a. C. — (1, 123-126) il poeta latino Ennio (secoli III-II a. C.) presenti Omero in lacrime di fronte alle condizioni dei morti: «spettri di straordinario pallore».
La sopravvivenza sotto forma «di ombra» è comune a tutti i mortali dopo la morte. Il che spiega come nel periodo arcaico, i Greci, i Romani, i Sumeri, gli Accadi, ecc. non posseggano la credenza nel giudizio discernitore della bontà o della malizia dei morti, ne contemplino uno stato di premio o di castigo nell'aldilà della morte. 

Trattandosi di popoli a religione etnico-politica , la dimora sotterranea collettiva accoglieva i mèmbri di uno stesso popolo o razza: L'Ade, per i greci; l'Orco, per i romani, ecc.
In queste religioni che, oltre ad essere etnico-politiche sono altresì celesti , la credenza in una dimora sotterranea si deve probabilmente al fatto che, situando l'aldilà in un luogo, concepivano la divinità, gli «Immortali», come viventi nelle sommità (dio altissimo, celeste con séguito di dèi e dee).

Invece, gli uomini «fatti di fango», erano «terreni» persino nell'etimologia del loro nome, vivevano sulla terra e, una volta morti, dimoravano nelle viscere di essa. In questo modo vien fatta risaltare la trascendenza degli dèi (verità fondamentale in una costante religiosa qual è questa) e il loro definitivo allontanamento dai mortali.

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Ade, dio greco degli inferi siede sul trono e impugna lo scettro regale di fronte alla sposa Persefone, circondato da demoni.

Secondo una costante dell'antichità greca, l'anima umana è in intima relazione e parentela con l'etere cui spetta riceverla una volta separatasi dal corpo. Non solo, per coloro che concepiscono il mondo alla stregua di un animale vivente, l'etere partecipa della natura animista.
Alito che investe e vivifica il mondo intero, è lo spirito universale medesimo, l'anima dell'universo. Per i sostenitori di tale filosofia (Diogene d'Apollonia, Euripide, gli stoici), lo spirito umano, al pari di quello cosmico, altro non sarebbe che una sua particella staccatasi per andare ad animare il corpo. Dopo la morte a lui ritorna.

Secondo Platone (secolo V-IV a. C.) alcuni settori della credenza popolare diffusa al tempo suo ammetteva con certezza che l'alito, spirito vitale dell'agonizzante, ricevuto e disperso dal vento, stabiliva la propria dimora ultraterrena nelle regioni eteree.

Stando alla credenza popolare e filosofica dei primi secoli avanti e dopo Cristo, le anime non si disperdevano quando lasciavano la dimora corporale, come invece riteneva l'opinione popolare al tempo di Platone.

Al contrario, una volta giunte nell'atmosfera omogenea alla propria costituzione vi vivevano indefinitamente come pulviscolo solare (pitagorici) o, a giudizio degli stoici, si estinguevano in quanto sostanze indipendenti al momento della conflagrazione finale di ogni ciclo cosmico. In quel momento, si univano al proprio principio, all'Etere o in esso si stemperavano.

Secondo la descrizione del mito finale del Fedone di Platone, il giudizio divide le anime in cinque gruppi.
2-- Al punto estremo del bene troviamo quelle di coloro che «hanno vissuto santamente» diviso in due sezioni la migliore delle quali è costituita dai veri saggi, i filosofi.
3-- Nella zona della malizia si ritrovano le anime di quanti hanno commesso crimini inespiabili.
4-- Infine, nella zona intermedia, sono le anime responsabili di mancanze espiabili e le anime che hanno tenuto una condotta ove opere buone e opere cattive si trovano in misura relativamente proporzionata.

I due punti estremi ricevono immediata sanzione.
1-- Le anime dei filosofi, le uniche totalmente smaterializzate, acquistano una « " vita senza corpo", felice; invece, quelle dei condannati per crimini inespiabili precipitano nel Tartaro dal quale non possono più uscire, secondo l'escatologia del Fedone, anche se nel Fedro non si parla di castighi eterni.
5-- Le restanti anime, prima di reincarnarsi, devono rimanere nella palude Acherusia, luogo di purificazione.


Nei poemi omerici soltanto gli eroi o quanti erano imparentati con gli dèi (Eracle-Ercole, Annona, Cadmo), in via eccezionale e in considerazione del loro rango sovrumano, non propriamente mortale, possono approdare a un luogo di felicità, ai Campi Elisi.


Per Omero vi è una sola forma di vera sopravvivenza e immortalità, quella che godono gli Immortali, designazione che definisce l'essenza degli dèi, e quanti sono ad essi associati (semidei, eroi)

Nell'aldilà della morte, non vi è ne felicità, ne buona sorte. Parimenti, però, l'elemento umano che sopravvive non è soggetto a torture e a castighi da inferno dantesco.

