Corso di Religione

         


powered by FreeFind


Le tappe della vitaFONTE: http://www.ucei.it/ -Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

" Le fasi attraverso le quali il singolo diventa parte del popolo e si mette in sincronia con esso sono:
- la circoncisione all'inizio della vita,
- la maggiorità religiosa nel passaggio dalla pubertà all'adolescenza,
- il matrimonio e la creazione di una nuova famiglia nell'età adulta
- ed infine la morte.


La nascita e la circoncisione
La circoncisione ( brit milà ) è il patto che lega il popolo di Israele in ogni suo componente maschio con D-o. La nascita di un bambino è una grande gioia e rappresenta anche l'obbedienza a un comandamento. Se il bambino è maschio, viene circonciso l'ottavo giorno dalla nascita.

Ogni figlio di donna ebrea è  ebreo. Questo segno nella carne (Brith Milath) lo fa entrare nell'Alleanza di Abramo e nella comunità di Israele.  L'ebraismo è un sistema di vita in cui tutti i momenti vengono vissuti anche su un piano religioso.


Nella Bibbia al capitolo 17 della Genesi è scritto:

"E parlò il Signore a Abramo: tu osserverai il mio patto; tu e la tua discendenza dopo di te per le generazioni future. Questo è il mio patto che osserverete tra me, voi e la tua discendenza dopo di te. Circonciderete tutti i vostri maschi. Circonciderete la carne del vostro prepuzio; questo sarà il segno del patto tra me e voi. All'età di otto giorni per le vostre generazioni, verranno circoncisi tutti i maschi"

La circoncisione oltre al significato più immediato di patto con D-o, ne ha un altro meno manifesto e conosciuto: il numero otto infatti secondo il "midrash" ha un significato simbolico che implica ciò che va oltre il naturale. E' come se l'uomo attraverso la circoncisione si assumesse la responsabilità di perfezionare la natura stessa e l'opera del creatore.

BAR MIZWAH (figlio della legge-il comdamento per il figlio)

L'uomo può, anzi deve, completare l'opera della creazione, ma all'interno di una logica e di una struttura ben definita. Per questo motivo, è necessario che si attenga esattamente alla parola e la esegua nei termini stabiliti.
Quindi la circoncisione deve essere effettuata all'età di otto giorni e non può essere rinviata se non per immediati problemi di salute del neonato. La sera prima della circoncisione si usa riunirsi per una serata di stuD-o in segno di augurio per il neonato.

L'obbligo della circoncisione ricade sul padre che generalmente delega questo compito a un circoncisore, in ebraico mohal. Alla cerimonia, nel corso della quale viene anche annunciato il nome del bambino, sono presenti anche parenti ed amici. Quando nasce una femmina si fa una festa nel corso della quale le viene imposto il nome. Tale cerimonia prende il nome di Zeved Ha-bat , cioè il dono della figlia. In passato dopo ottanta giorni dalla nascita di una femmina la madre si recava al Santuario per offrire il sacrificio, come prescritto dalla Torà, e per presentare alla Comunità la nuova nata.

La cerimonia consta di tre momenti: la lettura di brani biblici, la benedizione augurale alla neonata, la benedizione sacerdotale. Generalmente in questa occasione la madre recita la Benedizione per lo scampato pericolo, essendo il parto considerato come pericolo per la donna).

Nell'antica Giudea quando un neonato veniva alla luce, un albero era piantato per solennizzare la nascita. In seguito quando il ragazzo o la ragazza erano alla vigilia del matrimonio, il "loro" albero era tagliato per ricavarne i pali che sarebbero poi serviti per il baldacchino nuziale. Un altro momento importante sempre nella prima infanzia è quello del riscatto del primogenito   che avviene a trenta giorni dalla nascita.

La nascita del primo figlio è senza dubbio un momento esaltante per la coppia ed è quindi necessario sottolineare, proprio in questo momento in cui l'uomo può essere portato a sentirsi onnipotente.

