Corso di Religione

Neuroteologia

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Teologia e neuroscienze : prove di dialogo

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Neuroteologia: il cervello è costruito per la fede? di Giorgio D'Aquino-Avvenire 01/02/2001 -

"L'hanno chiamata "neuroteologia". L'università della Pennsylvania l'ha scoperta, la rivista "Newsweek" la rilancia al mondo.

In pratica, il ricercatore americano Andrew Newberg ha condotto alcuni esperimenti scientifici su monaci tibetani e suore di clausura, al termine dei quali gli è sembrato di concludere che "il cervello umano è stato geneticamente configurato per incoraggiare la fede religiosa".

Iniettando un liquido di contrasto nelle vene di un monaco buddhista nel momento in cui questi raggiunge il culmine della meditazione e osservandone il cervello con un'apposita macchina, Newberg ha notato una sorta di "black out" dell'irrorazione sanguigna nella zona posteriore dell'encefalo: quella che governa la percezione dell'io e del mondo.

In altre parole, la preghiera indurrebbe neurologicamente l'idea dell'unità del singolo col creato, con una "sensazione del tutto reale". Il ricercatore - che insieme al collega Eugene d'Aquili pubblicherà in aprile i risultati dei suoi studi nel libro "Perché Dio non se ne andrà" - ritiene perciò che "l'assorbimento dell'io all'interno di qualcosa di più vasto non deriva da una costruzione emotiva o da un pensiero pio, bensì da un evento neurologico".

Gli stessi riti delle varie religioni sarebbero tecniche in grado di far scattare tali meccanismi cerebrali, dai quali persino gli atei non possono esimersi, in quanto geneticamente predisposti alla fede.

"Finché il nostro cervello avrà questa struttura - sintetizzano gli scienziati americani -, Dio non andrà via".

L'esperto di bioetica nonché vice-presidente della Pontificia Accademia per la vita, monsignor Elio Sgreccia, da parte sua non nega il possibile legame fra religione e neurologia:
"Non contrasta con la fede affermare che in una parte del cervello c'è traccia dei momenti di preghiera. Il che però non significa che è il cervello a creare la fede".
L’Anima è il nostro Cervello?
di Don Nicola D’onghia autore di “Neuroscienze e interconnessione dei saperi – La persona: relazione di anima e corpo", scritto a quattro mani con suor Daniela Del Gaudio.

"Sembra ormai consolidata l’idea che l’inizio del ventunesimo secolo sia caratterizzato dalle scienze della mente e del cervello. Lo sviluppo delle neuroscienze è uno dei campi scientifici più vitali e dagli sviluppi più rapidi.

Un fermento straordinario, centro di grande attrazione e curiosità anche per coloro che non sono addetti ai lavori. Percezione, memoria, sentimenti, morale, identità personale tutte realtà delle quali il cervello è considerato l’organo responsabile.


Le neuroscienze perseguono l’intento di comprendere e spiegare il comportamento dell’uomo e delle sue facoltà superiori con la conoscenza sempre più dettagliata dei meccanismi cerebrali.


Gli esiti, se pur tra le diverse posizioni, riprendono temi e questioni dell’antico dibattito intorno all’anima e al corpo, con tutte le pertinenti ricadute in ambito antropologico, etico e pastorale. Ora la teologia non può ignorare il continuo accumulo di questi dati scientifici. E il pensiero di una scienza teologica che debba arrestarsi di fronte allo sviluppo neuroscientifico è da considerarsi superato.

Nasce l’esigenza di un pensiero complesso che, rispettando la costitutiva multidimensionalità della conoscenza, renda possibile il dialogo tra neuroscienze e teologia.Fraintendimenti di significato Il desiderio di comprendere l’essere umano, nella sua realtà più profonda, ha sempre accompagnato la storia del pensiero. Gli interrogativi sull’esistenza dell’uomo, della sua origine, della sua identità, dei suoi comportamenti hanno segnato l’avvio della fatica intellettuale, con l’intento di decifrare l’uomo in tutta la sua vasta ed ampia esperienza.

Ed è lo sguardo alla storia che permette di evidenziare le definizioni, le posizioni, i fraintendimenti intorno alla strutture antropologiche: corpo e anima. È innegabile che l’attuale linguaggio usato, nell’ambito scientifico, è indice di un lungo percorso che ha portato ad enfatizzare alcune dimensioni dell’uomo a scapito di altre, ed in particolare, quelle dimensioni che rimandano all’interiorità dell’uomo, alla sua capacità di interrogarsi e di conferire significato alla sua variegata esperienza.  

La conoscenza della trama storica fatta di significati, diversi e contrastanti, è necessaria per comprendere l’attuale dibattito intorno ai concetti di mente-cervello.[1]

Gli studi delle neuroscienze cercano di  spiegare il comportamento dell’uomo e delle sue facoltà superiori con la conoscenza sempre più dettagliata dei meccanismi cerebrali grazie all’ausilio di tecniche sempre più sofisticate che permettono di visualizzare il cervello in azione.[2] Lo scopo sembra essere quello di voler relegare l’uomo nell’orizzonte del materialismo tanto che, tra le posizioni estreme, si sostiene chiaramente che ormai non ci sia bisogno di rifarsi all’anima.

Lo neuroscienziato Elknon Goldberg afferma: “esplorerò quell’unica parte del cervello che fa di un individuo ciò che è, definisce la sua identità e ne racchiude pulsioni, ambizioni, personalità ed essenza: i lobi frontali”.[3] Infatti, secondo le posizioni più estreme, lo stesso linguaggio impregnato di filosofia e teologia dovrebbe far spazio a quello scientifico.

In realtà non sembra così facilmente raggiungibile tale obiettivo, proprio a partire da quelli che sono gli sviluppi e gli esiti delle neuroscienze.
La quotidiana crescita di questi studi suscita ulteriori interrogativi che, imprescindibilmente, rimandano alla riflessione filosofica e teologica.
Quando le neuroscienze assumono la veste di chi vuole detenere il fondamento ultimo del mistero dell’uomo si ritrovano, inevitabilmente, nella situazione critica di una scienza che si allontana dalla realtà dell’uomo per rifugiarsi in categorie decontestualizzate.
Un processo iniziato con Platone e poi la filosofia di Cartesio,  radicalizzando il dualismo platonico, risolve il corpo e il mondo in rappresentazioni dell’anima. La res cogitans si libera del corpo e del mondo e in virtù della concezione meccanicistica[4] l’io si rende totalmente autonomo rispetto al mondo esterno.[5]

Si crea così una contraddizione tra ciò che la ragione dice dell’uomo stesso e ciò che invece suggerisce l’esperienza della realtà.[6] La radicale scissione tra anima e corpo porta ad individuare una soluzione nell’eliminazione di una delle due sostanze, fino a respingere la possibilità di conoscere quale sostanza sia pensante. In questa prospettiva ciò che caratterizza il soggetto è la coscienza e ciò che è presente nella mente sono le sue percezioni, le sue impressioni e le sue idee.

Non è un caso il riferirsi all’uso della metafora humeana ( di Hume) del teatro riferita alla mente: la mente è attraversata dalle diverse rappresentazioni con un’infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni.

Con Hume l’anima è detta mente e non è altro che un fascio o collezione di percezioni differenti, legate insieme dalla relazione di causa ed effetto.[7]

Viene meno la convinzione che ogni soggetto possiede un io sostanziale, unitario e continuo.[8] Si insinua una difficoltà di non poco conto riguardo all’unità della coscienza e alla sua contiguità nel tempo.

L’incontro tra la psicologia, la neurofisiologia e la computer science ha portato alle scienze cognitive.[9] La tesi fondamentale è che il correlato oggettivo, accessibile all’osservazione scientifica esterna, degli stati e delle operazioni coscienti, non è solo la modificazione neurofisiologica del suo cervello, ma la information processing, eseguita attraverso tali eventi neurofisiologici.[10]

Le scienze cognitive tendono a fornire una nuova formulazione del problema e propongono una definizione nuova delle funzioni mentali: pensare è calcolare.

In sostanza il cognitivismo si concentra sul modo in cui un organismo recepisce l’informazione attraverso gli organi sensoriali, la elabora, la immagazzina e infine la utilizza per produrre comportamenti intelligenti.

