L'inizio della riflessione sistematica in materia morale si
ricollega esplicitamente alle categorie stoiche.
Stoici
come Seneca o Lucano vengono ripresi, e talora citati
alla lettera, dai padri dei primi quattro secoli.
La Legge morale Naturale G.Piana-Jesus-
nov 1993
Storicamente l'idea di legge naturale
nasce sul terreno politico.
Seneca
Nella Grecia Antica il
potere politico veniva risolto facendo risalire a qualche remoto antenato
divino o semidivino la stirpe del detentore del potere.
In tal modo
morale,diritto positivo, religione erano tutti e tre appiattiti sul
potere politico, senza distinzione tra le tre sfere.
Sul piano teorico
il discorso fu sviluppato dai sofisti: il potere in realtà
viene ammantato di origine divina, di obbligazione morale e religiosa
semplicemente ciò che piace e giova all'attuale detentore dei potere.
Anzi, gli dèi sono stati inventati apposta per coprire ogni oppressione,
come pensa Crizia (Sext. ix, 55 [88 B 25]: frammento di un dramma satiresco).
Si apre cosi la crisi del potere politico, ma anche la crisi di ogni
norma morale.
Socrate ben vide la fine della morale eteronoma (fondata
su una verità-autorità al di fuori del soggetto ), e cercò di fondare
una morale che fosse al tempo stesso autonoma (fondata su una verità
del soggetto) e universale.
La corrente platonica cercò l'universalità
- e il luogo della sua determinazione oggettiva - nel mondo delle
idee.
Il vero bene è al di là dell'uomo concreto e singolo, dell'uomo corporeo:
solo il filosofo può intravederlo.
Ed ecco subito il risvolto politico:
la repubblica dittatoriale dei filosofi, che - soli - sanno il bene
e il male.
Per il sofista Protagora l'uomo è misura di tutte le cose (
Diels, Protagora 13) nel senso che ogni singolo uomo è misura di
se stesso , totalmente indipendente dagli altri.
La corrente aristotelica, di matrice squisitamente
empirista, contrariamente ad un'opinione volgare corrente, volle vedere nell'uomo concreto, corporeo, la sua stessa legge;
nasce in Aristotele l'idea
di
natura umana - ciò per cui ogni uomo è uomo - e con essa l'idea e la formulazione della
legge naturale, manifestantesi nelle
inclinazioni fisiche e spirituali dell'uomo stesso.
L'uomo inteso come dato oggettivo, natura umana, non come individuo-persona, è la misura di tutte le cose, misura non misurata da altri che da se stesso.
La Legge naturale è la Legge che viene dalla Natura umana, è il logos della natura umana. Non è rivelata dagli dèi, non è stabilita da un singolo, Re o filosofo che sia, ma è còlta empirircamente nella natura umana dalla ragione.
Il dovere morale dell'uomo è " sii pienamente uomo secondo la tua natura". Per questa via, cioè per la via della legge naturale, si sfugge all'arbitrio
dei potenti e dei filosofi.
Ma il dovere morale cosi evidenziato non
raggiunge un grado di assolutezza: si osservi ciò che è naturale se si vuol viver bene, ma non esiste alcuna fondazione assoluta del dovere di viver
bene.
Siamo in presenza di un eudemonismo morale che resterà immutato
nel suo fondo attraverso le diverse configurazioni stoiche, epicuree,
scettiche ecc.
Resta
il mistero del dovere e dell'esperienza intima del dovere di vivere
bene. Vero è che in alcuni pensatori p.es. Seneca e in certa misura
anche Cicerone -
la legge naturale è considerata come manifestazione di Dio. Ma il
confine reale fra Dio e la legge naturale, cioè la natura stessa, è
quanto mai sfumato.
Al sorgere dell'impero romano la legge naturale iniziava a svolgere
un altro compito di fondamentale importanza.
Il filosofo Michele Martelli nel suo libro “Senza dogmi” rileva: «La differenza tra assolutismo e relativismo etico è certamente di metodo, non di merito. Il relativista non rifiuta per principio i valori etici dell’assolutista, ma li sottopone al dubbio, alla discussione, alla verifica.