Nel libro undicesimo dell'Odissea, Omero descrive i castighi ai quali sono condannati alcuni personaggi: Tizio, il suo «fegato era mangiato dagli avvoltoi, uno per lato, senza che potesse respingerli con le mani»; Tantalo, «in piedi, nel mezzo di un lago... assetato, non riusciva a dissetarsi poiché tutte le volte che si piegava per bere, l'acqua si abbassava assorbita dalla terra». Sisifo, condannato a sospingere «un enorme macigno» che «quando è prossimo a superare la vetta, per una forza misteriosa, rotola nuovamente a valle...».

Sono i classici castighi della mitologia greco-romana e della letteratura romanza. Ma ancora una volta ci imbattiamo in esseri che non sono uomini comuni, dei semplici mortali. Si tratta sempre di semidei o di eroi, figure miti-che, che in più vennero castigati prima della morte, non dopo, per avere insultato od offeso direttamente e personalmente gli dèi.


Nei documenti antichi, il Tartaro non è mai di per sé un luogo di castigo degli uomini cattivi, anche se i suoi abitatori — almeno alcuni — sono davvero cattivi.

Naturalmente, la mancanza del premio o del castigo nell'aldilà della morte esclude la necessità di un giudizio che determini il destino felice o infelice dei morti. Se Minosse giudica i mortali per come hanno vissuto nella dimora terrena, l'oggetto delle sue sentenze — prima del dualismo platonico — non conceme il passato, le buone o le cattive azioni compiute nella vita terrena, bensì le dispute e le contese sorte tra le pallide ombre, cioè il presente sotterraneo. Al pari degli altri spiriti.

Minosse prolunga negli inferi i sistemi di vita proprio della terra. La vita e le attività nell'aldilà della morte altro non sono che proiezione evanescente, stuccata della vita e delle attività sulla terra.


I Greci parlavano di Campi Elisi, «paese lontano, dove non esistono freddo, né pioggia né tempeste, e dove soffia eternamente un dolce venticello mormorante dall'Oceano, che porta frescura agli uomini» (Odissea IV, 563). La felicità nei Campi Elisi era rappresentata come una festa continua fatta di pranzi e di danze, di luci e di musica, di giardini e di fiori. Press' a poco così pensavano l'aldilà anche i Romani.
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Nelle tradizioni dei Germani gli eroi caduti venivano accompagnati dalle Walkirie nel Valalla dove venivano accolti da Odino e Friga.




Lo zoroastrismo.

Negli scritti a lui attribuiti Zarathustra o Zoroastro non parla mai dell'anima, ne della fravasi, preesistente alla sua unione con il corpo. Invece, l'Avesta recente (di epoca posteriore alle Gatha, «canto» o Avesta antico, contemporaneo di Zarathustra, secolo VI a. C.) le dedica un poema in cui si parla già della fravasi degli uomini non ancora nati.

La fravasi, spirito protettore, finì con l'indicare una sorta di doppione di ogni uomo e delle stesse divinità. Secondo l'Avesta recente , l'anima rimane tré giorni nel luogo in cui l'uomo muore, anche dopo che ne sia stato sotterrato il cadavere. Ed è proprio in tal luogo che gli zoroastriani accorrono per fare davanti ad essa un inchino profondo, riservato alla divinità.

Qualora non si compissero le prescritte cerimonie, l'anima — soprattutto quella dei mentitori — è soggetta a tremendi rimorsi di coscienza. Al termine dei tré giorni, inseguita dalle potenze maligne di Ahriman e seguaci, l'anima deve attraversare il ponte Cinvat per sottomettersi al giudizio di tré giudici, Mitra, Sraosa e Rasnu, in cui è chiaro il parallelismo con Minosse, Eaco e Radamante della mitologia greca .


In Cina.

Secondo i principi della teoria medica cinese
-il Chi o corpo energetico e' considerato Yin,
-mentre il corpo fisico e' considerato Yang.

L'aspetto Yin del corpo (corpo energetico) é relazionato al pensiero, all'anima, allo spirito, mentre l'aspetto Yang (corpo fisico) è utilizzato per esprimere le decisioni o le pulsioni della parte Yin. Nessuna delle due parti può sopravvivere da sola, nè potrebbe esistere senza l'opposto che la complementa. I poli contrari devono necessariamente bilanciarsi e coordinarsi tra loro per permettere alla vita di manifestarsi. Quando la vita di un individuo perde il proprio equilibrio yin-yang sopraggiunge la malattia, la morte e la decomposizione.


Il Chi, l'energia, è la fonte non visibile della vita: le azioni e l'esistenza stessa del corpo fisico sono le sue manifestazioni. Quando lo Yin è forte, anche le manifestazioni dello Yang possono essere forti. Quando lo Yin è debole o troppo forte, il rapporto Yin e Yang si sbilancia e insorge una malattia.
Per questa ragione lo scopo primario della medicina cinese é quello di mantenere un corretto bilanciamento dello Yin e dello Yang .

