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Il testo di Ratzinger sulla pedofilia ha messo in crisi l’equilibrio nella Chiesa.
Le due fazioni - il «cerchio magico di Santa Marta» e i nostalgici irriducibili di Ratzinger - usano gli «appunti» pubblicati dal pontefice emerito per colpirsi, in una logica da resa dei conti.source : corriere.it di Massimo Franco 12-4-2019 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Era prevedibile che il documento di Benedetto XVI sugli abusi sessuali nella Chiesa potesse far discutere e dividere.

Al fondo ripropone il tema dei rapporti tra Papa Francesco e il Papa emerito:rapporti mai codificati dopo le dimissioni epocali di Joseph Ratzinger nel febbraio del 2013; e risolti in questi anni con un rapporto personale affettuoso e collaborativo tra i due pontefici, unito al profilo discretissimo, quasi da eremita, scelto dal predecessore: sebbene Jorge Mario Bergoglio lo abbia sempre incoraggiato a partecipare e dare consigli.



Ma il testo scritto da Benedetto XVI per la rivista bavarese «Klerusblatt», anticipato giovedì dal «Corriere» , ha messo in crisi questo schema. In un Vaticano dove la coesistenza tra i due è stata sempre regolata con un miracolo di equilibrio e di rispetto dei rispettivi ruoli, si è inserito come una perturbazione imprevista e foriera, se non di tempesta, di malintesi più o meno interessati. Forse perché la riunione mondiale sulla pedofilia, convocata a fine febbraio da Francesco, non ha dato i risultati sperati.

E dunque le osservazioni di Benedetto hanno toccato un nervo scoperto. O forse perché gli oppositori del pontefice argentino non aspettavano che una presa di posizione del Papa emerito, per strattonarlo dalla propria parte.

La sensazione trasmessa dal conflitto sordo che gli «appunti» hanno mostrato è questa. Sia il «cerchio magico di Santa Marta», con i tifosi di Francesco, sia la filiera dei nostalgici irriducibili di Ratzinger, tendono a trasformare quel documento in un’arma da brandire contro l’altro; e dunque a radicalizzare una contrapposizione che in realtà non è mai esistita in questi termini. Anche quando sono affiorate divergenze di vedute, Francesco e Benedetto le hanno gestite con una discrezione e una volontà unitaria ammirevoli.

Adesso, la prospettiva che questo equilibrio si spezzi appare nefasta. Basta registrare l’accanimento con il quale i siti tradizionalisti «abbracciano» la scomunica della «Rivoluzione del ‘68» da parte del Papa emerito: senza vedere che nelle sue parole c’è non un’accusa a quei movimenti, ma al modo in cui la Chiesa li ha interiorizzati.

E, dalla parte opposta, colpisce la perentorietà con la quale alcuni «francescani» insultano Benedetto e lo invitano a tacere, per non disturbare il Pontefice in carica: oscillando tra questa esagerazione, e le bugie di chi esorcizza gli «appunti» sostenendo di non averli neanche letti.

Ortodossia teologica di Benedetto contro presunta «eresia» di Francesco: visioni opposte e entrambi caricaturali. Ma soprattutto, artificiosamente e pericolosamente inconciliabili. Gli equilibri stabiliti sei anni fa sono cambiati. Ma gli «appunti» ratzingeriani rivelano, non provocano questa novità . E le tensioni che ne sono nate erano, evidentemente, latenti.

Fa parte di questi veleni anche la messa in dubbio dell’autenticità del testo, e il sospetto che nasconda una manovra del fronte tradizionalista per destabilizzare il papato attuale.

In realtà, Benedetto ha inviato le diciotto pagine e mezzo sulla pedofilia «per cortese conoscenza» al segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, prima della riunione globale delle conferenze episcopali, per farlo conoscere anche a Francesco. E con una lettera successiva a quel vertice, ha fatto sapere a entrambi di volerla rendere di pubblico dominio, ricevendo un via libera.


