Corso di Religione

         


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I CARCERATI I poveri spesso vanno in prigione. Sono persone in condizione di bisogno sociale ed economico, "sulla strada", o con gravi difficoltà personali; sono stranieri, tossicodipendenti, alcolisti, malati di AIDS.

L'amicizia con questi fratelli ha condotto alcune persone della Comunità a visitare le carceri in Italia o in altri paesi europei, anche in Africa (ad esempio in Mozambico e in Guinea Conakry) e in America Latina (in Bolivia).

Il carcere, mondo chiuso e sconosciuto, è diventato luogo familiare, frequentato con regolarità da molti della Comunità di Sant'Egidio.

Il fondamento evangelico Gesù stesso si riconosce nel carcerato:

"ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi" (Mt.25,35-36).

Gesù non giudica e non condanna come fanno i tribunali delle nostre società civili. Egli muore tra due ladri, non tra due innocenti condannati ingiustamente, e a uno dei due dice: "Oggi sarai con me nel paradiso" (Lc 23,43). Gesù insegna a non giudicare e a non condannare: "Non giudicate, per non essere giudicati…"(Mt.7,1).

Il carcere : un mondo a parte Il carcere è un mondo a parte, non è mai come lo si immagina.
Il carcere è per eccellenza luogo di emarginazione e di isolamento.
La condizione di "carcerato" è innaturale, non-umana.

Alcuni uomini e alcune donne reclusi non ricevono mai visite. Le visite, la corrispondenza e il sostegno psicologico  possono diventare strumenti per fare del carcere un luogo dove mantenersi umani .

La visita in carcere vuole dire rifiuto dell'emarginazione e dell'isolamento. Per i detenuti noi siamo il mondo esterno e le nostre visite creano un ponte, un legame con il mondo esterno.

E mentre portiamo il mondo esterno tra le sbarre, allo stesso tempo portiamo nel mondo libero ciò che accade dietro le mura della prigione. Le situazioni di ingiustizia e di grave disagio che osserviamo sono infatti numerose e poco conosciute.

Chi perde la libertà insieme perde anche un po' la sua dignità di persona. Stare vicino a chi ha ricevuto una condanna vuol dire accompagnare persone che attraversano periodi e situazioni difficili della loro vita.

Il detenuto non si identifica con il suo reato. L'assenza di ascolto e di risposte può portare a gesti estremi. La depressione e la scelta di strumenti di lotta quali lo sciopero della fame, il rifiuto della terapia o i gesti di autolesionismo, sono frequenti.


Essi sono il segno del profondo malessere provato fra le mura della prigione, rappresentano la richiesta di essere ascoltati e rispettati.

Per chi è stato condannato, e quindi allontanato dalla società, parlare con qualcuno che non sia un parente, un avvocato o un magistrato, vuol dire essere riconosciuto come persona, essere rispettato e, in un certo modo, "reintegrato".

Per chi ha varcato la soglia del carcere ricevere una visita, fare un colloquio significa poter avviare un legame di amicizia.

Nelle carceri italiane molti detenuti non hanno biancheria e indumenti, né li ricevono dall'amministrazione. Può capitare infatti che chi viene arrestato in estate, finisca col rimanere in maglietta anche a dicembre.

Sensibilizzare i responsabili, i legislatori e l'opinione pubblica, comunicando istanze di umanità e di giustizia, è un compito importante.

I condannati a morte Corrispondiamo con 350 detenuti condannati alla pena capitale, la maggior parte sono reclusi nei bracci della morte degli Stati Uniti, una parte minore nelle carceri Russe, in Siberia, dove però attualmente tutte le condanne sono state commutate in ergastoli, altri nelle carceri di paesi africani.

Molti condannati a morte fanno esplicita richiesta di avere rapporti epistolari con persone in ogni parte del mondo. La corrispondenza è in effetti il solo spazio libero nella vita di queste persone.

Scrivere e ricevere posta è come spezzare le sbarre per far passare le parole e l'affetto che vengono da fuori, anche da molto lontano. Questa amicizia di "carta" contiene interesse, dignità, affetto, fedeltà.

Comune a tutti i bracci della morte è la solitudine e un'inquietudine che aumenta via via che diminuiscono le speranze di sopravvivere. In queste condizioni avere un amico, qualcuno che ti vuol bene e che ti scrive è un po' come trovare un tesoro.

Le storie dei condannati a morte sono, sotto molti aspetti, storie di povertà, simili a quelle di tanti che conosciamo. Attraverso la corrispondenza con i condannati a morte abbiamo capito meglio cosa vuol dire vivere nella segregazione totale e senza almeno un po' di speranza.