Questi aspetti fanno parte di un approccio funzionalista in quanto i soggetti vengono considerati sistemi costituiti da componenti funzionali connessi tra loro, che interagiscono in modo differente, utilizzando procedure di calcolo.

Pertanto il computer riveste una posizione particolare all’interno della teoria e della ricerca.[11] È la teoria computazionale della mente proposta da J. A. Fodor .[12] La teoria rispecchia i concetti insiti nel campo dell’intelligenza artificiale secondo cui pensare non è altro che manipolare simboli. In quest’ottica si tende a privilegiare il ragionamento e la logica a scapito di tutta la dimensione emotiva e contingente.[13]

La tendenza è proprio quella di non considerare elementi come l’emozione e il contesto della cultura e della storia. Nel costruire e manipolare i suoi simboli, la mente non ha bisogno di ispirarsi alla realtà del mondo circostante, ma può procedere in piena autonomia, adottando criteri propri.

La mente e il pensiero possono avere anche un linguaggio, il linguaggio del pensiero o mentalese, linguaggio innato che precederebbe il linguaggio vero e proprio, che ne utilizzerebbe poi molti schemi e categorie. Sembra quasi che la mente si presenti come realtà autonoma, ma per i cognitivisti non significa che essa possa esistere indipendente dal cervello e dal corpo.

In sostanza non si tratta di una forma di dualismo, secondo il quale il corpo e mente sono due realtà distinte operanti su piani di realtà separati. La questione centrale, che interessa tutto il cognitivismo, è che si tratta di dottrine formali del funzionamento della mente: in altri termini si parla di operazioni, di trasformazioni, ma quasi mai di contenuti.

In questa prospettiva, il vero pensiero è quello che avviene a livello computazionale-rappresentazionale e la coscienza è solo eco, senza svolgere un ruolo attivo: sono le rappresentazioni del livello computazionale ad essere realmente e casualmente efficaci.

Autori come Varela, Rosch e Thompson fanno notare che, secondo il cognitivismo, la cognizione può procedere senza la coscienza, in quanto non esiste una connessione essenziale fra di esse.[14]

L’intento metodologico della scienza moderna di indagare ciò che è osservabile e quantificabile è legato all’epistemologia che da Galilei in poi, rifiuta le essenze, e si concentra sul fenomenico.

Kant con il principio di rappresentazione fa dell’idea e non della realtà l’oggetto dell’atto di conoscenza. In tal modo avviene il rovesciamento dello schema classico, aristotelico-tomista, dove la conoscenza rappresentazionale veniva dopo la conoscenza intenzionale.[15]
Darwinismo neurale Alla luce di questa impostazione epistemologica si comprende come sia avvenuta la riduzione alla sola dimensione psico-fisiologica, cioè delle analisi della relazione tra funzioni psichiche e neurofisiologiche.[16] ( riduzionismo)

Tra le posizioni riduzioniste vi sono alcune più sfumate, naturalmente non possono essere considerate antiriduzioniste, che sembrano porre maggiore attenzione alle manifestazioni coscienti. Uno dei contributi in questo campo di studi è dato dalle ricerche epigenetiche espresse nella teoria del darwinismo neuronale  di G. Edelman e G. Tononi.

Nel testo Un universo di coscienza, Edelman e Tononi prendono le mosse da una riflessione sulle caratteristiche neuroanatomiche e  dinamiche neuronali del cervello. Secondo gli autori il grado di interconnessione del cervello è tale che nessun congegno dell’uomo potrà mai uguagliarlo. Infatti non esistono due cervelli identici nemmeno nei gemelli. Le sue connessioni non sono esatte.

È possibile descrivere la struttura complessiva delle connessioni in una determinata area cerebrale, ma la variabilità microscopica del cervello nelle ramificazioni più fini dei neuroni è enorme.[17] Osservazioni che sfidano quei modelli che si rifanno alla logica computazionale. Pertanto Edelman-Tononi sottolineano alcuni principi organizzativi emergenti del cervello.

Un primo principio è dato dal fatto che ogni cervello porta impresse in sé le conseguenze della propria storia di sviluppo e di esperienze. In base alle esperienze alcune cellule ritraggono i prolungamenti, altre estendono i prolungamenti o terminano il loro ciclo vitale.

Tale variabilità è un elemento essenziale per il controllo della capacità del cervello di rispondere alle diverse situazioni che si presentano. Non esiste nessuna macchina che mostri una tale varietà individuale.[18]

Il mondo non si presenta al cervello come un nastro magnetico su cui sono registrati segnali, come avviene al computer.

Per quanto riguarda la dinamica neurale, il modo in cui le configurazioni di attività del cervello cambiano nel tempo, il carattere  più importante e sorprendente è la manifestazione di un processo definito rientro.[19]

Il rientro. L’enorme quantità di connessioni nervose reciproche, locali e a distanza, vengono coordinate nello spazio e nel tempo dallo scambio di segnali rientranti, ossia quegli stimoli che, in modo dinamico, vengono scambiati lungo le fibre nervose che connettono le diverse aree delle mappe neuronali.

Inoltre, le aree cerebrali sono reciprocamente connesse in parallelo, e il rientro coinvolge simultaneamente le reti neuronali diversamente mappate. Questo processo fornisce una base per la categorizzazione percettiva, che consiste nell’attività del cervello di generare categorie dell’esperienza, per meglio adattarsi all’ambiente.

Il mappaggio rientrante è il fondamento concettuale che sottende alla coordinazione spazio-temporale fra i gruppi neuronali selezionati durante lo sviluppo e durante la fase esperienziale.


Il rientro dipende da cicli di segnalazione nella trama talamo corticale.[20] Si tratta di uno scambio di segnali in parallelo tra aree cerebrali reciprocamente connesse, uno scambio che coordina incessantemente nello spazio e nel tempo le attività delle loro mappe.


Una conseguenza importante del rientro è la diffusa sincronizzazione dell’attività di gruppi differenti di neuroni attivi e distribuiti in molte differenti aree cerebrali specializzate. Questa attività è connessa dal rientro ed è a fondamento dell’integrazione dei processi percettivi e motori.

Edelman e Tononi, per descrivere al meglio l’azione del rientro, ricorrono ad una metafora per coglierne tutte le proprietà. Si immagini un quartetto d’archi un pò particolare, dove ogni musicista risponde alle proprie improvvisazioni e segnali dell’ambiente.

Ogni musicista crea il proprio motivo non coordinato a quello degli altri musicisti. Si immagini che i corpi dei musicisti siano collegati da miriadi di fili sottili, in modo che le azioni e movimenti siano rapidamente trasmessi attraverso segnali della variazione di tensione dei fili, che agiscono simultaneamente per sincronizzare le azioni di ognuno di loro.

I segnali che collegano i quattro suonatori correlerebbero anche i loro suoni, con motivi sempre più coordinati. Ogni musicista conserva il suo stile e il proprio ruolo, ma i loro motivi sarebbero più integrati e coordinati. Una metafora che sottolinea l’individualità e variabilità del cervello. Una individualità e variabilità che si manifesta ai diversi livelli di organizzazione del cervello, che non può essere ignorata nella ricerca di una teoria sulla coscienza.

Ma come queste proprietà siano correlate agli effettivi meccanismi neurali responsabili della coscienza non può limitarsi ad un accumulo di osservazioni e di fatti. Nasce l’esigenza di una teoria che aiuti a comprendere le origini biologiche della formazione delle strutture, della percezione, della memoria, dei concetti e dei valori.

La tesi fatta propria da Edelman e Tononi è quella di considerare il cervello un sistema selettivo, darwiniano, un sistema il cui complesso funzionamento richiede di fatto la variabilità.

La teoria della selezione naturale di Charles Darwin[21] considera la variazione e la diversità tra gli individui basata sulla competizione in atto. Nell’ambito della variabilità individuale, non tutti i caratteri hanno lo steso peso, lo stesso significato per l’organismo. Alcuni caratteri possono essere vantaggiosi per l’individuo e renderlo particolarmente adatto a sfruttare le risorse dell’ambiente in cui vive, mentre altri possono essere indifferenti o dannosi.

Sulla variabilità agisce l’ambiente, che seleziona gli individui più adatti a sopravvivere e riprodursi. A causa della selezione naturale operata dall’ambiente, solo i portatori di caratteri vantaggiosi sono destinati a vincere la lotta per l’esistenza. La popolazione gradualmente evolve, adattandosi sempre più all’ambiente. È la selezione naturale la forza creatrice dell’evoluzione.