L'atto del riscatto consiste nel consegnare a un discendente della famiglia di Aronne (cioè un cohen) alcune monete d'argento. Una tappa importante per l'individuo è lo studio. In varie comunità si usa ancora oggi spalmare di miele le prime parole che il bambino impara a leggere in modo tale da rendergli piùdolce lo studio e di fargli associare il ricordo del miele a quello dello studio.

La maggiore età religiosa La cerimonia del Bar Mizvah: a 13 anni il ragazzo entra nella maggiore età religiosa.

Da questo momento, l'ebreo diviene membro della comunitò ed è soggetto ai diritti e ai doveri religiosi e sociali derivanti dalla Torah.


Lo studio ha sempre avuto nell'ebraismo un significato particolare, anche perchè è attraverso lo studio che si trasmettono le tradizioni e si perpetua la Torah. I genitori hanno il compito di educare i propri figli e di trasmettere loro il patrimonio culturale fino a che il ragazzo non divenga responsabile del proprio comportamento morale e religioso.

Questo avviene quando compie tredici anni e diventa Bar Mizwah, cioè impegnato a tutti gli effetti all'osservanza delle norme ed entra a far parte del numero degli adulti che formano la Comunità. Questa tappa segna il passaggio a una vita religiosa responsabile, e da questo momento cessa per il padre l'obbligo di sorvegliare i doveri religiosi del figlio.

Da questo momento egli diventa un elemento valido per far parte di un minian (quorum di dieci maschi adulti per la preghiera).

Dopo il suo tredicesimo compleanno, alla prima occasione in cui viene letta la Torah, il ragazzo viene chiamato a "salire" alla Torah. Tale occasione viene sottolineata da una festa in suo onore che la famiglia offre ai parenti e agli amici. Per le ragazze l'onore e l'obbligo di osservare le tradizioni inizia a dodici anni e non a tredici.
Secondo l'halakhah (la legge ebraica), una ragazza raggiunge la sua maturità "legale" a dodici anni e un giorno. In molte comunità un uso piuttosto recente vede le ragazze celebrare in questo giorno la loro entrata nel mondo dei precetti con una cerimonia detta Bat Mizwah. Durante la cerimonia le ragazze debbono recitare alcuni passi biblici. Così come succede per i ragazzi, è uso in questo giorno festeggiare.

Il Matrimonio Anche il matrimonio è un mitsvah (un comandamento) in risposta alla parola di D-o: Non è bene che l'uomo sia solo (Genesi 2,18). I fidanzati sono posti sotto un baldacchino, simbolo del loro focolare. Dopo la lettura dell'atto di matrimonio, si recitano le sette benedizioni nuziali.Poi lo sposo spezza un bicchiere dal quale ha bevuto con la sposa, in ricordo della distruzione del Tempio.  

Il matrimonio è da una parte un accordo privato tra marito e moglie codificato da un contratto nuziale, e dall'altro un impegno che la coppia assume nei confronti della Comunità, in ottemperanza a quanto scritto nella Genesi e cioè: "Crescete, moltiplicatevi e popolate la terra".

Per l'ebraismo la vita solitaria è una sventura, il matrimonio senza figli un disastro e una buona moglie il maggior bene che si possa augurare ad un uomo.

La cerimonia del matrimonio ebraico si svolge preferibilmente all'aperto sotto un baldacchino nuziale i cui quattro angoli simboleggiano la casa che la coppia costruirà a partire da quel giorno. Nella diaspora spesso il matrimonio ha luogo nella sinagoga.

E' uso che gli sposi vengano "scortati" lietamente con danze e canti al baldacchino, e che dopo la cerimonia si continui ad allietare gli sposi durante il banchetto nuziale e durante i sette giorni che seguono. Durante la cerimonia viene letta la " ketubah ", un contratto nuziale che regolamenta gli obblighi economici, sociali e coniugali delle donne e degli uomini ebrei, e che ha lo scopo di difendere i diritti della sposa; quindi lo sposo pone l'anello nuziale al dito indice della mano destra della sposa e ratifica così l'unione affermando che essa avviene secondo la legge di Mosè e di Israele.