La maggior parte di loro trascorre 23 ore al giorno in una cella il cui spazio è limitato a un letto e una sedia, in assenza di qualsiasi intimità, con le luci sempre accese, di giorno e di notte. Alcuni detenuti sono analfabeti o scarsamente scolarizzati. Ci sono persone che hanno imparato a leggere e scrivere durante la detenzione. Inoltre ci sono anche degli handicappati mentali.

....Quindici anni fa, se fossi stato ucciso in uno scontro a fuoco con qualcuno di quell'ambiente, sarei morto senza amici e solo, e nessuno, oltre alla mia famiglia, si sarebbe preoccupato della mia morte. Ora so che non morirò solo e senza amici.

So che morirò amato da altri, oltre che dalla mia famiglia. La famiglia ti deve amare, e in questo non ha scelta, ma nelle amicizie si può scegliere. Gli amici si scelgono gli uni con gli altri perché c'è un legame, qualcosa in comune, da qualche parte. Forse non scopriremo mai dov'è, ma c'è.

E così, per concludere, sei un mio amico, per qualche ragione sconosciuta, e per tale amicizia ti ringrazio. E' una benedizione nella vita di qualcuno con un passato come il mio poter dire che ha veri amici.

Mi hai aiutato durante i più duri tredici anni della mia vita. Grazie per essere stato presente. Grazie per essere stato mio amico. Grazie per il tempo della tua vita che mi hai dedicato. Dire grazie non mi sembra sufficiente per esprimere tutto quanto. Sappi che è stata la tua amicizia a fare la differenza.

Con il più profondo amore.

D.
[Dalla lettera di un condannato a morte, tre giorni prima della sua esecuzione.]

Proposte di impegno ai detenuti Anche chi è in carcere può fare qualcosa per gli altri, senza lasciarsi andare a sentimenti di depressione, di rifiuto e di vittimismo.Per questo, in diverse maniere, in questi anni abbiamo coinvolto i detenuti ad impegnarsi su tematiche in difesa dei diritti umani e civili.

L'impegno contro la pena di morte Come è noto la Comunità di Sant'Egidio ha proposto una raccolta internazionale di adesioni per sostenere la moratoria universale della pena capitale. L'iniziativa si è estesa anche ad alcune realtà penitenziarie in Italia, in Spagna, in Camerun e in Madagascar.

Nel corso della campagna si sono tenute assemblee sul tema della pena di morte con i detenuti dei penitenziari a Barcellona, a Roma (Rebibbia maschile e femminile) e a Milano (San Vittore). I detenuti hanno mostrato entusiasmo. (lettera di un detenuto)

La raccolta di firme contro la pena di morte nelle carceri ha superato le 20.000 adesioni.
L'impegno per aiutare le popolazioni colpite dalla guerra in Kosovo Nel mese di aprile 1999, per iniziativa di alcuni detenuti di Roma, abbiamo proposto all'interno dei penitenziari italiani di sostenere le attività della Comunità di Sant'Egidio in favore dei profughi di guerra.
Il contributo dei detenuti ha sostenuto le attività delle scuole della pace per i bambini, degli ambulatori, l'aiuto agli anziani ricoverati nell'ospedale di Kukes e gli interventi sanitari di prevenzione delle epidemie e di controllo delle acque.
L' impegno per l'Africa: l'alluvione in Mozambico A partire dal 6 febbraio 2000 il Mozambico, uscito da 16 anni di guerra civile e da un milione di morti, è stato travolto da piogge torrenziali che hanno lasciato senza tetto centinaia di migliaia di persone.
Anche in questa occasione alcuni detenuti si sono mobilitati in una solidarietà concreta, sostenendo il piano per la distribuzione di aiuti in 38 punti del paese, avviato dalla Comunità di Sant'Egidio.

Un sostegno concreto In molte carceri del mondo i membri della Comunità visitano i carcerati. I nostri interventi sono caratterizzati soprattutto da un atteggiamento di ascolto, di continuità e di amicizia con i detenuti. Rispondere alle loro richieste vuol dire attivare interventi di solidarietà concreta. Segretariato sociale.