E se il cervello seguisse gli stessi principi? Edelman e Tononi sostengono che sia così. La teoria del Darwinismo Neurale o teoria della selezione dei gruppi neurali accoglie i principi selettivi e li applica al cervello in azione.

Secondo questa teoria il cervello umano è di certo speciale, ma non è necessario ricorrere a forze spirituali per spiegarne il funzionamento. I principi darwiniani della variazione nelle popolazioni e la selezione naturale sono sufficienti e non serve alcun elemento spirituale per spiegare la coscienza. La mente appare chiaramente l’esito di un processo evolutivo.[22] Tali principi darwiniani si rivelano importanti anche per la comprensione delle funzioni cerebrali, considerata l’enorme variabilità della struttura del cervello.

La teoria della selezione dei gruppi neurali (TSGN) si fonda su tre principi:
a) la selezione nello sviluppo;
b) la selezione con l’esperienza;
c) Il rientro.

Nella fasi precoci dello sviluppo degli individui di una specie, la formazione dell’anatomia del cervello è vincolata dai geni e dall’eredità. Tuttavia lo schema delle connessioni a livello delle sinapsi viene stabilito dalla selezione somatica durante lo sviluppo di ogni individuo.

A questo sviluppo si sovrappone un processo di selezione sinaptica all’interno dei gruppi neuronali, che è il risultato dell’esperienza comportamentale. La correlazione degli eventi selettivi attraverso le diverse mappe del cervello è il risultato di un processo dinamico chiamato rientro.

E’ il rientro che favorisce la sincronizzazione dell’attività dei gruppi neuronali appartenenti a mappe cerebrali differenti, collegandoli in circuiti che emettono segnali in uscita coerenti in senso temporale. Pertanto il rientro costituisce il meccanismo centrale per consentire la coordinazione spaziotemporale dei diversi eventi sensoriali e motori.

La selezione nel corso dello sviluppo e la selezione con l’esperienza sono a fondamento della grande variabilità e differenziamento degli stati neurali che si accompagnano alla coscienza.

È il terzo principio che permette di integrare questi stati e il suo ruolo è centrale per comprendere la coscienza. Infatti la peculiarità del cervello superiore rispetto ad ogni altro sistema è proprio nell’organizzazione rientrante. È questo meccanismo che assicura l’integrazione essenziale per creare una scena nella coscienza, a dispetto di tutta la varietà della scena percepita.

La capacità di agire in modo coerente in presenza di stimoli sensoriali diversi richiede un’interazione neurale che attraversa molti livelli organizzativi.[23] Così all’interno di una singola area deve verificarsi il collegamento tra vari gruppi neurali nello stesso dominio e sottomodalità. Questo meccanismo stabilisce correlazioni temporali a breve termine e la sincronia tra le attività di gruppi neuronali molto distanziati nelle differenti mappe.

Il principio del legame, possibile grazie al rientro, si ripete a molti livelli organizzativi del cervello e ricopre un ruolo di primo piano tra i meccanismi all’origine della coscienza. Questa, parte emergente delle capacità mentali, dipende da questa trama complessa. Ma per comprendere meglio i meccanismi neurali della coscienza è utile tener presente la distinzione tra coscienza primaria e coscienza di ordine superiore.

La prima si riscontra anche in animali dotati di alcune strutture cerebrali simili a quelle dell’uomo, ma con limitate capacità simboliche e mancanza di linguaggio. La seconda è associata ad un senso del sé e alla capacità di costruire scene passate e future.

Sempre secondo i principi darwiniani, la coscienza primaria è comparsa durante l’evoluzione quando, attraverso l’esistenza di nuovi circuiti del rientro, le zone posteriori del cervello, coinvolte nella categorizzazione percettiva, furono collegate alle zone anteriori, responsabili della memoria. Quando la coscienza primaria si evolve, relazionandosi al passato più lontano e al futuro, emerge la coscienza di ordine superiore, presente solo nell’uomo.[24]

Con l’emergere  di questa, l’individuo è capace di essere consapevole dei propri atti, dei propri pensieri, delle proprie emozioni, che la filosofia ha chiamato i qualia , le qualità specifiche dell’esperienza soggettiva, che rendono, per molti, inspiegabile la coscienza dal punto di vista scientifico.

I Qualia, un nodo da sciogliere Secondo i nostri autori , per impostare il problema dei qualia, il modo più semplice è quello di ipotizzare che per ogni quale sia sufficiente un gruppo di neuroni, anche un solo neurone , che quando scarica rappresenta in modo esplicito quel particolare aspetto della coscienza.[25]

Questa identificazione tra l’attività di specifici gruppi di neuroni e specifici qualia fa sorgere l’interrogativo centrale: perché la scarica di quei particolari neuroni genera la sua specifica qualità?

L’ipotesi afferma che il processo neurale sottoteso all’esperienza cosciente costituisce un grande e variante aggregato funzionale, il quale comprende un gran numero di gruppo neuronali distribuiti e caratterizzati dall’elevata complessità.[26]

L’affermazione fondamentale dell’ipotesi è data dal fatto che lo spazio neurale di riferimento  dell’esperienza cosciente  non comprende qualsiasi singolo gruppo neuronale, ma l’attività dell’intero nucleo dinamico. Questo è definito  come un processo di interazioni neurali piuttosto che dalla localizzazione specifica.

L’esperienza cosciente è il risultato delle interazioni rientranti differenziate a sufficienza e complesse.

L’altro punto evidenziato è che il gruppo del nucleo dinamico non è prefissato. Ma prevede istante per istante gruppi neurali diversi. Il nucleo dinamico è soggetto a notevole trasformazione durante le fasi dello sviluppo e durante l’esperienza in corso. Il miglioramento che avviene nell’esperienza cosciente è segno che il nucleo dinamico dispone di nuovi elementi discriminativi.[27]

Tale processo è legato alla formazione della coscienza primaria, al proto-sé, basato sul corpo, e all’esperienze vissute. L’accesso a nuove dimensioni correlate al linguaggio, alla memoria, al passato fa nascere la coscienza di ordine superiore. Lo sviluppo e l’esperienza sono considerati una crescita progressiva in complessità del nucleo dinamico.

Un momento importante nell’evoluzione della coscienza di ordine superiore è stato lo sviluppo di uno specifico schema rientrante tra i sistemi cerebrali del linguaggio e le preesistenti regioni concettuali del cervello. Queste connessioni neurali e la comparsa del linguaggio consentono il riferimento a stati interni mediante simboli.[28]

La continua acquisizione di un lessico sempre più articolato e complesso, attraverso le relazioni sociali, consente la discriminazione di un sé all’interno di ogni coscienza individuale.[29]

Gli esseri umani, a differenza degli animali, possono non solo ricordare la storia delle sensazioni e categorizzarle, ma possono anche riflettere sulle stesse sensazioni e raccontarle. Attraverso questi scambi si perfezionano le facoltà discriminative per determinati  qualia.

Pertanto i qualia sono categorizzazioni di ordine superiore delle esperienze coscienti del sé e la capacità di descrivere i vari qualia richiede la presenza simultanea della coscienza superiore e primaria. [30] Gli esseri umani attraverso il linguaggio narrante perfezionano le esperienze in modo autocosciente.

In definitiva la tesi è che la coscienza di ordine superiore, che include la capacità di essere cosciente di essere cosciente, dipende dall’emergenza di facoltà semantiche e, quindi, del linguaggio. Concomitante a questi tratti vi è l’emergenza di un vero sé, nato dalle interazioni sociali, insieme ai concetti di passato e futuro.[31]
"Sono le strutture materiali straordinariamente complesse del sistema nervoso e del corpo a dare origine ai processi mentali dinamici e al senso. Non c’è bisogno di presupporre alcunché d’altro : non altri mondi o spiriti, e nemmeno forze straordinarie ancora misteriose come la gravità quantistica” (EDELMAN,TONONI, 2000). La coscienza, per quanto speciale, è emersa da innovazioni evolutive della morfologia del cervello e del corpo. La mente scaturisce dal corpo e dal suo sviluppo, è radicata nel corpo e, per questo, fa parte della natura.



