Corso di Religione

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Violenza, gender e religione
Questo otto marzo 2019 sarà ricordato, finalmente, come un giorno di lotta e mobilitazione: si parla della quotidiana violenza e non di mimose e ristorante, perché di fatto i problemi di metà della popolazione mondiale, le donne (ma personalmente includo anche i bambini) non sono cambiati significativamente.source: http://confronti.net/   30 Aprile 2017 di Marisa Patulli Trythall (Georgetown SUA – Sponsored University Associate – History of American-Vatican Diplomacy) relazione che l’autrice ha letto a un convegno l’8 marzo scorso a Villa Pietra, a Firenze.


È la ragione per cui si ascoltano parole già dette, ma come dicevano i Romani “repetita iuvant”, le ripetizioni fanno bene. Si deve spiegare ancora ciò che non funziona, per educare e trasmettere consapevolezza di ciò che sia corretto, giusto, o meno. Si chiedono provvedimenti concreti per eliminare le barriere, anche quelle invisibili, che rendono il lavoro femminile sottostimato e sottopagato.

Sono una storica dei rapporti diplomatici Vaticano-Stati Uniti, ma sono anche l’organizzatrice di un annuale convegno Donne e Religioni. Dialogo e confronto tra Scienza, Teologia e Istituzioni, giunto al suo settimo anno. Il titolo di questa edizione sarà: Ignoranza, violenza, discriminazione: i segni dell’inciviltà. Ma sono, prima di tutto, una donna e se in gioventù davo questo fatto per scontato e inserito in un modus vivendi comune a tutti nella società, senza troppo riflettere sul significato di quanto mi accadesse intorno, ho capito nel tempo che questo corrispondeva a una diversa valutazione, comunemente accettata e avallata, della “differenza” tra maschi e femmine. Intendendosi questa differenza come una posizione di disuguaglianza a sfavore delle donne.

Come avrei potuto non capirlo, essendo ultima e unica femmina di 4 figli! Eppure allora accettavo quasi con gioia il fatto di essere considerata la “cocca di casa”, ma anche di non poter giocare se non con altre bambine o con le bambole! Potevo saltare la corda, andare in altalena, ma non giocare a pallone, giocare a nascondino ma non arrampicarmi sugli alberi.

I tempi sono cambiati, certo. Oggi l’accesso indiscriminato alla rete, ai social, ai contest televisivi della più varia specie sono aperti a tutti, fin dall’infanzia. Eppure leggendo le notizie dal mondo la realtà non sembra troppo cambiata per le donne a diversi livelli: libertà e sicurezza, lavoro, rappresentatività politica.

Qualche dato statistico mondiale:

Violenza contro donne e bambine

– La violenza contro donne e bambine è un problema globale: 1 donna su 3 nel mondo ha subito violenza.

– Le statistiche mostrano che l’autore degli abusi è usualmente qualcuno che la donna conosce: il 38% dei femminicidi è commesso dai partners delle donne uccise.

Donne in controllo del proprio sostentamento

– In uno studio su 173 paesi, in 155 c’è almeno una differenza legale per limitare le opportunità economiche delle donne. Tra questi, 100 hanno leggi che restringono la tipologia dei lavori che le donne possano fare e in 18 di essi, i mariti possono impedire alle mogli di accettare un lavoro.

– Le donne spendono al minimo il doppio del tempo che gli uomini dedicano al lavoro domestico e quando si consideri tutto il lavoro svolto – pagato e non pagato – le donne lavorano molte più ore degli uomini.

– Nel 2013, i dati percentuali dell’occupazione globale lavorativa, in rapporto alla popolazione, erano del 72% per gli uomini e del 47% per le donne.

– In tutto il mondo le donne sono pagate meno degli uomini, in molti paesi guadagnano tra il 60-75% dei salari maschili. (World Bank Data 2015)

– Le donne sopportano una sproporzionata responsabilità per la cura di bambini, vecchi e malati, spendendo da due a dieci volte maggior tempo quotidiano, nel lavoro di assistenza, che non gli uomini.

Partecipazione e leadership

– Globalmente le donne non sono che il 22% dei parlamentari.

­– Nell’agosto 2015, c’erano solo 11 donne Capo di Stato e 13 Capo di Governo.

– Nell’agosto 2015 c’erano 37 Paesi nei quali la rappresentanza parlamentare femminile era inferiore al 10%.

Eccoci dunque al titolo del panel del Convegno presso la New York University e alla stretta connessione che lega le parole: Violenza, Genere, Religione. Non una delle tre è disgiungibile dalle altre, guardiamole meglio da vicino.

La parola VIOLENZA l’abbiamo appena evocata, ci porta immediatamente a immagini di sopraffazione fisica di uno o più esseri viventi nei confronti di un singolo o gli uni contro gli altri. Pensiamo a una violenza di carattere fisico, a qualcosa cioè che lascia rossori, lividi, ossa incrinate, sangue, lesioni interne, dolore intenso e incoercibile, morte. Ma non inizia mai direttamente così. Pensiamo agli stereotipi:

Le donne sono strane: praticamente trascorrono circa 40 anni della loro vita avendo le paturnie mensilmente; in gravidanza hanno desideri particolari; ma le donne hanno le paturnie anche quando vanno in menopausa!

E pensiamo anche alle battute che definiscono le donne, nella loro generalità, come “altro” dal mondo maschile. Le donne sono distanti eticamente, dunque rappresentano un terreno di caccia, la storia veloce, o sono tipe “facili”, prostitute, ninfomani o brutte e stronze. Ma non si accettano battute su madre, moglie, figlia, anche se non si nega a nessuno un “figlio di puttana”, oppure un “bastardo” (non inteso come il figlio non riconosciuto da un nobiluomo, ma come il figlio di una signora promiscua)! Avete mai sentito offendere qualcuno dicendogli: “che figlio di pederasta!!”, oppure “figlio di un dongiovanni”, o con un ancor più semplice “bel figlio di un molestatore che sei!”??