Espletamento di pratiche burocratiche, ricerca di lavoro e reperimento di sistemazioni alloggiative al momento dell'uscita dal carcere.
Non lavoriamo da soli ma in rete con tutte le figure professionali: gli educatori, gli assistenti sociali dei servizi socio-sanitari territoriali, il personale delle strutture esterne di accoglienza (dormitori, mense sociali, centri di accoglienza, ecc)…

Interventi di prima assistenza consistono nella distribuzione di cibo e di indumenti. All'interno dei penitenziari, non soltanto in Africa ma anche in Europa, sono necessari interventi di questo genere. Ad esempio, a Roma vengono distribuiti mensilmente dai 200 ai 400 capi di vestiario (biancheria intima, asciugamani, accappatoi, tute da ginnastica, felpe, pantaloni, maglioni, giubbotti, scarpe).

Assistenza legale. Si prendono contatti con gli avvocati, i Tribunali di Sorveglianza, gli assistenti sociali, le autorità competenti, al fine di trovare soluzioni perché tutti possano godere dei ditritti previsti dalla legge.
Informazione, orientamento sui contenuti delle normative, degli ordinamenti penitenziari e sulla loro applicazione.

A Roma, al momento della scarcerazione, per orientarsi nella città, viene distribuito il vademecum "Dove: mangiare, dormire, lavarsi", edito dalla Comunità. Per le persone che risultano cancellate dall'anagrafe, la Comunità a Roma offre un indirizzo ai soli fini anagrafici. Questo permette di ottenere il documento di identità, di usufruire dell'assistenza sanitaria, di entrare presso una Comunità terapeutica, di ricevere posta.

Mediazione culturale. Sono indispensabili per gli stranieri le spiegazioni sui contenuti delle normative e sui regolamenti interni al complesso mondo carcerario.

La distribuzione di libri e dizionari, in mancanza di un corso di lingua, offre un aiuto decisivo per permettere a uno straniero di comprendere e comunicare.

Monitoraggio del rispetto dei diritti della persona. Le condizioni di vita osservate e le difficoltà individuali prospettate dai detenuti nel corso dei colloqui, vengono trasmesse quali istanze di giustizia, nelle sedi istituzionali e non, più opportune.

Sostegno umano e psicologico. Attraverso colloqui regolari, animazione culturale e sociale e la partecipazione a momenti ricreativi. I rapporti con le famiglie in Italia e all'estero per contrastare l'isolamento e la depressione. Le visite a detenuti trasferiti in altri penitenziari e/o la corrispondenza, la continuità nell'amicizia.

Catechesi. Organizziamo per chi lo desidera degli incontri sul Vangelo seguendo un itinerario di catechesi mirato.

La festa. Quando è concesso dall'amministrazione carceraria, come a Natale, realizziamo momenti di festa.

...Ho 46 anni, da molto tempo ristretto in carcere, sono privo di ogni affetto familiare e bene economico. Tra me e il mio compagno di cella non abbiamo neanche il denaro sufficiente per poter acquistare una scatola di detersivo per poterci lavare i panni.

Speriamo che l'ultimo francobollo in nostro possesso, giunga a persone serie, affinchè il loro buon cuore possa aiutare chi ha sbagliato ma è pronto per affrontare una vita nuova e onesta e per potersi reinserire nella società. ...


La vita in carcere Ammalarsi in carcere

La vita in carcere mette a grave rischio la salute.La denutrizione è una prima, immediata causa di indebolimento e quindi predispone a tante malattie. Ma anche la mancanza di spazio e la carenza di misure igieniche favoriscono l'insorgere di patologie gravi, come la tubercolosi, o il colera, che facilmente portano alla morte.

Per una piccola colpa, quindi, si rischia la vita. La libertà, nei tempi dovuti, significa non solo migliorare l'esistenza, ma spesso salvarla.

Programmi di aiuto alle carceri Nelle carceri di molte città del Mozambico, come Pemba, Lichinga, Cuamba, Quelimane, Beira, le locali Comunità di Sant'Egidio sono presenti da oltre 5 anni. Lavorano per migliorare la vita dei detenuti, garantire e promuovere il rispetto dei diritti umani, intraprendere progetti di formazione e riabilitazione, per prevenire il rientro in carcere.

Ma cercano anche di assicurare i diritti fondamentali di ogni uomo e donna, per garantire la sopravvivenza e la dignità: nutrirsi, vestirsi, curare l'igiene.

L'intervento della Comunità si è realizzato su vari piani:

1. diritti umani:
La presenza nelle carceri, la visita, è il primo, importante intervento di tutela dei diritti umani, che permette di portare a conoscenza le eventuali violazioni, di individuare le necessità più urgenti, di sostenere, laddove ce ne sia bisogno, un processo legale.