 Quali conseguenze? Edelman e Tononi sottolineano che, accettata la loro teoria, non è più possibile sostenere l’ipotesi cartesiana del dualismo e con essa ogni forma di idealismo. Non si può accettare chi accoglie un’epistemologia dualista, razionalista o idealista. Essi fanno propria una tesi metafisica ed epistemologica che definiscono realismo condizionato ed epistemologia a fondamento biologico.[32]

La coscienza è una proprietà dinamica di un tipo speciale di morfologia del cervello nelle sue interazioni con l’ambiente. Pertanto la conoscenza del mondo reale è il risultato di interazioni fisiche, psicologiche e sociali della mente e del corpo con il mondo stesso, ma che tuttavia non implicano un trasferimento diretto di informazione.

I segnali del mondo non sono organizzati in informazione prima di interagire con il cervello, così come il linguaggio non è specificato in termini di una grammatica universale ereditata geneticamente.[33]

L’altra conseguenza riguarda l’ epistemologia . Questa deve affondare le sue radici nella biologia, in modo speciale nelle neuroscienze. Un radicamento che aprirebbe un terreno molto più ampio per riflettere sul pensiero e sui sentimenti.

La mente si basa e dipende completamente dai processi fisici che si verificano nel suo funzionamento, in quello delle altre menti e negli eventi implicati nella comunicazione.

Sono le strutture materiali straordinariamente complesse del sistema nervoso e del corpo a dare origine ai processi mentali dinamici e al senso. Pertanto non è necessario ricorrere a forze spirituali e nemmeno ad altre forze misteriose.[34]


Non si può non sottolineare che i due neuroscienziati si siano spinti in quelle regioni ostiche al mondo scientifico, quelle appunto della coscienza e dell’autocoscienza. La loro teoria cerca di spiegare scientificamente la coscienza, ma sembra che l’intento sia quello di chiarire la natura dei meccanismi complessi del cervello. Resta aperta la questione circa la qualità dell’esperienza cosciente, ossia del suo esprimersi in forme altamente differenziate.

“Cosa fa sì che l’esperienza cosciente del buio sia per l’appunto del buio, intrinsecamente diversa dall’esperienza cosciente del suono?”[35] O in altri termini più specifici: “Perché mai l’attività di cellule della corteccia visiva darebbe luogo a quel particolare che, o quale, rende visiva l’esperienza visiva, mentre l’attività di cellule della corteccia somatosensoriale dovrebbe dare luogo a quel particolare che rende tattile l’esperienza tattile?[36]”

La risposta di Tononi si limita a ipotizzare la possibilità che la distanza tra quantità e qualità non sia così grande. Se la complessità[37] misura quante interazioni causali differenziate sono possibili all’interno di un complesso, “non occorre un grande sforzo di immaginazione per intuire che la qualità della coscienza dipende da quali interazioni causali differenziate sono possibili all’interno di un complesso”.[38]

La teoria dell’evoluzione del cervello, e quindi della mente, di Edelman e Tononi costringe a cambiare le concezioni prevalenti sulla mente, sulla sua relazione con il mondo e la visione stessa dell’uomo. La loro teoria conferisce particolare importanza alla storia individuale contro ogni determinismo e predeterminazione genetica.

La mente non è la manifestazione fenotipica del genoma, ma il prodotto mai finito di un’evoluzione che va avanti nel corso della stessa vita. Gli sviluppi della mente sono ampiamente imprevedibili.

Il cervello si presenta privo di un’area centrale e l’integrazione si basa sul rientro e cioè la segregazione e l’integrazione delle varie aree cerebrali coesistono.

In termini filosofici non esiste un Io centrale in cui tutto converge. L’individuo è un’interazione più o meno riuscita di parti. Il sapere, la cultura sono semplicemente ciò che, tra tante scelte, tra tante idee è riuscito a riprodursi nel cervello.

Radicalmente individualista la TSGN respinge ogni teoria programmista del cervello e della mente: sia la teoria funzionalista della mente-computer, sia la teoria che fa della mente un effetto diretto del programma del genoma.

Nel mondo neurale si possono inventare categorie e modi di pensare nuovi e imprevedibili.

Una teoria che sembra riportare, in termini scientifici,  il nodo della questione che ha attraversato la modernità fino ai nostri giorni:
la mente sottoposta al vaglio della scienza, ricercandone i principi che ne governano il funzionamento, giunge a negare la possibilità della percezione di un Io permanente e unitario. Viene meno la convinzione che ogni soggetto abbia un io sostanziale.

Nonostante l’eliminazione di uno dei capisaldi della cultura occidentale, la teoria, con la conoscenza dei sostrati neurali e il loro relativo funzionamento, sottolinea l’unicità e l’irripetibilità di ogni cervello e della mente.

Come spiegare questa unicità, originalità qualitativa della coscienza individuale?

Inoltre le neuroscienze dimostrano che la coscienza di ordine superiore nasce nella relazione, nasce nel rapporto con l’ambiente sociale, con la memoria, il linguaggio e la capacità di raccontare le proprie esperienze.

Come spiegare la necessità di un Io narrante e considerare la coscienza il risultato di un insieme di parti?


La stessa plasticità del cervello dimostra scientificamente l’importanza della relazione, perché la stessa strutturazione risponde solo nel legame, nell’esperienza che è relazione.

Come si darebbe relazione senza un Io sostanziale? E’ proprio vero che tutto sia riducibile al cervello? E’ possibile spiegare l’anima in termini naturalistici?

Ripensamento epistemologico: il pensiero complesso
L’attuale situazione degli esiti scientifici conduce a considerare la scientificità stessa non in maniera univoca e pertanto la pretesa assolutistica della scienza risulta velleitaria.[39]

Il novum è dato dal riconoscere una correlazione, prima impensabile, tra il soggetto conoscente e l’oggetto della conoscenza, per cui nessuno può rivendicare una priorità assoluta, in quanto ogni osservazione rivela un aspetto.

Proprio quando i risultati delle scienze diventano sempre più fruibili, il valore del paradigma scientifico diventa meno accreditabile. Il presente sembra essere caratterizzato dal confronto costruttivo con le scienze contemporanee, in quanto tutte le scienze sono consapevoli di trovarsi in una situazione epistemologica debole e aperta, in una continua dimensione processuale di costruzione di significati della realtà.

 Le stesse rivoluzioni intrinseche alle scienze hanno condotto la ragione, nell’intero corso del Novecento, a mettere in discussione la rigidità del proprio statuto, scoprendo e facendo emergere la  struttura complessa di essa. Ed è nell’ambito della biologia evolutiva che viene riconosciuta l’inadeguatezza di un approccio scientifico formalizzato, meccanicistico e quantitativo e si afferma la necessità di un approccio più attento alle dimensioni sistemiche degli organismi viventi.

Si tratta di svincolarsi dall’idea di giungere a sintesi definitive e soprattutto fuori dal contesto; inoltre di accogliere la complessità e contraddittorietà del contesto per cogliere l’imprevedibilità e la contingenza che caratterizzano gli eventi della vita.

In tal modo nell’ambito delle scienze della vita la prospettiva conoscitiva incomincia a spostarsi dagli oggetti alle relazioni, dalla quantità alla qualità e, allo stesso tempo, cambiano i modelli della conoscenza.

L’ affermarsi dell’idea di una realtà complessa e reticolare corrisponde al passaggio dalla metafora della conoscenza come edificio alla metafora della conoscenza come rete. La scoperta della complessità porta a definire un approccio scientifico con la teoria sistemica .[40]

Questa teoria guarda alla struttura degli organismi come ad una configurazione di relazioni fra le parti di tipo probabilistico e non più come un’architettura complessiva: tale struttura si realizza nel tempo, all’incrocio imprevedibile e irreversibile di una molteplicità incalcolabile di variabili contingenti.


I risultati del pensiero sistemico hanno offerto un modello trasversale di lettura e di interpretazione, in grado di pensare la complessità e di porla quale nozione epistemico-gnoseologica di carattere generale. In tal modo il pensiero sistemico transita da paradigma cognitivo interno alle scienze fisiche, matematiche, biologiche, a modello filosofico dei caratteri plurali dell’intera realtà fisica, biologica, mentale, sociale e culturale.[41]

Notevoli sono le ripercussioni che tali rivoluzioni concettuali determinano.[42] È da evidenziare la reinterpretazione della legge scientifica che da vincolo, con il suo carattere obbligatorio, statico, diviene espressione dell’ambito della possibilità.