È pronto a modificarli e migliorarli, perché li ritiene non discesi dal cielo, ma prodotti dalla storia, dal rapporto intersoggettivo ed etico-discorsivo tra gli uomini. In questo senso, un principio etico ragionevole è quello di prendersi cura dei più deboli, di chi è (stato reso) incapace, impossibilitato a difendersi».
Sia nella polis greca
che nella civitas romana venivano garantiti ai cittadini -in quanto tali
-alcuni diritti di libertà ma quando la filosofia politica
passa dalla visione ristretta del rapporto cittadino-polis a quella
più ampia del rapporto uomo- cosmòpolis, allora
la legge naturale si offre come strumento di riconoscimento vicendevole
fra umani di culture diverse e garanzia di diritti reciproci e diventa il riferimento per fondare i diritti che competono a qualsiasi uomo di fronte a qualsiasi legge.
Cosi l'incontro della legge naturale greca con la cosmòpolis greco-romana
dette luogo all'idea di una mensura non mensurata di carattere
universale, nei confronti della legge positiva che è mensura mensurata.
Nasce uno jus gentium (= di tutti) accanto a uno jus
civium (=dei cittadini romani).
Le leggi di
qualsivoglia potere politico sono mensura mensurata : trovano il loro limite superiore, e un
criterio di giudizio senza appello,
nella legge naturale, mensura non mensurata di carattere universale.
La riflessione cristiana Ambrogio non esita
a servirsi ampiamente della categoria di legge naturale .
La legge naturale
è rivelazione naturale , ma pur sempre rivelazione . ( =
rivelazione del Logos universale nella natura umana
che ricapitola tutta la creazione)
La natura dell'uomo e delle cose è creata
da Dio, e con le sue leggi e tendenze indica all'uomo la volontà di
Dio. Dio è creatore e ordinatore:
e la legge naturale tende appunto a mantenere l'ordine dei creato.
Con Agostino, da cui
è tratta quest'ultima espressione (Contra Faustum, XXII, 27),
le cose restano apparentemente immutate.
L'oggettivazione della legge morale naturaleSINDERESI = intuizione originaria del precetto morale presente
in ogni uomo per ogni singola scelta. Nell'uomo si dicevano
presenti
in qualche modo le idee universali , perciò la sinderesi, di qui la tendenza a trasformare
la legge naturale in leggi positive.
Attraverso un elenco scritto - o comunque scrivibile - di peccati
particolari, che va sempre crescendo fino ai suoi culmini di assolutezza
e fissità in Pietro Abelardo, si riteneva di poter
dedurre tutti i precetti della Legge Morale Naturale.
Il cristiano che si comportava in maniera difforme da
questi precetti positivi, cioè oggettivi e universali non poteva vantare almeno la buona fede o ignoranza incolpevole
e invincibile.
E questo un periodo travagliato e complesso di tendenza
a una totale oggettivazione della moralità.
A questa tendenza
giovò molto la necessità pratica di stabilire elenchi di
penitenze per i singoli peccati (vedi libretti di confessione o penitenziali):
ciò tanto più quando sparì la penitenza pubblica
e rimase solo quella privata, demandata al buon senso di singoli poveri
e spesso ignoranti preti, bisognosi di una guida concreta nello stabilire
la sussistenza d'un peccato e la sua gravità .
Contemporaneamente,
nella sua funzione politica, la legge naturale funzionò come
base di ogni legislazione e giurisprudenza, invertendo così il
suo ruolo: da garanzia del cittadino di fronte al potere divenne motivo
di obbligazione in coscienza della legge positiva e della pratica sacralità del
potere che la emanava.
Così ogni disobbedienza alla legge positiva
era anche un'offesa alla legge naturale e perciò a Dio; mentre generalmente
non si ammetteva l'innocenza di chi agiva con coscienza certa ma erronea.
La soggettivizzazione dell' ambito morale.
Fu s. Tommaso che
ridette ali e possibilità liberanti all'idea di legge naturale,
sia sul piano morale che su quello politico.