Non è raro rilevare che, per motivi sempre legati alla povertà, alcuni detenuti restano in prigione "dimenticati", anche per anni, in attesa di giudizio o a pena già scaduta, per mancanza di tutela legale. L'intervento della Comunità ha permesso di portare a conoscenza e di sanare centinaia di casi di questo tipo.

2. formazione:
Un'altro diritto fondamentale è quello alla dignità personale ed alla promozione della persona. Per questo vengono organizzati:
- corsi di alfabetizzazione, che si concludono con un regolare esame di stato di livello elementare;
- corsi professionali per calzolai, impagliatori, falegnami, lavoratori dello zinco, lavoratori della terracotta. Questa formazione professionale prepara il reinserimento nella società allo scadere della pena.

3. l'aiuto alimentare:
La denutrizione e la malnutrizione rappresentano una pena in più, un surplus di ingiustizia. Il cibo infatti è il primo diritto da garantire, fondamentale per la sopravvivenza. Per questo, in molte prigioni africane, le locali Comunità di Sant'Egidio visitano regolarmente i prigionieri e portano loro il cibo. Questo tipo di aiuto, all'inizio legato alle feste di Natale o di Pasqua, è diventato un intervento regolare, che raggiunge oggi migliaia di persone.

4. l'aiuto sanitario:
Insieme al cibo, il diritto alla salute, sia attraverso condizioni igieniche umane e che garantendo la possibilità di cura è un altro diritto inalienabile di ognuno.

La Comunità interviene per migliorare le condizioni di salute dei detenuti attraverso dei piccoli progetti. In alcune prigioni sono stati possibili interventi strutturali.

- Sono stati così costruiti due "Postos de saúde", cioè due piccoli ospedali, per complessivi 17 posti letto, nelle carceri di Lichinga e di Cuamba;
- sono state ristrutturate oltre 12 latrine ed è stato rifatto l'intero impianto idrico;
- sono stati installate delle "cisterne" per raccogliere l'acqua.

Le visite regolari delle locali Comunità di Sant'Egidio, in molte carceri del paese, per portare cibo e medicine, i programmi di aiuto e gli interventi strutturali, hanno reso possibile una conoscenza approfondita della situazione di molte carceri del Mozambico.

Sono stati identificati numerosi prigionieri che, condannati a piccole pene, non possono però fare ritorno a casa perché privi di mezzi. Non possono, cioè, pagare quelle piccole somme (da 20 a 155 Euro) necessarie ad ottenere la libertà. L'iniziativa "Liberare i prigionieri", nasce dal contatto diretto con queste situazioni di sofferenza.

Si prefigge soprattutto il ritorno a casa di detenuti per piccoli reati aiutandoli a pagare la cauzione e le spese legali.

Quanto vale un giorno di vita? In Mozambico, per un detenuto per piccoli reati, un giorno di vita vale 50 centesimi di Euro. Il furto di una mela, di una barra di sapone, di due galline: sono questi i "reati" commessi da tanti prigionieri nelle carceri del Mozambico. Per questi piccoli furti si scontano spesso pene molto lunghe.

A volte, quando il prigioniero - povero, perché poveri sono coloro che compiono questo genere di reati - non può pagare le spese legali o estinguere la pena pecuniaria, rischia di rimanere degli anni in prigione. Ed ha rubato pochi alimenti.

Infatti, in Mozambico, come in molti paesi, la pena è fatta di due parti, una detentiva ed una pecuniaria. Per tornare in libertà è necessario pagare una cauzione, che comprende anche il rimborso per le spese legali. Chi non può pagare resta in carcere più a lungo.

La durata della detenzione è in proporzione alla cifra da pagare: all'incirca un giorno in prigione in più per ogni 50 centesimi di Euro che non si riescono a pagare. Per i poveri, quindi, le porte della prigione restano chiuse, a volte indefinitamente. Inoltre, la vita nelle carceri è particolarmente dura e difficile: alla privazione della libertà si aggiungono la carenza di cibo, di abiti, di spazio.

E' facile ammalarsi, anche gravemente, e si rischia di morire. La denutrizione, la tubercolosi, a volte il colera, aggrediscono con facilità persone già provate da una vita povera e rese ancora più deboli dalla detenzione.

PROGRAMMI DI ADOZIONE I nostri programmi di adozione:

Con solo 155 Euro si restituisce un anno di vita a chi sta in prigione per reati minori e non può pagare le spese legali e la cauzione. Sono 50 centesimi al giorno. Ma bastano per salvare una vita.