Si delinea, così, la condizione per procedere ad una reinterpretazione della razionalità scientifica. La molteplicità e i reciproci punti di vista da cui è possibile conoscere il mondo mette in crisi l’ideale regolativo della scienza classica e cioè il raggiungimento di un punto di vista scientifico unico, omogeneo e assoluto.[43]

Il profondo ripensamento epistemologico mette in luce un pensiero complesso  con la sua capacità di rispettare la costitutiva multidimensionalità della conoscenza, cioè il suo essere articolata in una molteplicità di punti di vista diversi, ognuno dei quali decisivo ma insufficiente.

Questo significa che le neuroscienze, continuamente, compiono progressi nello studio della identificazione delle sedi di alcune attività mentali e di conseguenza della comprensione dei comportamenti dell’uomo con tutte le sue alterazioni. Ma in realtà esse si rivelano insufficienti nel chiarire il passaggio dall’analisi più rigorosa e complessa dell’attività cerebrale alla mente, alle facoltà superiori che non possono derivare dalla semplice somma delle singole attività.

Sergio Moravia fa notare come la conoscenza dei diversi meccanismi, il gioco delle molecole, i centri nervosi coinvolti non dicono nulla di tutto il mondo dei significati, di come le emozioni conferiscono un senso all’esistenza, di come strutturano gli schemi mentali, di come orientano le scelte e i fini dell’uomo.[44]

Quando le neuroscienze hanno la pretesa di spiegare, in modo esaustivo ed assoluto, il passaggio dal cervello alla dimensione qualitativa della coscienza, si assiste alla radicale oggettivazione della soggettività, dove le dimensioni che sfuggono al pensiero computazionale sono espulse e i significati sono esiliati nelle regioni destinate ai filosofi e teologi.

In realtà il piano completo di tutte le connessioni sinaptiche e di una descrizione dettagliata del funzionamento neuronale conduce alla domanda sull’origine stessa dell’attività conoscitiva. Essa ha condotto ad isolare i neuroni, ad identificarli, a pensarli in una complessa rete, al nucleo dinamico, inteso come processo di interazioni rientranti e quindi alla considerazione che solo gli esseri umani non solo ricordano la propria storia delle sensazioni e le categorizzano, ma soprattutto possono raccontarle.

E inoltre tale domanda porta a considerare come nella relazione con il corpo, con l’ambiente si perfezionano gli stessi atti discriminativi, ossia la dimensione qualitativa dell’esperienza cosciente.

Non solo si risale alla domanda sull’origine stessa dell’atto conoscitivo, ma i dati più recenti emersi dalla ricerca neurobiologica stanno dimostrando come le interazioni con l’ambiente, e in particolare il rapporto con gli altri, esercitano un’influenza notevole e diretta sullo sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali.

Le esperienze possono influenzare in modo significativo le connessioni  neuronali e l’organizzazione delle attività del cervello, provocando l’attivazione di determinati circuiti, consolidando collegamenti preesistenti e inducendo la creazione di nuove sinapsi.

Tanto che l’assenza di esperienze può condurre a fenomeni di morte cellulare, definito come un processo di potatura ( pruning ), che favorisce l’eliminazione degli elementi che non vengono utilizzati.[45]

Pertanto le relazioni con gli altri hanno un’influenza notevole sul cervello, determinando lo sviluppo delle strutture cerebrali nelle prime fasi della vita e poi durante tutta l’esistenza.[46] Le esperienze di comunicazione reciproca permettono al cervello di sviluppare le capacità di regolare le emozioni, di entrare in relazione con gli altri, di creare una narrativa autobiografica e di affrontare la realtà in modo positivo.[47]

Senza ombra di dubbio un esito decisivo delle neuroscienze è aver individuato la plasticità del cervello, la sua enorme complessità che consegna un dato imprescindibile di come è nella relazione con il corpo, con gli altri, con l’ambiente che emerge la coscienza.

Anche la scoperta dei neuroni specchio dimostra fisiologicamente come il riconoscimento degli altri, delle loro azioni e perfino delle intenzioni dipenda in prima istanza dal patrimonio motorio.[48]


A partire da questo dato non si possono considerare le facoltà mentali superiori solo come il risultato del funzionamento neuronale. In fondo si delinea un approccio bidirezionale fra struttura del cervello ed esperienza e viceversa. Tanto che tra le posizioni non riduzioniste vi è quella del neuroscienziato Walter Freeman, il quale nel suo approccio allo studio della mente, su basi sperimentali, tiene conto del legame strutturale con l’intero sistema nervoso e con il resto del corpo.

Una prospettiva che considera l’enorme complessità del cervello e di come la costruzione intenzionale che ha luogo nella percezione sensoriale non può essere compresa in modo efficace soltanto esaminando l’attività dei neuroni e della loro somma.[49] Infatti Freeman afferma che sia necessario parlare di agente cognitivo nella sua interezza e dell’interazione dinamica con l’ambiente circostante e non solo di mente.

Si tratta di far spazio ad un pensiero complesso che evidenzi la capacità di rispettare la costitutiva multidimensionalità della conoscenza.

Le neuroscienze fanno comprendere la dimensione neurobiologica, ma questa resta pur sempre un aspetto della realtà dell’uomo. Tale dimensione bisogna tenerla distinta e trattarla come tale, ma non può essere isolata o addirittura resa incomunicante.

Ed è proprio nel rispetto della distinzione e del rendere comunicanti le varie dimensioni che il pensiero si inoltra in una fondamentale capacità di dialogo.

Ogni scienza dovrebbe riconoscere la dimensione di interlocutrice, pur nella necessaria diversità dei punti di vista, così come afferma Bergson:

“senza contestare alla psicologia, non più che alla metafisica, il diritto ad ergersi a scienza indipendente, riteniamo che ciascuna di queste due scienze debba porre dei problemi all’altra e , in certa misura, possa aiutare a risolverli. Come potrebbe essere diversamente, se la psicologia ha per oggetto lo studio dello spirito umano in quanto utilmente funzionante per la pratica, e se la metafisica non è altro che questo stesso spirito umano che compie lo sforzo per emanciparsi dalle condizioni dell’azione utile, e per tornare in possesso di sé come pura energia creatrice?”[50]

Porre dei problemi sembra la via tracciata da Bergson per rendere possibile il dialogo tra le scienze.

Gli esiti neuroscientifici non possono non aprirsi al dialogo con la riflessione teologica, pena la consegna dell’uomo e della sua comprensione ad un fenomeno puramente marginale.

La riflessione teologica, in virtù della sua novità e originalità rispetto alla cultura filosofica occidentale, non ha mai sacrificato la visione dell’uomo alla natura, alla scienza, alla tecnica.

Fedele alla Rivelazione, ha sostenuto l’unitotalità dell’uomo, composto di anima e corpo. Le categorie usate sono quelle dell’antica tradizione culturale, ma il contenuto si ancora sempre al dato biblico.


Attraverso il ricentramento biblico delle strutture antropologiche di anima e corpo, la teologia propone la visione dell’uomo, che nella sua unitotalità, pensa, sente, decide dialoga con Dio.

Gli stessi termini bâsâr, ruah, nefeš, leb, psychè, sôma, dimostrano la visione unitotale e dinamica dell’uomo, termini che presi singolarmente non indicano mai una parte dell’uomo, ma sempre  l’essere vivente nelle diverse dimensioni.[51]

San Tommaso d’Aquino, con un’epistemologia realista, dimostra l’unità sostanziale dell’individuo umano, giustificando la capacità di sussistenza dopo la morte del principio formale, perché ha ricevuto l’essere direttamente da Dio.

L’essere umano è una sostanza, di cui l’anima è la forma, ossia il principio determinatore. L’unificazione ontologica dell’uomo costituisce una novità assoluta del pensiero cristiano e la capacità di sintesi di san Tommaso permette di superare le verità parziali del platonismo, dell’aristotelismo ed oggi di ogni riduzionismo.