Lo sposo poi rompe un bicchiere, il quale atto, secondo l'interpretazione più comune, sta a simboleggiare la distruzione del Santuario: nell'ebraismo, difatti, anche nelle occasioni più gioiose è necessario celebrare un momento di riflessione e di ricordo.

Sulla donna ricade l'obbligo di immergersi nel " mikwe " (il bagno rituale) alla fine dell'impurità mestruale. L'affermazione secondo cui l'Ebraismo equivale ad uno stile o ad un sistema di vita si riferisce giustamente al valore pragmatico della dottrina ebraica che permea ed investe ogni aspetto della vita sia dell'individuo che della società. Questa asserzione evidenzia la complessità dell'Ebraismo che è altrettanto vario come la vita nei suoi tanti aspetti.

1-L'unione coniugale e' considerata nella tradizione ebraica come lo stato ideale degli esseri umani e la base della societa', secondo quanto stabilito da D-o nel momento stesso della creazione.


Troviamo scritto in Genesi:
 
D-o creo' l'uomo a sua immagine, lo creo' ad immagine di D-o, creo' maschio e femmina. D-o li benedisse e disse loro: prolificate e moltiplicatevi e riempite la terra e assoggettatela.


Il matrimonio viene quindi inteso non solo come un obbligo prescritto dalla legge Mosaica ma soprattutto come il fine ultimo e principale della creazione stessa.
Il matrimonio costituisce quindi un dovere per ogni ebreo. Scopo supremo di esso e' la procreazione e infatti questo e' il primo precetto che ci viene comandato da D-o. Questa è la mentalità della ortodossia ebraica: ci si deve sposare e procreare: è un precetto divino. Anche i rabbini non hanno una possibilità di scegliere: devono sposarsi. Così era per i sacerdoti ed i leviti del Tempio di Gerusalemme. Dunque non c'è neppure un vago pensiero che una persona possa scegliere tra matrimonio e celibato.Disse Rabbi' Eleazar:

ogni uomo che non ha una donna non e' un uomo (completo), come e' detto: maschio e femmina furono creati e chiamo il loro nome uomo. Ci sono poi dei casi in cui la tradizione rabbinica sentenzia:
Il matrimonio deve essere ben ponderato da parte dello sposo ed e' addirittura sconsigliato quando l'uomo non sia in grado di mantenere la propria moglie in modo adeguato.



In ogni caso e' consigliato di sposarsi in giovane eta'. Nelle massime dei padri (cap.V, 26), Yeuda' figlio di Temah raccomanda di sposarsi a diciotto anni. Secondo alcuni maestri questa eta' viene ricavata dal versetto che, riferendosi al gran sacerdote, afferma: E lui, una donna vergine dovra' prendere. Apparentemente la parola e lui (in ebraico veu') sembrerebbe superflua: ma analizzando il valore numerico delle lettere di cui e' composta, si ottiene il numero diciotto che sono appunto gli anni in cui e' consigliato il matrimonio.

In un altro trattato del Talmud ci viene spiegato che finche' il padre ha influenza sul proprio figlio, lui stesso ha il dovere di farlo sposare: Disse Rava' a Rabbi' Natan figlio di Amni': fino a che la tua mano e' sul collo di tuo figlio (cioe' fino a che tuo figlio ascolta le tue parole) devi trovargli una moglie, dall'eta' di sedici anni fino ai ventidue anni e c'e' chi dice dai diciotto ai ventiquattro anni. Cio' si impara dal versetto insegna al ragazzo secondo la via per lui. Questa frase e' da intendersi nel senso che il padre ha il dovere di dare una moglie al proprio figlio, in conformita' con le sue esigenze.

Come abbiamo detto, il padre ha l'obbligo di trovare una moglie adatta per suo figlio o un marito per sua figlia: Prendete moglie e generate figli e figlie; scegliete mogli per i vostri figli e date marito alle vostre figlie in modo che generino figli e figlie; fate in modo di aumentare e di non diminuire.

2- L'uomo deve formare una famiglia, ma non una famiglia qualsiasi: una famiglia ebraica.