Alfredo ha gli incubi ogni notte: sogna ancora la cella affollata, le urla, la rissa per la minestra. Lui, il più piccolo dei 60 uomini stipati in quello stanzone, quasi un bambino con i suoi 13 anni, ha spesso la peggio, in un mondo di "grandi". E quella gamba, più corta dell'altra dalla nascita, che quasi non si piega, lo fa arrivare sempre ultimo alla fila per il pasto, quando, ormai, non è rimasto quasi niente.

Le sue paure, ha cominciato a confidarle ad uno di quegli amici, poco meno poveri di lui, che con fedeltà visitano i prigionieri e insegnano loro a leggere e a scrivere: piano piano, ha conosciuto un "grande" non così duro. E, dopo mesi di silenzio, Alfredo comincia a parlare: racconta con nostalgia della famiglia lontana. Non tanto, ma 80 km, senza mezzi di trasporto, sono un abisso. I suoi non hanno più notizie di lui da mesi: la vergogna lo ha fatto tacere anche con loro. Si ricostruiscono i fili del rapporto con la famiglia: Alfredo non è morto, è "solo" in prigione.

Non ci è voluto tanto per farlo uscire, lui, il piccolo ladro bambino, con la sua povera gamba malata: la sua libertà, la sua infanzia negata, valevano "solo" 50.000 lire.

Handicap mentale L'istituzionalizzazione degli handicap riguarda ancora molti bambini handicappati nei paesi dell'Europa: in Svezia, ad esempio, il 10% dei bambini disabili vive in istituto, in Germania il 5,90%.Queste percentuali sono simili a quelle di paesi europei poveri come la Romania, con l'11% o la Russia, con il 6%. In Italia, invece, l'istituzionalizzazione riguarda solo il 2,30% dei bambini handicappati e in Spagna si ha la percentuale più bassa d'Europa: il 2%.

È evidente che il diverso approccio all'istituzionalizzazione dei bambini disabili dipende, oltre che dalla prosperità economica di un paese, dalla mentalità e dalla cultura.

Nelle grandi città non pochi finiscono per vivere sulla strada e diventano mendicanti. Altre volte vivono in famiglia, quasi nascosti per evitare umiliazione e vergogna.

Nei paesi dell’Est europeo i bambini con handicap vengono ricoverati in grandi istituti e vi restano per tutta la vita .

In Russia, ad esempio, su 340.000 bambini istituzionalizzati, 232.000 sono disabili. Il crollo delle economie statali ha ulteriormente peggiorato le condizioni di vita.

In Albania la malnutrizione e la povertà sono la causa di gravi disturbi dello sviluppo psicoevolutivo dei bambini.

Nei paesi più industrializzati come l’Europa Occidentale e il Nord America l’inserimento scolastico, gli interventi di tipo riabilitativo o abitativo e i sussidi economici sono gli aspetti più rilevanti di politiche positive e attente verso chi ha un handicap.

La scolarizzazione degli handicappati mentali è un principio stabilito ormai dalle legislazioni di molti di questi paesi, anche se possono variare le modalità di intervento.

In Francia, ad esempio, gli handicappati mentali sono seguiti da insegnanti a domicilio o sono inseriti in istituti e centri diurni specializzati. In Germania per tutti coloro che presentano disabilità intellettive o comportamentali, è stabilito l’inserimento obbligatorio nelle “scuole speciali” (specificamente selezionate a seconda del tipo di handicap).

In Italia, invece, la legislazione prevede l’integrazione degli handicappati nelle scuole di ogni ordine e grado, attraverso l’inserimento nelle classi e con l’aiuto di insegnanti di sostegno, dotati di una specifica formazione.
Sono note le difficoltà che ancora molte famiglie incontrano, per la presenza di barriere architettoniche negli edifici scolastici, per la carenza di personale di sostegno ed ausiliario, per una proposta didattica e formativa davvero “personalizzata”, che tenga conto delle esigenze specifiche di ciascuno.

In ogni caso per i bambini con handicap l’esperienza della integrazione scolastica è, in genere, assai importante. Oltre all’indubbio valore dell’apprendimento cognitivo, rappresenta un notevole stimolo per la socializzazione e la relazione con gli altri.

L’età adulta segna assai spesso la fine di qualsiasi integrazione o intervento riabilitativo, anche se molti handicappati hanno ancora voglia di imparare cose nuove, di raggiungere un’autonomia nei gesti della vita quotidiana, di stare insieme agli altri.