L’approccio empirista basato sulla riduzione epistemologica del discorso intenzionale a quello osservativo di tipo neurofisiologico risulta infondato, in quanto non è possibile estendere ed identificare l’analisi fisiologica alla dimensione soggettiva.[52]

Pertanto l’essere vivente è il risultato di un unico atto di essere che compete all’essenza e che solo conseguentemente implica la capacità di esercitare funzioni.[53]

La persona umana, alla luce della Rivelazione, non è uno spirito puro, ma uno spirito incarnato: infatti sarebbe impensabile che un essere puramente spirituale possa essere considerato l’apice del mondo materiale e al tempo stesso il custode della creazione.

Neppure le esperienze spirituali più elevate della persona possono realizzarsi senza che siano condizionate dai processi biologici del sistema nervoso . E’ necessario evidenziare che la stessa riflessione teologica ha rimosso tutte quelle infiltrazioni di sistemi metafisici che consideravano la materia come un principio malvagio ed estraneo all’uomo.

Pertanto è proprio la visione unitotale dell’uomo, dal momento protologico a quello escatologico[54],  che consente di non mettere in atto quei riduzionismi che conducono alla mente o al cervello, operando un processo di riduzione.

L’uomo come, imago Dei, è una libertà creata che è capax relatiōnis. La sua identità più vera, la sua comprensione globale non la trova solo determinandosi nel mondo e di fronte agli altri, ma nel suo relazionarsi a Dio.

Nella Gaudium et Spes i numeri dal 12 al 18 propongono le grandi linee dell’antropologia cristiana. All’origine vi è l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, con l’affermazione storica del peccato. È presentata la struttura fondamentale dell’uomo, come esplicita affermazione che l’immagine con Dio è il fondamento della dignità e della grandezza dell’uomo. La sua unità e interiorità:

“unità di anima e corpo, l’uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Allora, non  è lecito all’uomo disprezzare la vita corporale, egli anzi è tenuto a considerare buono e degno onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno. L’uomo, però, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più di una particella della natura o un elemento anonimo della città umana…perciò, riconoscendo di avere un ‘anima spirituale e immortale, non si lascia illudere da fallaci finzioni che finiscono unicamente dalle condizioni fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondo le verità delle cose”.[55]

La Gaudium et Spes segna l’inizio di una teologia che si sviluppa tenendo conto del contesto in cui vive l’uomo e dei suoi problemi concreti.[56] E da qui si evidenzia con forza la proposta dell’antropologia cristiana che si specifica e si incentra in Gesù Cristo[57], luomo nuovo (Ef 2,15), immagine e rivelazione definitiva del Dio invisibile (Eb 1,1-3; Gv 1,18), mirabilmente compendiata al n. 22:

“in realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione…poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime”.[58]

Le dichiarazioni del Magistero affermano l’unità dell’uomo nella pluralità delle sue dimensioni, rifiutano in modo forte il dualismo, ogni forma di riduzionismo, la svalutazione della dignità del corpo e, al tempo stesso, si afferma l’esistenza nell’uomo di un principio trascendente che sussiste all’al di là della morte e che garantisce l’identità del soggetto, l’anima.[59]

I continui sviluppi delle neuroscienze pongono l’uomo in continuità con la realtà materiale che lo circonda, ma l’uomo trascende la realtà di se stesso in quanto anima, ovvero chiamato da Dio alla comunione con lui.

La relazione con Dio tocca l’uomo intero e rende ragione di ciò che definisce l’uomo in profondità, nei suoi atti trascendenti, nella sua dimensione spirituale.

L’antropologia cristiana considera la dimensione materiale e spirituale in modo inseparabile: corpo e anima sono dimensioni integranti e irrinunciabili dell’essere umano. Il riconoscimento nell’uomo degli aspetti fisiologici, della relazione con il corpo, con l’ambiente, con gli altri rappresenta quella dimensione che trova la sua pienezza solo in ciò che lo trascende.[60]

Ma l’uomo non è semplicemente un essere che trascende la realtà, tale trascendenza è orientata dalla partecipazione alla vita di Dio nella conformazione a Cristo.


Ed è nel dialogo con Dio che l’uomo scopre la sua identità di essere unitotale, dove l’anima e il corpo non sono due sostanze contrapposte tanto da cercare di eliminare l’anima per giungere ad una comprensione semplificata dell’essere umano.

Il tentativo di semplificare la comprensione dell’uomo, con la riduzione alla vita del cervello, non solo sembra impraticabile a partire dalle stesse conoscenze scientifiche acquisite, ma si rivela inquietante perché confina l’uomo a semplice prestazione biologica e quindi manipolabile ed eliminabile a proprio piacimento. L’affascinante susseguirsi di conoscenze sempre più dettagliate della rete neuronale non risolve la domanda intorno all’uomo, ma la apre ad ulteriori possibilità di ricerca e di approfondimento.

Alla teologia il compito di contribuire ad allargare la riflessione nella fatica della conoscenza e della lettura delle posizioni neuroscientifiche.

Tutte le scienze sembrano ritrovarsi in una situazione in cui sembra necessaria una continua tensione tra identità e differenza. Identità come fedeltà al proprio statuto epistemologico e differenza come possibilità di dialogo, in un clima di epistemologia aperta.

Lo stesso Moltmann sostiene che la teologia deve acquisire l’apertura al mondo, che si sviluppi come theologia experimentalis, nel senso di una scienza unita alle altre nella ricerca della verità dell’insieme e della salvezza dell’uomo e del mondo.[61]

La riflessione teologica intorno all’anima e al corpo rivela il suo originale contributo nei diversi ambiti.

In ambito epistemologico, perché pone la razionalità nelle condizioni di liberarsi dalla sua decretata autolimitazione, ovvero dal suo appiattirsi sul fenomenico[62], nell’ambito antropologico rende ragione dell’irriducibilità dell’uomo alla sola dimensione neurofisiologica e nell’ambito etico fonda il riconoscimento della dignità della persona umana nella sua dimensione materiale e spirituale, senza la quale il corpo è destinato alla reificazione e alla soppressione con l’aborto o l’eutanasia.

Nell’ambito pastorale una chiara e forte visione antropologica porta a riconsiderare l’educazione non come una modalità strumentale, un funzionale passaggio, ma come processo continuo, dove la persona, al centro del percorso formativo, possa essere messa nelle condizioni di integrare i contenuti della Fede nella sua esperienza per tornare all’esperienza stessa in modo nuovo[63].

Il tentativo di eliminare ogni riferimento alla dimensione spirituale è decisamente impraticabile e proprio attraverso i fraintendimenti, le contaminazioni, i vari passaggi di significato, il concetto di anima ritorna con forza al centro della ricerca e della riflessione con una prospettiva intrisa di futuro: rendere possibile il dialogo tra le diverse scienze.  In questa direzione l’anima continua a dire tutta la sua specificità, mostrando come l’essere umano non cesserà di interrogarsi: “Che cosa è l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?” (Sl 8,5).