Abramo non aveva figli e su consiglio della stessa moglie Sara sposò Agar, la serva, ed ebbe un figlio, Ismail . Ma poi àvenne la promessa divina e da Sara miracolosamente, come dono-volontà divina ebbe Isacco. Da Isacco discendono gli ebrei. Da Ismail gli arabi.Dunque il popolo di D-o viene da Isacco e come Abramo, ogni ebreo deve formare una famiglia ebraica sposando una donna ebrea secondo il precetto che D-o diede ad Abramo :


Gen24,1 Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in ogni cosa. 2 Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: Metti la mano sotto la mia coscia 3 e ti farò giurare per il Signore, D-o del cielo e D-o della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, 4 ma che andrai al mio paese, nella mia patria, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco .


In realtà gli ebrei si sono sempre mischiati con gli altri popoli . Dice un rabbino: ...Nel primo periodo biblico, vi era tra gli ebrei l'usanza che l'uomo sposasse una donna scelta fra quelle della propria famiglia tribale. Nel libro dei giudici Sansone chiede ai genitori che gli venga presa una donna come moglie tra quelle filistee; ma cosi' costoro gli rispondono: Forse che non ci sono donne fra le figlie dei tuoi fratelli?. Il motivo di queste unioni tra parenti della stessa tribu' ci viene spiegato con la vicenda delle figlie di Zelofchad. Infatti non avendo egli figli maschi, la proprieta' terriera di quest'uomo poteva passare, con il matrimonio delle figlie, ad altre tribu' (a scapito della propria). Cosi' la Torah dispose che le cinque ragazze andassero in spose ad uomini appartenenti alla stessa tribu'. In ogni modo, questa usanza venne subito a scomparire dopo che gli ebrei ebbero preso possesso del paese di Canaan.

Quanto troviamo scritto, sempre nel libro dei Giudici, a proposito del giuramento dei figli di Israele di non dare le proprie figlie come mogli alla tribu' di Beniamino, e' dovuto al fatto di sangue sconvolgente e violento che avvenne durante quel periodo in territorio beniaminita. Fu una decisione punitiva e temporanea da parte dei figli di Israele, una regola in seguito abbandonata, quando la tribu' di Beniamino fece espiazione del grave omiciD-o di cui si era macchiata.La donna, una volta sposata, diveniva parte integrante della famiglia del marito...Nonostante che nella concezione biblica il matrimonio sia concepito generalmente in modo patriarcale, non mancano esempi in cui e' l'uomo ad uscire dalla casa paterna ed essere accolto in quella dei suoceri... Anche se alcuni commentatori vedono in queste unioni una forma di matrimonio matriarcale, tutti sono concordi nello spiegare che quest'uso non era in ogni caso praticato presso le tribu' israelite, bensi' soltanto da alcune popolazioni che vivevano a contatto con il popolo ebraico...

Così riponde il rabbino ad un ebreo che doveva scegliere per uno stesso giorno se presenziare ad un matrimonio misto o ad una cerimonia ebraica per un bar-mizvah: “ La maggioranza degli ebrei che fanno matrimoni misti valutano positivamente la loro identità ebraica (La percezione della propria identità per gli ebrei , zehut, è cosa molto più forte che per i cristiani). La loro scelta di un partner non ebreo non è un rifiuto della loro ebraicità (=non è un peccato di apostasia). E' puramente espressione della loro forza di amare persone che condividono le loro idee e i loro valori, anche se i loro amati non sono ebrei. “ (cioè è una affermazione forte della propria identità) Ma, prosegue il rabbino:
“Il rabbino Packouz sostiene: "Più si sa sul matrimonio misto e migliori decisioni possiamo prendere: il 75% dei matrimoni misti semplicemente non dura e la cosa più interessante è che ognuna di queste persone afferma di essere in quel restante 25% che riesce (cioè la percezione iniziale degli sposi nei matrimoni misti è quella di fare un matrimonio che durerà;in realtà poi solo 1 su 4 dura). Nessuno si sposa per divorziare. Già il matrimonio è delicato tra persone che condividono gli stessi valori. Immaginiamoci quando questo non accade.