L’età adulta segnala, in maniera sempre maggiore, il divario che separa dai coetanei. La mancanza di un lavoro, ad esempio, rende molto diversa la vita quotidiana di chi è handicappato: sa di essere divenuto adulto, ma sente di non esserlo ancora appieno per la società.

Lavorare è un’aspirazione di molti handicappati mentali che vogliono superare la distanza dagli altri, sentirsi utili, capaci di dare un proprio contributo alla società. Ma inserirsi nel mondo del lavoro è ancora troppo difficile,anche nei paesi più ricchi.

Il futuro si presenta incerto e quando si resta soli l’istituto si prospetta come una delle risposte più diffuse.

Se gli anni Settanta e Ottanta sono stati segnati in molti paesi occidentali dalla critica alle istituzioni totali e dalla realizzazione di nuovi servizi (comunità-alloggio, case-famiglia e residenze protette), oggi si assiste purtroppo ad un ritorno al ricovero in istituto come la soluzione più semplice ed accreditata.

In Germania, ad esempio, gli handicappati mentali in età adulta sono inseriti in strutture chiamate “fabbriche specializzate” dove svolgono piccoli lavori di assemblaggio. Ogni fabbrica può accogliere dai 300 ai 400 handicappati che solo alla sera tornano nelle loro case o in altre residenze collettive.
Nelle forme tipiche di una società industrializzata queste fabbriche sono nuovi luoghi di “custodia”, non meno ghettizzanti degli istituti tradizionali.

Paesi poveri
Nei Paesi poveri più del 5% dei bambini nasce con un handicap o diventa handicappato durante l’infanzia. Questa percentuale arriva fino al 10-15% nei paesi dell’Africa sub-sahariana. Le cause sono in primo luogo la malnutrizione e la povertà, a cui si aggiungono le gravi carenze del sistema sanitario. Spesso non esistono interventi a favore dei bambini con handicap e le famiglie, senza alcun aiuto, non riescono a provvedere alle loro necessità.

Lezha - Albania La Comunità di Sant’Egidio ha condotto uno studio per valutare il livello di disabilità e i relativi bisogni assistenziali nella popolazione al di sotto dei 18 anni e ha avviato nel distretto di Lezha, dove è stata rilevata una prevalenza di disabili del 5,38%, un centro di riabilitazione psico-motoria.

La grave non autosufficienza di molti bambini e giovani disabili dovuta spesso agli esiti di paralisi cerebrale infantile e seguita da ritardo mentale e sordità, può essere notevolmente migliorata grazie ad un appropriato programma di riabilitazione e ad un precoce inserimento scolastico.

L’istituzionalizzazione è la pratica di intervento più diffusa anche in alcune grandi città dell’America Latina. La maggior parte degli handicappati mentali ricoverati in queste strutture vivono in un grande stato di solitudine, emarginazione ed abbandono.

Passano le giornate nel silenzio, senza che ci sia nei loro confronti alcun intervento di tipo riabilitativo. Molti di loro nemmeno esistono dal punto di vista anagrafico: non ci sono documenti che attestano il nome, il luogo e la data di nascita.

Africa

In Africa sono numerosi i casi di bambini traumatizzati o mutilati per effetto della guerra (particolarmente grave la situazione del Mozambico a causa delle mine antiuomo e del Ruanda) e affetti da un handicap mentale perché colpiti da malattie che nel mondo occidentale sono state ormai debellate.

In questi paesi la percentuale dei giovani al di sotto dei 15 anni affetta da un handicap oscilla tra il 10 e il 25%. Pochi sono quelli che arrivano all’età adulta. Secondo la stessa fonte nei paesi industrializzati la percentuale dei minori disabili è tra il 4 e l’11%. (UN, Disability Statistic Compendium ,1990).

Handicap mentale e felicità

Le persone con handicap mentale possono essere felici e dare felicità agli altri.

Gli handicappati mentali sono felici quando sono circondati dall’amicizia, dalla stima, dalla solidarietà. L’handicap può non essere un ostacolo, anzi può diventare un modo diverso, più sensibile e profondo di vedere il mondo. L’handicap non è una condanna, né una condizione di per sé triste ed infelice. L’infelicità degli handicappati dipende spesso dall’essere esclusi ed isolati, dall’essere rifiutati dalla società.

Vivere accanto agli handicappati mentali è un arricchimento in umanità e può far maturare una comprensione della vita più larga e profonda. Gli handicappati mentali, infatti, possiedono una comprensione di quello che nella vita è essenziale. Questa “sapienza” non ha sempre modi diretti per esprimersi, ma può trovare nel rapporto con gli altri la maniera di manifestarsi.