NOTE

[1] M. PICCOLINO (a cura di), Neuroscienze controverse. Da Aristotele alla moderna scienza del linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
[2] P. F. BEAR MARK-N. CONNORS-M. A. PARADISO, Neuroscienze. Esplorando il cervello, Elsevier, Milano 2009. Dal punto di vista metodologico si problematizza sulle tecniche di visualizzazione (PET e fMRI) in quanto esse non possono essere considerate effettivamente delle istantanee del cervello in azione. Secondo Alva Noë, docente di Filosofia all’Università della California, Berkeley, e membro dell’Institute of Cognitive and Brain Science, il lavoro dello scanner e dello scienziato somigliano molto di più all’identikit di un ricercato che un poliziotto traccia ricorrendo all’ausilio di diversi testimoni. Le tecniche rappresentano una congettura, o un’ipotesi, riguardo a ciò che si pensa stia accadendo nel cervello di un soggetto. L’assunto che gli scienziati adottano è che ad ogni compito mentale corrisponda un processo neurale. Come decidere quale specifica attività cerebrale tra quelle che si manifestano in concomitanza con un compito mentale sia l’effettiva attività neurale responsabile della capacità che interessa analizzare? Cf. A. NOЁ, Perché non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010, 20-24. [3] Cf. E. GOLDBERG, La sinfonia del cervello, Ponte alle Grazie, Milano 2010, 12. [4]  Nella filosofia meccanica la realtà è ricondotta a una relazione di corpi o particelle materiali in movimento. Tale relazione appare interpretabile mediante le leggi del moto individuate dalla statica e dalla dinamica. Il termine meccanicismo è un termine non facilmente definibile e lo storico olandese E. J. Dijksterhnis afferma che nel considerare i testi del seicento diversi significati sono presenti, combinati o mescolati insieme nella nuova visione del mondo. Il dato certo è che il riferimento alla macchina è strettamente congiunto. Il meccanicismo elimina ogni prospettiva di tipo antropomorfico nella considerazione della natura. Il metodo caratteristico della filosofia meccanica è applicabile a tutti gli aspetti della realtà: non solo al mondo della natura, ma anche al mondo della vita, non solo al moto degli astri, ma anche alla sfera delle percezioni e dei sentimenti degli uomini. Il meccanicismo non è soltanto un metodo. Afferma l’esistenza di regole per la scienza e di conseguenza ciò che può essere considerato scienza o meno. Pertanto si configura come una vera e propria filosofia. Nessun dominio del sapere si sottrae al principio della filosofia meccanica. Cf. P. ROSSI, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Roma-Bari 2002, 187-214; G. CAPRULI, Introduzione a Descartes, Laterza, Roma-Bari 1996, 84-85. [5]  Cf. U. GALIMBERTI, Gli equivoci dell’anima, Feltrinelli, Milano 2004, 68. [6] Cf. J. COTTINGHAM, Cartesio, Il Mulino, Bologna 1991, 157. Antonio Damasio, docente di neurologia presso il College of Medicine della University of Iowa, capovolge la nota affermazione cartesiana Cogito ergo sum e dimostra, con un lavoro interdisciplinare, come la coscienza di sé emerga da quella del corpo. L’errore di Cartesio risiede nel non aver rilevato quanto dietro ogni decisione siano sempre in atto sistemi regolatori di natura somatica. Ogni decisione, anche la più razionale e intellettuale, passa inevitabilmente attraverso il filtro emozionale connesso con gli eventi somatici.  A. DAMASIO, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 2005. [7] Cf. D. HUME, Trattato sulla natura umana, in Opere filosofiche, Laterza, Bari 1987, vol. I, I II, VI, 80. [8] Cf. M. DI FRANCESCO, Introduzione alla filosofia della mente, Nuova Italia Scientifica,  Roma 1997, 63. [9] La riflessione di Willard Van Orman Quine problematizza con l’atteggiamento empiristico che voleva una distinzione netta tra scienza e metafisica. Secondo Quine non è possibile isolare la scienza senza tener conto dell’orizzonte di senso in cui essa opera. In realtà non è pensabile una scienza pura, nel senso di una realtà completamente separata dalla cornice teorico-speculativa. Ogni prospettiva scientifica è già anche un certo atteggiamento, una certa presa di posizione nei confronti dell’esistenza dei propri oggetti. In questa prospettiva il rapporto mente-corpo riceve una rinnovata attenzione portando a un notevole fenomeno di convergenza tra interessi diversi, perciò linguisti, logici, informatici, psicologi sperimentali, neurobiologi, antropologi si sono ritrovati in un progetto comune, al quale è stato dato il nome di scienze cognitive. S. NANNINI, L’anima e il corpo, Laterza, Roma-Bari 2002; P. PARRINI, Conoscenza e realtà. Saggio di filosofia positiva, Laterza, Roma-Bari 1995. [10] Cf. G. BASTI, Mente-Corpo, Rapporto, in Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, vol. 1, Urbaniana Università Press, Città Nuova, Roma 2002, 935. [11] P. N. JOHNSON LAIRD, La mente e il computer, Il Mulino, Bologna 1990. [12] J. A. FODOR, La mente modulare, Il Mulino, Bologna 1988. [13] Cf. E. BONCINELLI, Il cervello, la mente e l’anima, Mondadori, Milano 2009, 227. [14] F. J. VARELA-E. THOMPSON-E. ROSCH, La via di mezzo della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1992. [15] Cf. G. BASTI, Filosofia dell’uomo, ESD, Bologna 2008, 197. [16] Cf. ID., Mente-Corpo, Rapporto, op. cit., 921. [17] Cf. G. EDELMAN-G. TONONI, Un universo di coscienza, Einaudi, Torino 2000, 56. [18] Cf. Ibidem, 57. [19] Cf. Ibidem.; G. EDELMAN, Seconda natura. Scienza del cervello e conoscenza umana, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007, 25. [20] Il talamo costituisce la principale fonte di input per la corteccia cerebrale e praticamente l’unica fonte di informazioni sensoriali. Queste vengono elaborate attraverso altre sinapsi all’interno del talamo prima di essere inviate alla corteccia. Cf. J. W. KALAT, Psicologia fisiologica, EdiSES, Napoli 2000, 117-118. [21] La ricorrenza  del centocinquantesimo anniversario della pubblicazione de Le origini della specie per mezzo della selezione naturale (1859)  ha contribuito a suscitare particolare interesse per la teoria dell’evoluzione. Un dibattito culturale sempre vivo tra sostenitori dell’evoluzione e della creazione. Secondo alcuni autori tale dibattito diventa, oggi, cifra del senso e della direzione dell’avventura dell’uomo nella storia dell’universo. In altri termini la questione dell’evoluzione mette in campo l’interrogativo circa l’identità e il destino dell’uomo. A. PIOLA, Non litigare con Darwin. Chiesa ed evoluzionismo, Paoline, Milano 2009; F. BRANCATO, Creazione ed evoluzione. La grammatica di un dialogo possibile, Città Aperta, Troina (EN) 2009; F. FACCHINI, L’avventura dell’uomo. Caso o progetto, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006. [22] G. EDELMAN-G. TONONI, Un universo di coscienza, op. cit., 96. [23] Cf. Ibidem, 126. [24] Cf. Ibidem, 127-130. [25] Cf. Ibidem, 194. [26] Cf. Ibidem, 195. [27] L’esempio presentato è quello della capacità di essere coscienti dei diversi sapori. L’accumulo delle esperienze fa si che nel tempo si è in grado di distinguere tutta la gamma e varietà dei sapori. L’esempio può essere esteso a tutte le altre esperienze di cui si è coscienti. Cf. Ibidem, 208. [28] Attuale è il dibattito sul rapporto tra mondo soggettivo e linguaggio. Negli studi sulla natura umana, oggi, continua ad essere prevalente la tesi sul primato dei fattori socio-culturali nella determinazione della specificità degli essere umani. Secondo la concezione esternalista non si può parlare di mondo soggettivo fino a quando non si acquisisce il linguaggio, che viene appreso mediante le interazioni tra persone. Solo con il linguaggio si è in presenza di un individuo cosciente e autocosciente. Non a caso un largo settore dell’antropologia filosofica contemporanea fa riferimento a Johann Gottfried Herder, sostenitore convinto di questa ipotesi. Per approfondimenti si veda, F. FERRETTI, Perché non siamo speciali. Mente, linguaggio e natura umana, Editori Laterza, Roma-Bari, 2007. [29] Cf. G. EDELMAN-G. TONONI, Un universo di coscienza, op. cit., 239. [30] Cf. Ibidem, 240. [31] Cf. Ibidem, 251. [32] Cf. Ibidem, 260. [33] Cf. Ibidem. [34] Cf. Ibidem, 265. [35] Cf.  G. TONONI, Galileo e il fotodiodo. Cervello, complessità e coscienza, Laterza, Bari 2003, 36. [36] Cf. Ibidem, 37. [37] La complessità è considerata come quantità dei collegamenti che mettono in comunicazione tra loro parti strutturalmente e funzionalmente diverse. Un gran numero di sottosistemi diversi, strettamente collegati fra loro, formano un unico sistema altamente integrato. Emerge in questo modo la coscienza. Cf. Ibidem, 53. [38] Cf. Ibidem, 128.  