L’unica raccomandazione che mi sento di fare come Rabbino è sull’educazione dei figli, essendo la madre ebrea sarebbe opportuno dare loro la possibilità di essere parte integrante del popolo di Israele di cui faranno parte. (se la madre non è ebrea nemmeno i figli possono essere riconosciuti come tali indipendentemente dal padre.Dunque le implicazioni sono diverse nel caso di marito ebreo o di moglie ebrea).Ritengo comunque ... questa questione, .. molto delicata ...I matrimoni misti non devono essere pubblicamente apprezzati in nessun ambito ufficiale . Le congratulazioni possono essere fatte ai genitori o ai nonni di un neonato di una coppia mista solo se la mamma è ebrea o nel caso contrario solo se entrambi i genitori si siano impegnati ad una educazione ebraica.
La famiglia ebraicaPresso le famiglie ebraiche l'anziano gode di grande rispetto. I figli hanno il dovere di far mantenere uno stato di dignità ai propri genitori e la morte di uno di loro è considerato il lutto più grave.
La morte Il concetto ebraico del rispetto dei morti esige che vengano sepolti al più presto e nel modo più austero possibile. Dopo aver sepolto il parente, viene effettuata una lacerazione su un indumento dei congiunti più stretti (figli, coniuge, genitori, fratelli) e da quel momento essi debbono attenersi alle regole di lutto strettissimo per una settimana. Tale periodo è detto "shivah". Durante la shivah i congiunti rimangono in casa, seduti su bassi sgabelli o in terra e ricevono i visitatori che vengono a porgere le condoglianze.

Alla shivah seguono gli "sheloshim", un periodo di trenta giorni in cui pur riprendendo le occupazioni normali si osservano alcuni particolari riti e preghiere e ci si astiene da qualsiasi divertimento. Le regole per il lutto divengono con il passare del tempo meno rigide e l'ebraismo prescrive che, per quanto il dolore per la perdita di una persona cara sia indelebile, chi ha subito un lutto deve tornare a una vita normale. Infatti nel Deuteronomio è scritto


"ed ho posto di fronte a te il bene ed il male, la morte e la vita, e tu sceglierai la vita".

CIMITERO EBRAICO PRESSO LA SINAGOGA


La morte:
poichè D-o è Signore della vita e della morte, è con una benedizione che si annuncia il decesso: Benedetto sia il Giudice di Verità

La sepoltura ebraica ha luogo il più presto possibile dopo la Morte. Il corpo viene lavato, rivestito con un sudario di lino bianco e posto in una semplice bara di legno senza ornamenti. Il morto poi viene condotto al cimitero dove si cantano dei versetti biblici e liturgici da parte del rabbino che guida il corteo funebre verso il luogo della sepoltura.I partecipanti usano fare delle soste lungo la via come espressione del loro dolore.

Di solito si tiene un elogio funebre o nella cappella o mentre la bara viene posta nella fossa.A questo punto i partecipanti maschi aiutano a ricoprire la fossa di terra.Si recitano le tradizionali preghiere per i defunti e i partecipanti porgono parole di consolazioneai familiari. Davanti alla tomba si recita il Kaddish, brano in cui si proclama la santità dei Nome.

Da questo momento si osserva una settimana di lutto stretto. Per il primo pasto dopo la sepoltura, è dovere preparare per i parenti in lutto un uovo sodo. L'uovo è il simbolo della vita: è rotondo, non ha quindi nè un punto di inizio nè uno di fine, così come la vita che, dopo la morte della persona, continua e deve continuare attraverso i suoi discendenti. Esso ricorda ai rimasti che la morte, pur nel più completo rispetto e nel ricordo dello scomparso, non deve rappresentare un momento di frattura e di disperazione totale, perchè la vita continua in questo mondo e nell'aldilà

L'aldilà ?Che cosa succede dopo la morte?

L'ebraismo non ha una risposta unica, qui di seguito riportiamo alcune delle possibili risposte che sono emerse nel corso dei secoli. Olam Ha Ba ". Olam Ha Ba" significa letteralmente "il mondo a venire" in ebraico. I primi testi rabbinici descrivono Olam Ha Ba come una versione idilliaca di questo mondo. Si tratta di un regno storico che si costituirà nei giorni della fine , dopo che il Messia sarà venuto e Dio avrà giudicato i vivi e i morti. I morti giusti saranno risuscitati in modo da godere di una seconda vita in Olam Ha Ba. Gehenna.