Gli handicappati mentali possono dare un contributo prezioso alla nostra società ed essere artefici di un cambiamento di mentalità e di cultura assai importante. Mostrano che si può essere felici in ogni condizione della vita se si è circondati dall’amicizia, in un atteggiamento fiducioso ed aperto agli altri. Sono un richiamo ai valori della gratuità e della solidarietà, dell’amicizia e dell’accoglienza senza i quali è impossibile vivere pienamente.

Nella storia di amicizia con le persone con handicap mentale ci siamo incontrati con la fede profonda di molti di loro. Alcuni avevano già ricevuto un’istruzione religiosa, per altri l’incontro con la Comunità ha rappresentato la possibilità di conoscere il Vangelo.

Attraverso la catechesi e la partecipazione alla liturgia e ai sacramenti gli handicappati hanno rivelato energie e capacità di comprensione e di adesione al messaggio evangelico, di preghiera, di sensibilità ai grandi problemi del mondo e di impegno per gli altri. La “comprensione” del messaggio evangelico e della sequela non riguarda, infatti, solo le facoltà razionali, ma si estende alla vita, al cuore, all’affettività.
E’ l’esperienza che gli handicappati mentali fanno nel cammino di fede.

Gli handicappati mentali sono, allora, a pieno titolo membri della comunità cristiana, anzi destinatari privilegiati della comunicazione del Vangelo e della vita sacramentale. La comunicazione del Vangelo

A partire dagli anni ’80 si è sviluppato nella Chiesa cattolica un ampio dibattito sull’accoglienza degli handicappati nella comunità ecclesiale e sulla loro partecipazione ai Sacramenti. Se si è d’accordo sull’accoglierli e renderli partecipi della liturgia e della vita parrocchiale, i pareri divergono sull’ amministrazione dei Sacramenti nella misura in cui si pone l’accento sulla verifica della comprensione intellettuale e della volontà del soggetto che riceve il Sacramento.

Si pensa che la fede per essere matura debba trovare parole o categorie razionali per manifestarsi. Se questa manifestazione non c’è, come alcuni sostengono, e questo è il caso che può riguardare chi è handicappato mentale, non si può parlare di fede piena e matura. Più l’handicap è grave, inoltre, e più si ritiene sia difficile che questa fede si esprima, possa essere educata e possa crescere. Sono questi i motivi addotti per giustificare in alcuni casi il rifiuto di Sacramenti quali la cresima e l’eucaristia.

Ma se scorriamo le pagine dei Vangeli ci accorgiamo che la fede è anche qualcos’altro.

E’ anzitutto un dono, è una fiducia molto concreta nella potenza di Gesù che guarisce e salva, come testimoniano tutti i racconti evangelici di guarigione dei malati. Essa si esprime in modi molto vari, in un gesto che avvicina a Gesù, nella semplice richiesta d’aiuto o nel grido di pietà.

La comprensione del messaggio evangelico, infatti, non riguarda solo le facoltà razionali, ma si estende alla vita, al cuore, all’affettività. La Comunità di Sant’Egidio è impegnata da molti anni nella catechesi e nella preparazione ai Sacramenti, in particolare degli handicappati adulti.

A partire dalle difficoltà dell’handicap, sono state elaborate specifiche catechesi che presentano modalità di comunicazione innovative, utilizzando anche sussidi iconografici.
Gesù per amico è il risultato di un lungo lavoro collettivo. Raccoglie il tentativo (riuscito) di mettere in comunicazione i disabili mentali con Gesù.

Là dove c’è poca possibilità di comunicazione tradizionale e dove astrazione, organizzazione del pensiero, comunicazione lineare sembrano difficili, e difficile a volte è anche comunicare nella vita quotidiana, è maturata un’esperienza di grande speranza e che oggi si traduce in un percorso alla portata di tutti.

Dentro l’handicap mentale, senza ignorarlo ma senza essere rinunciatari, è maturato un vero e proprio itinerario di incontro con Gesù. Su questa strada sacramenti e feste liturgiche emergono naturalmente come parte e trasfigurazione della vita.

Il libro contiene indicazioni concrete, per gli educatori, gli operatori pastorali, i genitori, per tutti quelli che sono a contano con i disabili mentali. E contiene la proposta per un rapporto diretto, “caldo”, con il cuore del cristianesimo che va oltre l’handicap e rappresenta un interrogativo e una sfida per tutti. Gli autori sono riconducibili a quanti nella Comunità di Sant’Egidio hanno dato vita al movimento GLI AMICI, costituito da più di 1.000 persone con handicap mentale e dai loro familiari e amici.