Alla fine dell'esistenza, con la morte, l'uomo giunge al riposo, ritorna al suo apogèo (alla perfezione integrale, l'unione con il cosmo).

Per i cinesi gli uomini non hanno una, ma due anime: una più "spirituale", che può, dopo la morte, diventare uno shen (spirito, entità benefica); l'altra più "materiale", che potrebbe tramutarsi in gui (demone, entità capace di fare del male). L’anima terrestre proviene dal seme umano e l’ anima aerea si forma al momento della nascita attraverso la prima aria che si respira.Quando l’uomo muore l’anima terrestre rimane sulla terra e l’altra va in Cielo.

Se la persona è identificata con il Tao essa si integrerà per sempre con l’armonia universale di Terra e Cielo,come gli dèì sarà immortale giusta e felice. Se non è identificata con il Tao essa non andrà in Cielo ma morirà per sempre nella disarmonia con Cielo e con la Terra ,cioè nell’Inferno dei demoni e fantasmi, per sempre separata dalla felicità.
Dottrine oscure
Dopo la morte, dopo le onoranze funebri, da quando il proprio nome veniva iscritto nella tavoletta del Tempio Imperiale o del tempietto famigliare si entrava a far parte degli Antenati.

In Cielo YU-HUANG premia le azioni ed i pensieri benevolenti.
Nell’Inferno, dove dimorano i demoni, punisce gli atti ed i pensieri malvagi. Nella mitologia cinese si narra di una paradiso collocato nelle "Isole Felici", in mezzo alle quali è costruita una magnifica dimora, detta il Palazzo dell'Immortalità, che galleggia sulla superficie dell'Oceano, con le tre divinità che attraversano il mare: il dio della lunga vita, il dio della felicità, il dio che distribuisce i premi.


Induismo

La salvezza nell'induismo non è cercata fuori da sé: il paradiso è dentro di noi, basta saper gestire bene le forze del nostro spirito e contemplare la realtà vera, quella spirituale, e non le cose materiali, che sono solo realtà apparenti. La vita non è un pellegrinaggio verso un altro mondo, bensì un cammino per trovare la nostra propria anima (o il nostro Atman). E chi non riesce a finire questo cammino di purificazione in vita, è costretto a rinascere altre volte, fino a trovare la via giusta. Questa è la sorte dei più. 

Alla morte l'anima compie un viaggio verso la Luna. Qui subisce un interrogatorio di tipo iniziatico: se non risponde bene torna sulla terra e trasmigra in un corpo nuovo per una nuova esistenza; se dimostra di " sapere" percorre la via del Sole , la via degli dèi, dei paradisi divini..

Qui incontrano il Brahman che le sottopone a nuove iniziazioni finchè raggiungono la perfetta conoscenza-essenza. I paradisi del Brahman sono 5 : quello di Indra, popolato da musicisti e danzatrici; quello di Shiva e della sua famiglia; quello di Visnù , ricoperto di oro e ricco di laghi su cui galleggia il loto; quello di Krishna , con danzatrici e devoti; quello di Brahma, popolato di ninfe celesti che servono le anime.


Ovunque nei cieli palazzi dorati tempestati di gemme preziose, giardini paradisiaci, musica, canti, danze eseguite da bellissime fanciulle.
Questi paradisi non sono però eterni: C'è , secondo i Brahmana, una seconda morte, che coincide con l'inizio di una reincarnazione dell'anima che darà inizio a nuove trasmigrazioni.

La dimora sotterranea delle anime peccatrici è Yama. E' la dimora " senza sole" ,nelle viscere della terra, dove regnano le tenebre, cieche e causa di cecità. I Brahamana descrivono i tormenti delle anime che soggiornano nello Yama. Esso è costituito da 21 Inferni dove le pene inflitte alle anime sono in crescendo drammatico.

Buddhismo

Per i buddhisti la via della salvezza è il nirvana che significa estinzione di quel desiderio smodato di vivere che si manifesta con l'avidità, la collera, l'ignoranza e lo smarrimento, che sono la fonte di tutti i mali di questo mondo. Chi raggiunge lo stato nirvana raggiunge l'esistenza definitiva e reale.

L'escatologia musulmana

"Il giudizio divino particolare dell'anima o "interrogatorio della sepoltura" avviene alla morte ed è effettuato da due angeli (Munkar e Nakir) .Ogni musulmano defunto vive nella attesa della resurrezione dei morti e del giudizio universale che sarà orale e pronunciato da Allah stesso.
-per i sottomessi ad Allah: Premio doppio=contemplazione di Allah e piacere dei sensi di ogni sorta.
-per gli infedeli: Castigo doppio=separazione da Allah e tormenti di ogni sorta inflitti da demoni, ma non è previsto un Inferno eterno.
-Purgatorio per i rei di peccati mortali morti improvvisamente (senza aver avuto la chance del pentimento e della conversione)
-Limbo: per i dementi e, i bambini degli infedeli (= gli incapaci di intendere e volere)

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