Quando gli antichi rabbini parlano di Gehenna, cercavano di rispondere alla domada : "Come verranno trattate le le persone cattive - gli "empi"- nell'aldilà ?" . Essi hanno anno visto Gehenna come un luogo di punizione per coloro che conducono una vita immorale. Il tempo che l'anima di una persona potrebbe spendere nella Geenna sarebbe limitato a dodici mesi e i rabbini hanno sempre sostenuto che alle porte della Geenna una persona potrebbe pentirsi ed evitare la punizione (Erubin 19a).

Dopo essere stato punito nella Geenna un'anima è considerata sufficientemente pura per entrare nel Gan Eden (vedi qui sotto). Gan Eden A differenza di Gehenna, Gan Eden è stato concepito come un paradiso per coloro che hanno vissuto una vita retta, i " giusti".   Gan Eden - che significa "Il Giardino dell'Eden " - è stato inteso come un luogo sia per le anime dopo la morte sia per le persone risorte quando giunge Olam Ha Ba .

(Esodo Rabbah 15: 7): "Nell'era messianica Dio stabilirà la pace per le nazioni e si siederà a proprio agio a mangiare in Gan Eden." (Numeri Rabbah 13: 2 ): fa un riferimento simile .

In entrambi i casi, né le anime, né i morti sono menzionati e Simcha Raffael suggerisce che data la credenza degli antichi rabbini nella risurrezione, Gan Eden è probabilmente un luogo per i giusti risorti che devono entrare in Olam Ha Ba.

Oltre ai concetti generali sulla vita dopo la morte, come Olam Ha Ba, ci sono molte storie che parlano di ciò che potrebbe accadere alle anime una volta giunte nella vita ultraterrena. Per esempio, c'è un famoso midrash su Paradiso e Inferno nel quale le persone si siedono ai tavoli di un banchetto colmo di cibi deliziosi, ma dove nessuno può piegare i gomiti. Nel Gehenna si muore di fame perché tutti pensano solo a se stessi mentre in Gan Eden tutti banchettano perché si nutrono a vicenda . "

IL PECCATO E IL PERDONO DI DIO nella tradizione ebraica 13 Settembre 2018 di Ariel Di Porto (Rabbino capo della comunità ebraica di Torino)

Nel suo Girasole , Simon Wiesenthal pone una domanda estremamente lacerante:«come ci si deve comportare di fronte alla richiesta di perdono di una SS morente?

L’autore scrive:

«Io avrei dovuto perdonargli? O potuto perdonargli? E gli altri avrebbero dovuto o potuto farlo? Oggi il mondo ci chiede di perdonare anche a quelli che con il loro atteggiamento continuano a provocarci… è un problema che sopravviverà a tutti i processi, e continuerà a porsi anche quando i delitti dei nazisti già da tempo saranno ormai ricordi di un lontano passato. Per questo lo propongo a uomini che credo abbiano una loro parola da dire… Perché le vicende che lo hanno generato possono ripetersi…. So che molti mi comprenderanno e approveranno il mio comportamento verso la SS morente. Ma so pure che altrettanti mi condanneranno per non aver aiutato un assassino pentito a chiudere gli occhi in pace».

In filosofia morale e in teologia quello del perdono è uno dei concetti fra i più complessi e studiati. La stessa definizione di perdono è oggetto di disputa: alcuni lo considerano un concetto quasi legale, altri ritengono che sia uno stato emozionale per il quale chi è stato offeso rinuncia al proprio risentimento nei confronti di chi ha offeso.

Anche il proposito che il perdono persegue è dibattuto: chi perdona vuole riconciliarsi con chi ha offeso a livello personale, o permettergli di entrare nuovamente a far parte della società?


