Corso di Religione

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INDUISMO
La religione
         


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Moksha, la liberazione
Mokṣa è l'obiettivo religioso centrale in tutte le dottrine religiose dell'India, in tutte le correnti e tradizioni dell'induismo, del jainismo , del sikhismo , ed è un concetto affine al nirvāṇa del buddhismo .

Moksha è "liberazione" // "salvezza". Liberazione interpretata in modi diversi nelle diverse tradizioni religiose e diversamente conseguibile a seconda del contesto. E' comunque considerata il conseguimento di una condizione spirituale superiore.


Intervista RAI a Elémire Zolla- 27/3/1996
"Definire cos'è la «liberazione» è, a un tempo, molto facile e molto difficile. È facile definirla perché chiunque ha esperienza della liberazione almeno due volte al giorno: quando si sveglia e quando si addormenta.

Infatti il momento in cui, cessando l'attenzione della veglia si trapassa nel sonno, e il momento in cui dal sonno si esce e si riaffronta la veglia, rappresentano un'intercapedine fra i due ordini dell'esistenza nella quale si è perfettamente liberi, poiché non si è soggiogati dalle leggi della coscienza di veglia, né si è nell'ignoranza del sonno.

È ben altra cosa riuscire ad espandere questo spazio, cioè riuscire ad allargare nel pieno della giornata questa libertà di cui si è goduto per un frammento di istante. Per ottenere ciò si può anche sacrificare tutto.

Un indù pio, in genere, sogna di poter partire un giorno, tanto da considerare tale partenza l'apice della sua esistenza.
Ancora oggi, in India, capita di assistere a uno spettacolo straordinario, rappresentato dal momento in cui un uomo che ha avuto grandi cariche, che ha avuto una parte importante nella vita della comunità, dopo aver messo al mondo un certo numero di figli e aver provveduto al loro avvenire, decide di lasciare la vita laica: dunque si sveste, si copre con abiti molto semplici, si allontana dalla famiglia e si rifugia nella foresta.

Questa non è il luogo pauroso che ci si potrebbe immaginare, ma è un luogo in cui tutto è a disposizione: se si ha bisogno di mangiare, si fa cadere una noce di cocco, o si spacca un altro frutto; c'è l'acqua da bere che scorre.

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Finalmente isolati da tutti, si può meditare e ci si può effettivamente liberare: questo è il fine della vita di un indiano.


Altri uomini, invece, decidono di liberarsi subito, quindi si staccano prima dalla famiglia ed entrano nella condizione di asceta o sadhu .

In India è possibile incontrare molti sadhu che si dedicano a una vita errante o che si stabiliscono in un determinato luogo. Alcuni sono soltanto dei truffatori, altri no: basta guardarli negli occhi per accorgersi immediatamente che hanno raggiunto quella «liberazione» difficile da definire.

Tuttavia è possibile attingere al significato di questo concetto anche attraverso un'analisi linguistica del termine:

«Liberazione» in sanscrito si dice «Moksha»; l'origine indoeuropea di tale parola è «Meuk», termine che indica tutto ciò che scivola su un terreno troppo liscio, troppo piano. Pertanto, se si va alla ricerca dell'origine di questa parola, si arriva a concepire la liberazione come lo scivolare lieve di un danzatore.

Le tre vie indiane che portano alla liberazione 1-La prima è la via della conoscenza.

Tale via si attaglia all'uomo privo di fede che si fonda solo sul modo della conoscenza, nel modo più puro e rigido.

Si distanzia dai propri sentimenti, fondandosi solo sul ragionamento, sulla valutazione, senza alcun elemento di disturbo.

Chi percorre questa via riesce a modificarsi seguendo la propria ragione, la conoscenza pura.

Il sistema più perfetto basato sulla conoscenza si chiama « Advaita Vedanta » o «conoscenza non duale»
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La dualità è la formula entro cui l'uomo percepisce l'esistenza, come bene-male e maschio-femmina. Per tale filosofia questo modo di percepire è falso poiché non esistono dualità: tutto va visto triadicamente, ossia la saggezza indiana invita a introdurre un terzo termine che medi fra i primi due opposti: così la realtà comincerà a essere più duttile e vera, partendo dal presupposto che la verità non si lascia ingabbiare tra due opposti. Le dualità, quindi, non attengono al funzionamento della ragione, alla logica che lega i concetti.

Esiste un'altissima logica indiana, forse resa ancora più perfetta dai grandi logici buddhisti: su questa logica si basa la via della conoscenza.

2-la via della «devozione»

La maggior parte degli uomini non si appaga della conoscenza e vuole rispondere ai propri sentimenti, quali che siano.

Esiste un'altra via di liberazione che consiste nello spingere alla massima intensità i propri sentimenti: ciò si ottiene volgendo quelli d'amore verso un dio, fino a smarrirsi, ad esistere solo nell'adesione al dio: è la via della «devozione», o �«bhakti�» .

Nata grazie ad alcuni poeti del Tamil , per diffon- dersi in tutta l'India: ogni regione e ogni lingua dell'India ha una letteratura bhaktica, devozionale, paragonabile alla letteratura e alla via mistica europee.

3-La via tantrica

La terza via è considerata «ereticale» dal più degli indù: la via « tantrica », le cui prime testimonianze di pose risalgono addirittura al 3000 a. C..

Negli scavi di Mohenjodaro vennero rinvenute delle statuine di uomini seduti sui talloni uniti premendo sul perineo per produrre una condizione fisica usata nel Tantra per determinati fini.

La pratica tantrica prevede anche uno yoga, diverso dal classico, fondato sull'idea essenziale per cui si ottiene la liberazione facendo svolgere il nodo del serpente avvolto intorno al coccige.

Questo serpente, chiamato «Kundalini», incarna tutti i sentimenti fondamentali e inconsci dell'uomo, sentimenti fonte di un'energia quasi soprannaturale che si può scatenare grazie agli esercizi di questo yoga.


Si tratta di contratture violente dell'addome, spingendo con forza nella direzione dove si suppone sia avvolto il serpente, sì da scatenarlo. In tal modo il serpente si ergerebbe lungo la colonna vertebrale fino al cervello, trasformando radicalmente l'uomo, che attingerebbe la liberazione.

Il Tantra prevede anche degli accoppiamenti rituali che avviano alla suprema liberazione. Tali rituali hanno luogo tra il maestro e una o più donne: l'uomo dovrebbe riuscire, nel momento supremo dell'avvitamento tantrico, a proiettare all'interno dell'uretra il flusso del seme, dando luogo a un'intima trasformazione.

Non si tratta, comunque, di una pratica puramente maschile, poiché la donna ha il primato nel Tantra, in quanto è lei a guidare il rito.

Il Tantra prevede anche un abbandono completo di tutte le leggi morali, compresa la divisione in caste, tanto che veniva praticato in segreto, in templi oramai abbandonati. Questa è la terza via predisposta per l'uomo che non rientra nella società, animato da sentimenti troppo violenti per potersi inquadrare nella vita civile, ma capace di una profonda filosofia. Non è un caso che Abhinavagupta, uno dei massimi metafisici indiani dell'XI secolo, fosse un maestro di Tantra.
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