S. Tommaso opera delicatamente,
ma decisamente un passaggio dalla morale dell'oggetto a quella
del soggetto : egli pone
una distinzione tra bene oggettivo (che è l'ordine naturale voluto da Dio) e bene
morale (cioè il bene nella intenzione dell'uomo verso Dio) .Una cosa è la volontà divina creatrice ed ordinatrice del cosmo , altro è la volontà umana di fare il bene in relazione a Dio.
Ciò
non significa che Tommaso rifiuti - al modo dei sofisti - ogni possibilità
di stabilire norme morali oggettive : per lui il peccato è formalmente
solo avversione a Dio .
Ora la tradizione gli offriva una terna di dati
da cui desumere la moralità di un atto:
-
l'oggetto dell'atto morale
-
le circostanze
dell'atto morale
-
e il fine intrinseco all'azione morale.
Primario fra essi era l'oggetto dell'atto morale : Tommaso
non rigetta le auctoritates, ma si domanda: oggetto di che? dell'evento esterno o dell'atto interno? E l'oggetto proprio dell'atto interno,
della scelta della volontà, non è identico col fine immediato
che la volontà si propone? (S. Th. I-II, qq. 18-19; q. 72).
E
se - pur erroneamente- l'intelligenza propone alla volontà
come buona, ordinata al fine ultimo, qualcosa che invece gli è oggettivamente
contraria, la volontà tende al bene, e non si ha scelta contro
Dio, non si ha avversione a Dio, non si ha peccato.
Se l'uomo liberamente si applica con intelligenza e ragione ad un valore che gli viene chiesto di realizzare e capisce che per realizzarlo deve comportarsi in un certo modo e questo comportamento -di fatto- produce poi del male , non si può dire che quell'uomo abbia peccato perchè oggettivamente si è poi visto che aveva fatto del male invece che un bene ; la sua volontà era orientata al bene, il fine intrinseco del suo comportamento era il bene,
perciò non si può accusarlo di peccato.
Questa dottrina non poteva non aver benefiche conseguenze sull'idea di
legge naturale, quale si era fossilizzata intorno al XII sec.
Infatti
la sinderesi, ( intuizione originaria del precetto morale che è presente in ogni uomo per ogni singola scelta ) rispetto al cui contenuto non può darsi errore che
sia senza peccato, viene automaticamente ridotta solo al primo
e formale precetto della legge naturale : «fai il bene ed
evita il male».
L'uomo ha in se stesso una esperienza morale originaria , quella di evitare il male e fare il bene e questo è il primo precetto della Legge Morale Naturale ed è l'unico cui l'uomo accede per sinderesi, cioè per intuizione, in ogni libera scelta.Questo principio, e questo solo, è per
sè evidente.
Però accanto a questo primo precetto, la cui ignoranza è inammissibile
in via di principio, dato che è per sé evidente,
esistono alcune direzioni di fondo per la ricerca da parte dell'uomo dell'ordine
voluto da Dio : "Il nome con cui oggi meglio si esprimono tali precetti generalissimi è 'valori'".
Ci sono valori umani di per sè talemente evidenti che possono essere intuiti universalmente ; oggi diremmo : valori o diritti universali dell'uomo.
;
Questi valori non sono poi delle norme morali assolute : sono solo delle piste , degli orientamenti per la ricerca dei comportamenti più idonei a realizzarli.
L' opzione morale fondamentale e il discernimento moraleUna volta che l'uomo fonda il suo agire sul principio intuitivo di « fai il bene ed
evita il male » , l'opzione fondamentale del suo comportamento morale, egli ha davanti a sè il bene come " valori" da realizzare ,valori che riguardano la natura umana e che sono evidenti o facilmente intuibili. I valori fondamentali ed immutabili della Legge Morale Naturale possono dedursi immediatamente dalla definizione di uomo come animale razionale: e perciò
-
la sussistenza,
-
la riproduzione,
-
la razionalità e socialità o anche, se si vuole, i dieci comandamenti intesi come direzioni orientatrici delle scelte umane.Il primo precetto formale della legge naturale e questa
serie di tendenze razionali della natura umana - valori, o precetti
generalissimi - sono ritenuti da s. Tommaso immutabili.