L'ECOSOLIDARIETA' LA SOFFITTA E' un esempio di una solidarietà che non butta niente: si tratta di un mercatino aperto dalla Comunità nei locali attigui alla chiesa di San Calisto, a Roma in Trastevere, dove si possono trovare quegli oggetti che ci si aspetterebbe di trovare in una soffitta: vecchi libri, mobili e soprammobili, vestiti, dischi, oggetti etnici, cose curiose.

Modernariato oggetti non nuovi ma di grande fascino o di intatta utilità, rappresentano un giacimento che alimenta un 'autentica "Portobello" nel centro di Roma.

Tutte queste cose, spesso inutili o inservibili, che normalmente verrebbero buttate tra i rifiuti, rimesse a posto o ripulite trovano amatori o collezionisti. Il ricavato della vendita viene utilizzato per sostenere le attività della Comunità con i poveri. La soffitta è a Roma, in Piazza San Calisto - Orario : sabato 21.30-23.30 - domenica 11-13

Nel mondo ricco quello che non serve più si butta via anche se è ancora utilizzabile. Le tecniche migliorano, le mode cambiano, quello che si rompe non si aggiusta. Si può misurare la ricchezza o la povertà di una società anche dal volume di rifiuti che produce.

Infatti nei paesi poveri, dove le risorse sono scarse, si tende ad utilizzare ogni cosa fino alla sua distruzione. Nelle società ricche viceversa, si butta anche quello che potrebbe essere ancora utile e, di certo, utile a qualcun altro. Eliminare gli oggetti usati diventa un problema: è una causa in più di inquinamento dell'ambiente.

La Comunità di Sant'Egidio trova il modo di aiutare molte persone in difficoltà, in tanti paesi, servendosi anche di ciò che la nostra società scarta: vestiti usati o fuori moda, vecchi giocattoli, oggetti di ogni specie.

C'E' CHI HA FAME

La mancanza di cibo è uno degli aspetti più drammatici della povertà. Anche nelle grandi e ricche città europee è sempre più facile vedere persone che frugano nei cassonetti dell'immondizia per cercare cibo.

C'E' GENTE CHE NON HA DA VESTIRE!

Tante persone non hanno di che vestirsi nel Sud ma anche nel Nord del mondo. Per questo, la Comunità raccoglie indumenti: vestiti in buono stato, adatti a ciascuno, alla situazione, al clima.

C'E' CHI E' MALATO

Curarsi costa e le persone in difficoltà che si rivolgono agli ambulatori della Comunità di Sant'Egidio, spesso oltre la visita medica, che ricevono gratuitamente, chiedono anche le medicine perché non hanno la possibilità di comprarle.

AIUTARE AD ANDARE A SCUOLA

Andare a scuola è un diritto. Ma non tutti i bambini dispongono del necessario per studiare. Libri, quaderni, penne, cartelle, colori, costituiscono l'equipaggiamento necessario per esercitare concretamente il diritto allo studio.

FAR GIOCARE I BAMBINI NEL MONDO

Il Rigiocattolo è il nome di una iniziativa ideata dal Movimento del Paese dell'Arcobaleno e promossa in varie città europee nelle settimane che precedono il Natale.

UN REGALO PER CHI NON NE AVREBBE

Non c'è Natale senza regalo. Come in una famiglia nel giorno di Natale tutte le persone che partecipano al pranzo che la Comunità apparecchia per i poveri in tante parti del mondo, ricevono un regalo con il proprio nome, pensato e scelto secondo il bisogno e i desideri di ognuno.

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L'AZIONE STORICA DEL CRISTIANESIMO II
SOMMARIO

1- RADICI CRISTIANE DELL'EUROPA
2- VALORI CRISTIANI E PRINCIPI NON NEGOZIABILI
3- LA LEGGE DELLA CARITA''
4- CARITA' E LIBERTA'
5- LA PACE CRISTIANA
6- L'ORDINE DEL MONDO CHE REALIZZA LA FELICITA' UNIVERSALE
7- PACE E RELIGIONI
8- L'AZIONE STORICA DEL CRISTIANESIMO I
9- L'AZIONE STORICA DEL CRISTIANESIMO II
10-L'AZIONE STORICA DEL CRISTIANESIMO III
11- IL LAVORO DELL'UOMO
12- CRISTIANESIMO ED EUROPA - SAN BENEDETTO

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