Perché la promiscuità maschile è un segno di distinzione, quasi un obbligo: è “sociale”! La promiscuità femminile, al contrario, è considerata una deplorevole attitudine, il simbolo di una donna pronta a tutto, di uso “comune, sociale”.

Sono discorsi vecchi, stereotipi già noti: sentendoli non percepiamo se non un piccolo fastidio legato più alla “retorica” dell’illustrazione che non alla sostanza di quanto detto. Perché parlando di violenza non re\agiamo a quella più subdola che è nelle parole? La violenza ha un modo di mescolarsi in maniera sorniona nel linguaggio della nostra quotidianità e se ci capita di provare un moto di rivolta, verso chi la esprima o la agisca, spesso lo sopprimiamo per non parere “pedanti”, per non rompere l’atmosfera, per non essere bollati come diversi, per non distinguerci dal gruppo, dal “social”, per non fare l’onda.

Si tratta di paura più che di saggezza. Perché sappiamo che alla violenza verbale si può facilmente associare la violenza tout-court. Si tratta di cercare di sopravvivere sperando di non diventarne i soggetti, di non subire quella violenza; di vigliaccheria più che di scelta di campo e assunzione di responsabilità.

Se le donne provano a reagire si fa capire loro chi sia il più forte fisicamente, un po’ ridendo e un po’ facendo sfoggio di “mascolinità”; se la stamina personale non basta ci si fa scudo del gruppo. Sappiamo che le statistiche mondiali, e le cronache, sono piene di abusi perpetrati da singoli, quanto da gruppi, da coetanei, ma anche da adulti. Nella società come tra le mura domestiche. Espressione di bullismo, ma anche violenza, abuso, da parte di genitori, familiari e persone amiche, nei confronti di donne ma anche di bambini di ambo i sessi. Perché l’infanzia è, sessualmente, il surrogato massimo della differenza di genere, l’apoteosi dell’abuso su chi sia più tenero e vulnerabile.

La parola GENDER, è per me una “non–parola”, dice tutto e non dice nulla. Dal 1995 in poi il termine è divenuto sovra usato, sopravvalutato, abusato. Studi di Genere: un campo di studi interdisciplinare dedicato all’identità di genere, alla rappresentazione di genere come categoria centrale di analisi.  Un campo che include gli studi femminili (concernenti donne, femminismo, genere e politiche), studi maschili e studi queer (da ‘strano’, inteso per LGBT e ogni altra rappresentanza). Tante persone, una sola parola: non per valorizzarne la ricchezza, ma per rendere gen-erica, codificandola, la differenza. Personalmente mi attesterei su questa affermazione: Siate voi stessi e amate chi amate.

Infine RELIGIONE:

Citazioni che da sole illustreranno quanto già esposto, evidenziando l’intimo legame esistente tra linguaggio discriminatorio, scelte e azioni discendenti dall’uso acritico del linguaggio di testi utilizzati per l’educazione culturale e la conversione di massa, in tempi nei quali la convinzione teorica era più spesso accompagnata dalla coercizione fisica. L’essere umano era valutato in termini di forza lavoro e capacità riproduttiva come qualsiasi altro animale.

« Alla donna disse: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto,ma egli ti dominerà»”. Genesi, 3,16

« Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché sono entrati all’ombra del mio tetto». Genesi, 19, 8 (Questo è Lot che offre le sue figlie vergini alla turba di Sodoma)

« Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore, poiché il marito è capo della moglie, come pure Cristo è capo della chiesa, ed egli è i1 salvatore del suo corpo. Ma come la chiesa è sottomessa al Signore, cosi anche le mogli ai propri mariti in tutto.»   Efesini, 5, 22-24 (S. Paolo)

« Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano, perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea.»  Corinzi, 14, 34-35  (S. Paolo)

« Le donne divorziate osservino un ritiro della durata di tre cicli [mestruali e di purificazione, ndr] e non è loro permesso nascondere quello che Allah ha creato nei loro ventri, se credono in Allah e nell’Ultimo Giorno. E i loro sposi avranno priorità se, volendosi riconciliare, le riprenderanno durante questo periodo. Esse hanno diritti equivalenti ai loro doveri, in base alle buone consuetudini, ma gli uomini hanno maggior responsabilità. Allah è potente, è saggio.»   Corano – Sura Al-Bakara II:228

«Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono [per esse] i loro beni. Le [donne] virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse. Allah è altissimo, grande.»    Corano – Sura An-Nisa IV, 34

Prevengo l’obiezione che in tutti i testi sacri alle diverse religioni ci siano tanti altri punti in cui si magnifica la donna: sì, all’interno di un contesto narrativo e normativo creato al maschile, a favore del maschile, rispecchiandone tutta la mentalità, le paure e i pregiudizi nei confronti delle donne.

È tuttavia giunto il tempo per interrompere le giustificazioni e le riletture esegetiche, giustificanti le parole scritte e tramandate. Sarebbe particolarmente opportuno per tutte le religioni, non solo quelle Abramitiche, se si prendesse coscienza di secoli di pensiero teologico sostanzialmente discriminante e divisivo nei confronti delle donne e tra comunità di diverso credo religioso.

L’esempio e la parola, l’assunzione di responsabilità, uniti a un sincero desiderio di condivisione, da parte dei rappresentanti delle diverse religioni, costituirebbero un terreno comune per abbattere ineguaglianze e povertà, non solo materiale. È tempo che la religione torni nell’incontro intimo degli animi, con parole di dolcezza e compartecipazione, lasciando le stanze della politica e del governo.






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