Ma l'immutabilità della
legge naturale per lui finisce qui.
La coscienza poi, attraverso l'intelletto e la ragione deve ricercare I singoli atti che realizzino quei valori.
Questi atti non sono di per sè evidenti alla coscienza, non sono immediatamente intuibili per sinderesi : essi vanno ricercati attraverso una ricerca, attraverso l'uso dell'intelletto e della ragione, va fatto un discernimento morale .Le norme morali operative I valori infatti, essendo generalissimi,
non sono propriamente precetti ( assoluti, rivelati da Dio alla coscienza per sinderesi) , ma norme generali al cui interno
e per la cui migliore realizzazione si devono trovare le norme operative
imperanti o proibenti un determinato concreto comportamento. Solo
queste ultime , le norme operative, sono precetti in senso stretto e moderno del termine.
Quelli , i valori, sono valori da realizzare o da difendere nelle singole scelte concrete, non
articoli di una sorta di codice morale sul tipo del codice penale.
In termini cristiani contemporanei si potrebbe dire che
sostanzialmente che il
bene morale consiste nel fondamentale orientamento verso Dio, nella opzione fondamentale di evitare il male e fare il bene ; il male
morale c'è solo quando c'è una risposta negativa a questo appello
assoluto di Dio.
Quando si tratta di giungere a quello che è il vero precetto
operativo, la norma imperante o proibente la singola azione, allora sia
la fallibilità
della ragione umana nella deduzione dai primi principi, sia la diversità
di elementi in gioco in ogni situazione concreta, potranno rendere i
precetti, ulteriormente dedotti, variabili da uomo a uomo, da situazione
a situazione, dato che ogni uomo e ogni situazione
si verificano all'interno di un gruppo da gruppo a gruppo.
Anzi, quanto
più remota è la deduzione dai principi di partenza, tanto
più è facile trovare diversità di opinioni e facilità di
errore (S. Th. i-n, q.94, aa.2.4.5).
Nella sua terza accezione la legge naturale non è perciò l'elenco
di precetti dedotti infallibilmente e inevitabilmente una volta per
tutte e per tutti gli uomini, ma è piuttosto la capacità di
trovare il precetto operativo concreto che meglio realizzi i valori
espressi dai precetti più generali. La legge naturale è un «lumen
insitum» nell'uomo, fino ad identificarsi con la sua ragione
stessa; è la «participatio legis aeternae in creatura
rationali».
Nella sistematica di s. Tommaso
la legge naturale è quella
legge morale che è dato all'uomo scoprire con le sue sole capacità naturali. Caratteristica della legge naturale è proprio quella di
non essere positiva, cioè non scritta né
scrivibile una volta per tutte.
LEGGE (MORALE) NATURALE
E' l'insieme dei principi di giustizia presenti nell'uomo in quanto
attinenti alla sua stessa natura e tendenti alla conservazione di
sé e dei suoi simili. E' la la capacità di trovare il
precetto operativo concreto. Non è scritta né scrivibile
una volta per tutte.
LEGGI POSITIVE
L'insieme delle norme che, sviluppando e ampliando la legge naturale,
regolano le azioni degli uomini in relazione al bene comune e hanno
carattere vincolante perché emanate da autorità riconosciute. Sono
scritte o scrivibili. (ad esempio, dallo Stato)
Sul piano politico la legge naturale, così nettamente distinta
dalla positiva, ecclesiastica o civile che essa sia, riacquista la sua
funzione nativa.
La Legge Morale Naturale è la mensura non mensurata di
ogni legislazione positiva; talché, essendo il fine
della legge positiva il bene della comunità, una legge che vada
contro tale bene non è propriamente legge né ha alcuna
sua vigenza morale;
di più, ogni legge che imponga un comportamento
contrario alla legge morale, naturale e rivelata, deve essere sempre
disobbedita. Il nominalismo
Alla soggettivizzazione del morale, operata da Tommaso, si contrappose la
scuola filosofica francescana, e segnatamente
la sua radicalizzazione in Guglielmo di Ockham e nei suoi seguaci.