Bruno Forte: «Ratzinger sulla pedofilia sprona la Chiesa a reagire» Il teologo Forte: ci mostra le radici da cui è nata questa ferita.source : corriere.it di Bruno Forte teolog0- *Arcivescovo di Chieti-Vasto 12 aprile 2019 | 22:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA

È un intervento chiaro e coraggioso quello con cui il Papa emerito Benedetto XVI prende posizione sulla crisi degli abusi nella Chiesa, emersa in maniera drammatica e virulenta anche grazie alla determinazione sua e del suo successore, Papa Francesco, nell’affrontarla.

Da uomo di fede e di pensiero qual è, protagonista e testimone egli stesso delle vicende culturali del «secolo breve», il Novecento, e degli sviluppi della cosiddetta postmodernità, Joseph Ratzinger va alle radici dei processi che hanno determinato una ferita così drammatica: con tratti brevi e al tempo stesso magistrali delinea il contesto della questione, in mancanza del quale il problema risulta incomprensibile, mostrando come la crisi affondi le sue radici negli anni ’60, e precisamente in quel processo per cui nel ventennio 1960-1980 «i criteri validi sino a quel momento in tema di sessualità sono venuti meno completamente e ne è risultata un’assenza di norme alla quale nel frattempo ci si è sforzati di rimediare».

Nell’analisi di Benedetto la radice profonda della crisi va cercata nella diffusione prodottasi allora della cosiddetta « etica della situazione », per la quale «non c’era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio».

Il segno distintivo dell'etica della situazione è che non si basa su leggi morali universali, come i Dieci Comandamenti, ma sulle condizioni o circostanze reali o concrete in ci si trova ad agire e sulla base delle quali la coscienza individuale deve discernere e scegliere. Ogni situazione è unica e la scelta etica relativa va applicata quella sola volta e questo vale per qualsiasi azione umana . Questo è il motivo per cui la decisione della coscienza, affermano i fautori di questa etica, non può essere comandata da idee, da principi , da leggi universali. n.d.r Fu in reazione a questa sfida che Giovanni Paolo II volle un’enciclica che potesse rimettere ordine nel campo decisivo della morale: pubblicato con il titolo Veritatis splendor il 6 agosto 1993, questo testo ribadiva la forza vincolante di alcuni precetti fondamentali, riassunti nel Decalogo e nel compendio di esso rappresentato dai due comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo, formulato da Gesù, precetti senza i quali viene meno la stessa distinzione fra il bene e il male e ogni scelta è lasciata all’arbitrio dei singoli.

Dove si perde il senso di Dio e il riferimento costante a Lui e alla Sua volontà da parte della coscienza morale, lì a perdersi è l’uomo stesso e la sua libertà: «La morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento».

Da queste premesse il Papa emerito sviluppa alcune prospettive per una giusta risposta da parte della Chiesa alla crisi degli abusi. Se la pedofilia ha potuto raggiungere dimensioni gravi, il motivo sta nell’assenza di Dio.

Il primo compito consiste nell’iniziare di nuovo «a vivere di Dio, rivolti a lui e in obbedienza a lui». Riconoscendo dolorosamente che il peccato e il male nella Chiesa ci sono, non bisogna dimenticare che la confessione del Signore e la fedeltà a Lui sono non di meno vivi e presenti: «Anche oggi c’è la Chiesa santa che è indistruttibile... Anche oggi Dio ha i suoi testimoni (martyres) nel mondo».

La grande crisi si offre, allora, come una grande sfida e una non meno decisiva chiamata a che le forze del bene si alleino in una rinnovata fedeltà. La necessità assoluta che le vittime del male siano riconosciute nella loro dignità ferita e adeguatamente ripagate e aiutate, deve coniugarsi all’impegno affinché chi ha operato il male sia giudicato con la severità necessaria e accompagnato a vivere un cammino di conversione.

A questo serve, però, secondo il Papa emerito, che sia la Chiesa tutta a mobilitarsi in una rinnovata tensione di riforma e di annuncio gioioso del Vangelo con le parole e l’eloquenza della vita e tutto questo nella comunione profonda col Successore di Pietro, Papa Francesco, verso cui Benedetto ha una devozione assoluta e di piena obbedienza e amore.

Un programma che - proprio per il rigore dell’analisi - è tutt’altro che moralistico: essa presenta, anzi, la cogenza che solo l’urgenza di obbedire alla verità riesce a dare all’imperativo morale.




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