Corso di Religione

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Ancora sul Gesù “della storia”. La lezione di Giacomo Biffi, grande teologo e cardinale
IIl post di Settimo Cielo del 21 marzo su “la storia di Gesù riscritta da un grande storico” ha suscitato vivaci critiche via e-mail da parte di un valente teologo gesuita, allievo di Joseph Ratzinger e appartenente al suo “Schulerkreis”. source :http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/ 28 Marzo 2019


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Ciò che egli contesta è che si attribuisca a Gesù, nel corso della sua breve vita pubblica, una evoluzione nella coscienza della propria identità e della propria missione, fatta di aspettative poi deluse e mutate, di cambiamenti di obiettivi anche repentini, di annunci via via modificati, fino a una più compiuta autocoscienza di sé come Messia salvatore raggiunta però solo nell’imminenza della morte sulla croce.

Questo tortuoso percorso di Gesù è effettivamente quello che lo storico delle antichità cristiane Giorgio Jossa ricostruisce nel suo ultimo saggio, di cui ha dato notizia Settimo Cielo. Un  Gesù “della storia” – spiega – che egli non contrappone ma affianca al Gesù dei Vangeli, i quali invece lo raccontano alla luce della fede nella sua risurrezione.

Al nostro critico però questa ricostruzione storica della vicenda umana di Gesù appare troppo in contraddizione con il Gesù della fede per essere accettata. I discepoli di Gesù, loro sì, potevano essere incerti e cadere in errore di fronte ai “segni” da lui compiuti. Ma non lui. In lui non poteva esserci ignoranza o incertezza sulla sua identità e missione, almeno dall’età della ragione: “Gesù certamente sapeva con chiarezza che era il Figlio di Dio e il Messia dall’età di 12 anni”.

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A 12 anni, in effetti, nel Vangelo di Luca (2, 41-52) si legge che Gesù disputò con i dottori nel tempio stupendo tutti per “la sua intelligenza e la sua dottrina”. E a Maria e Giuseppe disse: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.

Ebbene, c’è un passaggio nel libro del grande teologo e poi cardinale Giacomo Biffi (1928-2015) intitolato  “Alla destra del Padre” – la più compiuta “sintesi di teologia dogmatica” da lui pubblicata, ultima ristampa nel 2004 – nel quale egli annota, proprio riguardo a Gesù tra i dottori nel tempio:

“Se a dodici anni già parla di Dio suo Padre con accento inaudito fino ad allora, rivelando così una certa consapevolezza della sua inimitabile condizione filiale, tuttavia il desiderio ardente di sentire parlare i dotti e di interrogarli ci dice che a quell’età egli è ancora un ricercatore di Dio alle prime armi e perciò il suo stesso mistero non gli è ancora compiutamente dissolto”.

Questo passaggio è all’interno del capitolo intitolato “La vicenda terrestre di Cristo”, dedicato proprio alla “storia” di Gesù di Nazareth e al suo “crescere” fino al vertice della condizione di gloria.

Da vero uomo qual era Gesù, scrive Biffi, “noi dobbiamo ritrovare in lui un crescere, non solo nella sua vita corporea, ma anche nella realtà interiore del suo mondo conoscitivo e volitivo”. Un crescere, sottolinea, che è ben presente nella cristologia del Nuovo Testamento, ad esempio in “quel testo famoso della Lettera agli Ebrei (5,8) dove si dice che il Figlio di Dio ‘ha imparato dal suo soffrire che cosa fosse l’obbedienza’”.

“Anche Gesù – prosegue Biffi – è dunque andato progressivamente crescendo nella comprensione della ‘oikonomia’ cioè dell’universale disegno salvifico, di cui egli era il centro. Egli è stato perciò anche il primo ‘teologo’ nel senso dinamico della parola: il primo degli indagatori del progetto del Padre. […] E poiché la redenzione non si è compiuta in un istante, ma ha avuto uno svolgimento che ha trovato il suo culmine nella morte e nella risurrezione, anche questa sua conoscenza ‘funzionale’ o profetica è andata crescendo in armonia col dispiegarsi del disegno salvifico. [….] Non solo nella vita interiore ma anche nell’azione di Gesù di Nazareth si nota un ‘crescendo’, che la teologia tradizionale della redenzione lascia nell’ombra o almeno non coglie in misura adeguata”.

Non da storico ma da teologo, Biffi insiste nell’indicare nei testi stessi del Nuovo Testamento questa concezione “dinamica” della vicenda di Gesù, talmente dinamica da far predicare all’apostolo Pietro che è solo con la risurrezione che “Iddio fece Signore e Messia questo Gesù che voi avete crocifisso” (Atti 2, 36).

“Secondo la predicazione primitiva, dunque – commenta Biffi –, Gesù entra in possesso non solo della signoria sul mondo, ma anche della dignità messianica e della piena capacità di acquisire la salvezza soltanto nel momento del suo ingresso nel santuario celeste”.

Ma che significa – si chiede Biffi verso la fine di questo suo denso capitolo – che Gesù solo allora “è diventato” Figlio di Dio?

“C’è una risposta facile”, risponde, ed è quella secondo cui “Gesù è ‘apparso’ come Figlio di Dio soltanto con la sua glorificazione, mentre nella vita terrestre la sua dignità restava nascosta”.

“Tuttavia – prosegue – pensiamo che questi testi del Nuovo Testamento possano essere capiti con maggior profondità, se si riflette che il Cristo in relazione di filiazione con il Padre è solo il Cristo glorioso, nel quale tutti i momenti precedenti vivono e si eternizzano. […] Naturalmente  ciò non significa che nella vita terrestre Gesù non fosse ‘Figlio di Dio’, ma che c’è un vero crescere in tutta la sua personalità umana, anche nella sua relazione ontologica con il Padre; un crescere, si capisce, da parte dell’’homo assumptus’, non da parte del Padre”.

“Il mistero dello ‘sviluppo’ di Gesù di Nazareth – conclude Biffi – è che la sua vita terrena è stata, a tutti i livelli e in tutte le fibre del suo essere, un cammino di avvicinamento al Padre”.

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Fin qui Biffi. Ma se questa inquadratura teologica vale, è evidente che le ricerche storiche sul Gesù “della storia” non possono essere che oggetto di seria attenzione. E valutate come tali, non contro ma accanto al Cristo “della fede”.





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