La dottrina di S.Tommaso dava alla ragione umana la capacità di " scoprire " l'ordine morale naturale immesso da Dio nel cosmo: la volontà divina era dunque accessibile dalla ragione umana.
Ockham
Il nominalismo portò alla demolizione della capacità della
ragione di trovare il vero per deduzione da universali, ed anche
ovviamente il vero pratico oltre quello speculativo.
In base a queste
premesse la legge naturale era destinata a sparire: il volontarismo esasperato portava a concludere che un comportamento è buono
in quanto comandato da Dio, non in base a un sua intrinseca ragionevolezza;
Dio potrebbe benissimo comandare il suo contrario.
Ogni funzione
della ragione come capacità inventiva del precetto concreto
veniva a sparire. E pur tuttavia ciò non doveva segnare la
fine della legge naturale, ma l'inizìo di un'ulteriore - e
deleteria fase della sua storia.
Infatti
la ragione cominciò a
concepirsi come il modo dì manifestarsi della volontà di
Dio: e siccome non era pensabíle che Dio avesse lasciato incertezze
sulla promulgazione dei suoi precetti assoluti, si arrivò a
riassolutizzare la ragione, e ad accettare una sorta di deduzionismo
assoluto e vincolante, che rendeva tutta scrivibile la legge naturale,
fissata una volta per tutte con la deduzione razionale nei suoi singoli
e più minuti precetti.
Questa svolta di 360 gradi: da una
impensabilità della legge naturale a una legge naturale rigida
e precettistica, cambiò il ruolo della ragione da quello di
capacità inventiva a quello di luogo di promulgazione della
legge naturale: non più capacità di scoprire il precetto
operativo in base a una serie di valori di fondo, ma già,
di suo, elenco di precetti operativi e sapienti di corte.
Prescindendo
dagli sviluppi, tramonti e ritorni dell'idea di legge naturale in
campo filosofico laico, dal '600 ai nostri giorni, occorre
riconoscere che in pressoché tutti
i trattati di teologia morale fino al Vat.II, questa
fu la concezione dominante della legge naturale.
Il Concilio Vaticano II Così si può sintetizzare il suo magistero :
La legge naturale nel NT è in primo luogo la chiamata di Dio al Bene che si manifesta all'uomo , credente o non credente, mediante la sua stessa attività raziocinante applicata alla conoscenza dell'ordine naturale.
Anche il non credente, colui che non è in grado di accettare (per qualsivoglia motivo) la rivelazione divina, ha una chiamata di Dio al Bene presente nel suo cuore; quanto meno la chiamata al supremo valore dell'amore, la carità .
Il modo di rispondere a questa chiamata, e cioè la valutazione della rispondenza di un comportamento particolare a questa esperienza morale originaria, non può essere che opera della capacità raziocinante.
Gaudium et spes : «Nella fedeltà alla
coscienza cristiani
e non cristiani si uniranno per studiare e risolvere i problemi morali
che ciascun momento della storia umana pone.» Nessun libero agente è dunque
dispensato dal cercare la propria risposta alla
chiamata di Dio
, e
dal cercarla appunto attraverso la ragioneLa ragione come capacità 'naturale' di scoperta o lettura della
chiamata di Dio, data da Dio all'uomo proprio a questo scopo, potrà avere
una funzione integrativa o una funzione alternativa rispetto alla divina
rivelazione.
Ma è un passaggio obbligato per ogni essere umano
che voglia agire
secondo coscienza ( //agire moralmente).
L'espressione 'legge naturale' non indica una serie
di norme particolari, quanto piuttosto una fonte normativa aperta, il
cui uso è obbligatorio per chi voglia agire coscienziosamente.La natura (razionale) dell'uomo è lo strumento per
comprendere la chiamata di Dio, per trovare la giusta risposta nelle
mille situazioni concrete in cui l'uomo è chiamato a scegliere. La diversità nei sistemi morali storici
Ogni sistema morale ha naturalmente alla base un concetto di bene e male,
ma è difficile trovare nella storia due sistemi morali che concordino
esattamente su questo concetto. Segno della estrema difficoltà a
trovare un consenso universale.