[39] Cf. A. N. TERRIN, Religione e neuroscienze, Morcelliana, Brescia 2004, 160. [40] La teoria dei sistemi si rifà agli studi del biologo L. von BERTALANFFY, si veda Teoria generale dei sistemi, Ili, Milano 1971. [41] F. VARELA, Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Padova 1985. [42] F. Varela, per dimostrare i limiti nel considerare il trattamento dell’informazione quale nozione centrale della scienze cognitive, analizza il sistema visivo dell’uomo. Il sistema visivo inizia nella retina dove giunge l’immagine di un oggetto. Questa viene poi proiettata in un centro che si trova nella profondità del mesencefalo e da questa arriva alla corteccia visiva, dove l’informazione visiva ricevuta nella retina subisce un ulteriore trattamento e  viene quindi affidata a nuovi trattamenti di livelli superiori. Pertanto vi è un flusso di informazione che comincia nella retina e risale verso la corteccia, in cui continua il processo di trattamento. In questo sistema di riferimento, la conseguenza naturale per studiare i meccanismi della percezione visiva è quella di registrare e analizzare l’attività dei neuroni, con lo scopo di andare alla ricerca dell’informazione che passa da un livello a quello successivo. Le due nozioni fondamentali interconnesse sono il flusso di informazione e la rappresentazione. In realtà Varela sottolinea come l’anatomia di fondo del sistema visivo non può essere pensata solo come una catena di ordini da neurone a neurone: l’informazione subisce diversi trattamenti e non esiste una direzione del flusso ben determinata. Quindi il sistema è organizzato in forma reticolare e vi è una convergenza o coerenza simultanea di tutte le parti in questione. Le conclusioni tratte per il sistema visivo possono essere estese a tutte le aree del cervello. All’interno del sistema nervoso avviene generalmente che l’area A si connette con l’area B, e contemporaneamente l’area B si connette di ritorno con l’area A. Il punto centrale per lo studio del sistema nervoso non è più nel flusso dell’informazione ma nelle modalità specifiche per cui gli stati di coerenza interna si possono produrre nell’ambito del reticolo che si definisce vicendevolmente. Cf. F. VARELA, Complessità del cervello e autonomia del vivente, in La sfida della complessità (a cura di G. BOCCHI-M. CERUTI), Feltrinelli, Milano 1985, 141-142. [43] Nella seconda metà del Novecento, dal confronto con la tradizione dell’empirismo logico e il falsificazionismo di Popper, nasce un appassionato dibattito epistemologico che in Thomas S. Kuhn, Imre Lakatos e Paul Feyerabend trova gli autori più originali. L’attenzione si volge verso i criteri con cui, nella concreta storia della scienza, la comunità di ricercatori valuta e seleziona le ipotesi e paradigmi che garantiscono un progresso conoscitivo. Cf. T. S. KUHN, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1981; P. K. FEYEREBAND, Contro il metodo, Feltrinelli, Milano 1979; I. LAKATOS-A. MUSGRAVE, Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1976. [44] S. MORAVIA, L’enigma della mente. Il mind-body problem nel pensiero contemporaneo, Laterza, Bari 1996. [45] Cf. D. J. SIEGEL, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, 10-13. [46] Cf. Ibidem, 20. [47] L’importanza dell’influenza diretta delle esperienze sullo sviluppo del cervello è sottolineata dall’osservazione che evidenzia come la deprivazione materna è associata a problemi di comportamento sociale che possono essere ridimensionati attraverso la somministrazione di farmaci serotoninergici, ma d’altra parte, i problemi comportamentali riemergerebbero in seguito alla sospensione del trattamento farmacologico. Tutto ciò indica che questi cambiamenti sono radicati nei circuiti neuronali che controllano attività fondamentali, come il comportamento, la regolazione delle emozioni e le relazioni sociali. Questa osservazione, prettamente scientifica, sottolinea che un’eventuale risposta positiva ad un farmaco è insufficiente per considerare una disfunzione di natura genetica e non legata alle esperienze dell’individuo. Cf. M. SIGMAN-D. J. SIEGEL, The interface between the psychobiological and cognitive models of attachment,in Behavioral and Brain Science 15 (1992), 523. [48] Cf. G. RIZZOLATTI-C. SINIGAGLIA, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006, 113-114. Il meccanismo dei neuroni specchio sottolinea il sostrato neurale della comprensione, ma non esaurisce in sé la comprensione e soprattutto il significato e la partecipazione effettiva alle diverse emozioni. I neuroni specchio sembrano offrire una base unitaria a partire dalla quale cominciare ad indagare in modo diverso il funzionamento del cervello e l’emergere delle dimensioni più complesse. Il neurofisiologo Vittorio Gallese sottolinea come la scienza cognitiva classica abbia cercato di individuare regole formali dell’apparato cognitivo in una realtà solipsistica, tralasciando completamente l’influenza dell’interscambio e dell’intersoggettività. La ricerca sui neuroni specchio orienta la ricerca neuro scientifica verso gli aspetti in prima persona dell’esperienza umana. Cf. V. GALLESE, Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale. Meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettività, in Rivista di Psicoanalisi, 1 (2007), 197-208. [49] W. FREEMAN, Come pensa il cervello, Einaudi, Milano 2000; ID., Brain and body: human acquisition of Knowlodge and wisdom trough intentional action and perception of its consequences, tratto da www.stoqatpul.org/lat/materials/freeman.pdf. [50] H. BERGSON, Materia e memoria, Laterza, Bari 1996, 10. [51] Cf. H. W. WOLFF, Antropologia dell’Antico Testamento, Queriniana, Brescia 2002, 18-83; Cf. G. RAVASI, Breve storia dell’anima, Mondadori, Milano 2003, 96-105; A. VACCARO, Perché rinunciare all’anima? La questione dell’anima nella filosofia della mente e nella teologia, EDB, Bologna 2001; G. CANOBBIO, Il destino dell’anima. Elementi per una teologia, Morcelliana, Brescia 2009. [52] Cf. G. BASTI, Mente-Corpo, in Dizionario, op. cit., 923. [53] S. VANNI ROVIGHI, Introduzione a Tommaso d’Aquino, Laterza, Roma-Bari 1996; S. SIMONETTI, L’anima in S. Tommaso d’Aquino, Armando Editore, Roma 2007. [54] F. G. BRAMBILLA, Antropologia teologica, Queriniana, Brescia 2005; G. ANCONA, Escatologia cristiana, Queriniana, Brescia  2007. [55] Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Gaudium et Spes, in EV 1/1363-1364. [56] P. DELHAYE, La dignità della persona umana, in La Chiesa nel mondo di oggi. Studi e commenti intorno alla Costituzione pastorale “Gaudium et Spes”, (a cura di G. BARAÚNA), Vallecchi Editore, Firenze 1966. [57] Cf. M. BORDONI, Gesù di Nazaret Signore e Cristo. Saggio di cristologia sistematica, vol. I, Herder-Università Lateranense, Roma 1982, 193-194. [58] Gaudium et Spes, in EV 1/1385-1386. [59] Cf. L. F. LADARIA, Antropologia teologica, Piemme, Casale Monferrato 2005, 136. [60] D. LAMBERT, Scienze e teologia. Figure di un dialogo, Sefir-Citta Nuova, Roma 2006. [61] Cf. J. MOLTMANN, Scienza e sapienza. Scienza e teologia in dialogo, Queriniana, Brescia 2003, 13. È da sottolineare come il contributo della Commissione Teologica Internazionale evidenzia che l’uomo è immagine di Dio in tutta la sua realtà fisica e spirituale e in particolare il numero 30 mostra come la verità dell’uomo che viene da Dio non sia incompatibile con le più recenti scoperte scientifiche. Il riferimento esplicito è alla fisica moderna, che ha dimostrato che la materia, nelle sue particelle, è puramente tendente all’organizzazione. Il livello di organizzazione è raggiunto attraverso la presenza di qualche “informazione”. Tutto ciò porta a pensare ad una analogia tra il concetto aristotelico di forma sostanziale e il concetto scientifico di informazione. L’esempio è quello del DNA dei cromosomi, che costituisce l’informazione per cui la materia possa organizzarsi secondo lo schema di una data specie o singolo essere. È necessaria la cautela nel considerare in pieno questa analogia, ma ciò che qui si vuole mettere in risalto è il delinearsi di una nuova esigenza all’interno delle scienze stesse. Cf. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio, in Il Regno/Doc. 1 (2005), 11-22. [62] Cf. G. ISRAEL, Ma la razionalità non è riduzionismo scientifico, in L’Osservatore Romano 21.01.2011, 5. [63] G. CHIOSSO, Elementi di Pedagogia, Editrice La Scuola, Brescia 2003; Z. TRENTI-R. ROMIO,  Pedagogia dell’apprendimento nell’orizzonte ermeneutico, Elledici, Leumann (Torino) 2006.


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Teologia e neuroscienze : prove di dialogo

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