All’interno della concezione del perdono ebraica è possibile individuare tre elementi distintivi, che la differenziano da quella cristiana – secondo la quale non è indispensabile che chi ha offeso si penta e prescinde dalla gravità della colpa :

1- l’obbligo di perdonare è sottoposto al pentimento e alla richiesta di persona da parte di chi ha compiuto l’offesa;
2- non tutte le colpe possono essere perdonate;
3- non è possibile perdonare a nome di qualcun altro.

Nel Girasole il filosofo Avraham Yehoshua Heschel, rispondendo alla domanda posta da Wiesenthal, narra una storia riguardante il Rebbe di Brisk, studioso famoso e rinomato. Una volta, mentre viaggiava in treno, egli subì un’offesa da una persona chiassosa, che con i propri comportamenti lo sbatté letteralmente fuori dallo scompartimento. Scendendo alla fermata di Brisk, l’incauto passeggero assistette all’accoglienza solenne riservata al grande rabbino.

Realizzò in quel momento quale terribile errore aveva commesso e chiese immediatamente perdono per le malefatte; dopo il rifiuto ricevuto da parte del rabbino, arrivò persino a offrire un’ingente somma di denaro per riparare al danno. Il rabbino respinse anche quest’ulteriore tentativo; un atteggiamento a lui estraneo, tanto più che era considerato essere una persona mite e paziente. Il figlio del rabbino, non comprendendo la durezza dell’atteggiamento del padre, ma al contempo non potendolo lì per lì riprendere, si presentò nei giorni successivi da lui in ufficio.

Dopo un po’ trovò il coraggio e fece riferimento all’episodio del treno, chiedendo finalmente al padre il perché si fosse mostrato così perseverante nel respingere ogni tentativo di scusa. Il padre rispose allora che quell’uomo in treno non sapeva chi egli fosse, e mancò quindi nei confronti di una persona comune: avrebbe dovuto pertanto chiedere perdono proprio a quella persona comune, e non a lui, rinomato rabbino.

Nella tradizione biblica il pentimento prende le mosse da uno stato interiore al quale deve necessariamente seguire una traduzione nella pratica, composta da due stadi: quello della cessazione del male da una parte, seguito dall’altra da quello di esecuzione del bene. Scrive Rav Riccardo Di Segni a tal proposito:
«Il perdono è una riparazione morale dell’identità; è l’acqua che cancella la macchia della colpa e che spegne il fuoco del rancore. Se è unilaterale e gratuito, nel senso che chi ha offeso non fa nulla per ottenere il perdono, questo spegne il fuoco del rancore ma non toglie la macchia. Il perdono, come processo morale, non elimina la necessità della sanzione, che deve servire a riparare il danno procurato, a creare un deterrente nella società e anche ad aiutare il colpevole a riflettere sul male compiuto». È necessario a mio parere avviare una seria riflessione sui dispositivi attualmente in uso e sulla loro efficacia. Nella legislazione che emerge dal testo biblico non troviamo nulla che richiami i metodi in voga nel mondo moderno, che rischiano spesso di compromettere ulteriormente situazioni già difficili di per sé.

La varietà e la frequenza delle espressioni che troviamo nella Bibbia per descrivere il processo di pentimento non possono far altro che indicarci quanto esso sia centrale. Ed è riassumibile nel rapporto con la divinità, in particolare cogliendo la radice ebraica SH-U-V (tornare), dalla quale deriva il termine ebraico che designa il pentimento (teshuvah), che è ritorno a D.

Secondo la tradizione ebraica, il piano divino e quello umano, relativamente al perdono, rimangono nettamente distinti: il perdono divino infatti riguarda unicamente quei peccati che l’uomo compie nei Suoi confronti (ben adam laMaqom); i peccati rivolti verso altri esseri umani (ben adam lachaverò) non vengono perdonati sino a quando colui che è stato offeso abbia perdonato a sua volta.

Da qui l’uso di chiedere perdono al proprio prossimo, elemento indispensabile per l’espiazione delle colpe, la vigilia del digiuno del Kippur.