Bene e male, si direbbe, sono relativi
al tempo, all'ambiente, alle persone: ieri era un male quello che oggi è diventato
un bene, e viceversa; per me è un bene quello che per altri può essere
un male, e viceversa.
Rassegnarsi al relativismo, dunque?
Non sarebbe una posizione ragionevole, perché se esiste una certa
relatività
storica nel praticare il bene e nell'evitare il male, è altrettanto
indubbio che esiste per l'uomo di ogni tempo e ogni cultura un qualcosa
che è "bene" o, all'opposto, che è "male",
a prescindere dall'apprezzamento soggettivo o dalle circostanze di tempo
o di luogo.Esiste come un "nocciolo duro", un'intuizione originaria
e incancellabile, che fa dire infallibilmente che certe azioni sono "buone" e
certe altre "malvagie", che certi atteggiamenti sono "eroici" e
certi altri "volgari". Il fondamento di questa stabilità oggettiva del bene e del male
sta nella stessa natura umana: l'uomo porta in sé - per così dire,
nel suo "DNA spirituale" - una
legge che approva il bene e condanna il male.
E' la cosiddetta legge naturale, universalmente presente nell'uomo.
Anche nella cultura odierna, pur esposta, come tante altre del passato,
a delle crisi etiche, è presente questo fondamentale senso del
bene e del male.
Non si spiegherebbe come mai siamo tutti facilmente
d'accordo che certi crimini contro l'umanità meritano un processo
di Norimberga; e che certi beni inalienabili della persona siano difesi
per tutti, senza eccezione, da una Dichiarazione universale dei diritti
dell'uomo.
Come si puo' "scoprire" la Legge Morale
Naturale ?
La natura è creata da Dio, e quindi le strutture del cosmo a
ogni livello, e le leggi che le regolano, sono espressione della volontà del
Creatore.
Nasce così l'idea di una 'natura normativa', e - come
caso particolare - l'idea di una natura umana che possa costituire la
base di una morale naturale.
In generale, tutta la filosofia morale fino al secolo scorso e tutta
la teologia morale recepita nei manuali fino alla metà del nostro secolo
si basano su questo principio: «operari sequitur esse».
Una volta
definita la natura umana, allora è deducibìle da essa il complesso
dei doveri morali dell'uomo.
Anche la natura del cosmo ha la caratteristica
di essere espressione della volontà del Creatore: ma essa, come si ritiene
comunemente in base alla Scrittura, deve servire all'uomo, è a lui sottoposta;
e quindi, entro certi limiti, l'uomo può modificarla per conseguire
la propria perfezione.
La natura (razionale) dell'uomo è lo strumento
per comprendere la chiamata di Dio, per trovare la giusta risposta nelle mille
situazioni concrete in cui l'uomo è chiamato a scegliere e la natura
(del cosmo in genere e dell'uomo in specie) è il luogo dove trovare
la giusta risposta.
La ragione umana potrà e dovrà servirsi
anche della lettura del creato per comprendere la propria chiamata e per rispondervi
nel miglior modo; ma la
natura non sarà direttamente normativa.
Studiando
la natura, tuttalpiù la ragione potrà trovare in essa la chiamata di Dio e la sua giusta
risposta.
La ragione non è strumento di scoperta della legge eterna, ma è
strumento di lettura della natura, e la natura è la rivelatrice
della legge eterna.
Imagine all the people ...
no religion.Nel dibattito, oggi apertissimo , entrano in gioco subito due problemi:
- ll
problema
della conoscenza della natura,
- e il problema della conoscenza della natura umana.Quale conoscenza noi abbiamo, o possiamo avere
della natura come cosmo, ivi compreso l'organismo umano? Quale è la validità
delle nostre conoscenze scientifiche?