D’altro lato chi è stato offeso non deve essere eccessivamente duro. Infatti
«chi si comporta con clemenza nei confronti del proprio prossimo sarà trattato con clemenza dal Cielo; chi non si comporta con clemenza nei confronti del proprio prossimo non sarà trattato con clemenza dal Cielo» (TB Shabbat 151b).
Se la parte offesa rifiuta per tre volte in presenza di altri di concedere il perdono, diviene lui il peccatore (Tanchumà Chuqqat 19) ed è chiamato “crudele”. Inoltre questo atteggiamento non è considerato degno di un discendente di Abramo (TB Betzah 32b), poiché questa è una delle caratteristiche che distinguono Abramo e la sua stirpe (Bemidbar Rabbà 8,4; Rambam, Hilkhot teshuvah 2,10).

La Shoah ha accentuato con forza la discussione riguardo la posizione ebraica rispetto al perdono, trattandosi di un caso limite, caratterizzato da crimini tanto gravi e efferati da considerare l’eventualità che vi sia una proibizione morale a perdonare.

Vi sono due ordini di ragioni per non perdonare: una di ordine metafisico, per cui non è possibile perdonare; e una di ordine morale, per cui non dovremmo perdonare.

Solo chi ha subito un’offesa può perdonare, e la maggior parte delle vittime sono morte. Il perdono operato da terzi non può sostituire quello delle vittime.

In questo caso vi è una ulteriore difficoltà, collegata al fatto che, secondo la definizione di Hannah Arendt, i nazisti hanno commesso «un crimine contro l’umanità sul corpo degli ebrei»: la Shoah è un crimine troppo grande per essere perdonato, i cui esecutori hanno superato abbondantemente il limite della “perdonabilità”.

Un’altra obiezione dipende dall’assenza di pentimento da parte dei criminali. Emmanuel Levinas, la cui biografia è dominata dal ricordo dell’abominio nazista, scrive:

La responsabilità dell’uomo verso l’uomo è tale che D. non può annullarla. Ecco, secondo il commento rabbinico, il dialogo fra D. e Caino: Sono il guardiano di mio fratello? Non è una domanda semplicemente insolente. Essa proviene da colui che non ha ancora sentito la solidarietà umana e che pensa […] che ciascuno esista per sé e che tutto è permesso. Ma D. rivela all’omicida che il suo crimine ha sovvertito l’ordine naturale. La Bibbia mette allora in bocca a Caino una parola di sottomissione: “Il mio crimine è troppo grande per essere sopportato”. I rabbini fingono di leggere in questa risposta una nuova domanda: “il mio crimine è troppo grande per essere sopportato?”. È troppo pesante per il Creatore che porta la terra e i cieli? […] Come è possibile? L’Eterno non ha forse cancellato il peccato del vitello d’oro? E il maestro risponde: “la colpa commessa verso D. ha a che fare con il perdono divino, la colpa che offende l’uomo non ha a che fare con D.”. […] Il male non è un principio mistico che si può cancellare con un rito: è un’offesa che l’uomo fa all’uomo. Nessuno, nemmeno D., può sostituirsi alla vittima. Il mondo in cui il perdono è onnipotente diviene inumano.(Emmanuel Lévinas, Difficile libertà, Jaca Book, Milano 2004)
Ciò che dobbiamo cercare di fare pertanto, partendo dalla nostra vita ordinaria, è anzitutto coltivare la nostra umanità, pro-muovendo, in ogni manifestazione della nostra esistenza, quella solidarietà umana che è alla base di ogni società sana.

top



home


DISCLAIMER. Si ricorda - ai sensi della Legge 7 marzo 2001, n. 62 - che questo sito non ha scopi di lucro, è di sola lettura e non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare" : gli aggiornamenti sono effettuati senza scadenze predeterminate. Non può essere in alcun modo ritenuto un periodico ai sensi delle leggi vigenti né una "pubblicazione"  strictu sensu. Alcuni testi e immagini sono reperiti dalla rete : preghiamo gli autori di comunicarci eventuali inesattezze nella citazione delle fonti o irregolarità nel loro  uso.Il contenuto del sito è sotto licenza Creative Commons Attribution 2.5 eccetto dove altrimenti dichiarato.