Se, come sostiene Eugenio Lecaldano, «l’etica non è altro che una pratica volta a risolvere le questioni di interazione privata e pubblica tra gli uomini e su questa terra»
allora solo un’etica non religiosa «sarà in grado di riconoscere la varietà e la relatività culturale e storica delle prese di posizione morali e di promuovere l’universalità di alcune regole»(?) Perché l’etica non religiosa sarebbe più rispettosa dell’altro
, in quanto non avrebbe criteri escludenti basati su testi sacri, tradizioni da venerare o rappresentanti terreni della divinità che impongono la propria verità anche a chi non la condivide.
Legge naturale "scientifica"?
Fino agli inizi del nostro secolo
la risposta era rassicurante. Noi non conosciamo certo tutto sulla
natura, ma quello che conosciamo è conoscenza certa (si ricordi
che per Galileo essa è paragonabile alla conoscenza divina).
La ricerca scientifica serve a produrre nuove conoscenze, non di norma
a correggere quelle già acquisite.
Questa tranquilla certezza
poteva servire come base per una concezione normativa della natura.
Dato che questa è la natura, allora questo è il piano
della creazione, e questo è il mio dovere di creatura.
Oggi
però questa tranquilla certezza è tramontata e, sembra,
definitivamente. Le ragioni di ciò sono molte.
Oggi non vi è scienziato
ragionevole che condivida questa certezza sulla propria conoscenza
della natura, e quindi la riflessione morale, che deve leggere razionalmente
la natura, o si sostituisce agli scienziati (il che sembra poco ragionevole:
ne verrebbero fuori infiniti casi Galilei), o ne accetta il responso,
consapevole della sua inevitabile provvisorietà.
Oggi la conoscenza scientifica della natura può pretendere una
sua validità
in due modi alternativi:
1- nel migliore dei casi, una proposizione
sulla natura è vera nel senso che fino ad oggi non è stata
falsificata da ulteriori osservazioni; si tratta quindi di una buona
approssimazione, che prevede per principio ulteriori sviluppi.
Una legge
naturale scientifica è dunque vera nel senso che, fino ad oggi, è verificabile;
2- nel caso peggiore, una proposizione sulla natura è vera nel senso
che è coerente con un linguaggio e un sistema di elaborazione
delle sensazioni; ma linguaggio e sistema di elaborazione non sono né veri
né falsi: sono del tutto convenzionali, e se ne possono concepire
molti (o infiniti) altri, ciascuno dei quali darebbe luogo a proposizioni
del tutto diverse.
Una legge naturale scientifica è dunque vera
nel senso che la lettura razionale della natura non ci dà la
conoscenza del disegno di Dio creatore, se non in modo provvisorio, e
cioè questo è quanto di meglio oggi si possa dire, ma
non è quello che si diceva venti anni addietro, e sicuramente
non è quello che si potrà dire fra altri venti anni.
Sembra
dunque assai problematico, per non dire altro, poter parlare di una 'natura
normativa', almeno per quanto riguarda ciò che è osservabile
coi sensi e studiabile con la ragione (il cosmo in genere e l'organismo
umano in specie) Ma le cose si complicano ancor di più quando ci si pone il problema
della conoscibilità e descrivibilità della natura umana.
I problemi
di fondo sono riconducibili a due radici: l'uomo che deve cercare di descrivere
se stesso è l'uomo che deve cercare di descrivere il proprio rapporto
col cosmo.
L'uomo, nella sua unità psicofisica, è in continua mutazione:
lo stesso sforzo di comprendersi cambia l'uomo.
Se la natura umana fosse
descrivibile una volta per tutte, non avrebbe più senso interrogarci
su noi stessi.
Ogni descrizione umane della natura umana è legata
a un singolo uomo in un singolo gruppo (o cultura) in un preciso momento
storico. Ogni descrizione di questo genere (e non ve ne sono altre) è di
grande valore per gli altri uomini, ma precisamente allo scopo di
procedere ad ulteriori descrizioni.
Il Vat. II (Gs 12), alla domanda « che
cosa è l'uomo?» risponde dicendo « a che cosa è chiamato l'uomo? ». Ciò è un
fatto di grande valore teorico: la conoscenza di sé è fondamentalmente
la conoscenza dei significato e del progetto della propria esistenza.La descrizione (provvisoria) della propria natura umana non è fonte
direttamente normativa, ma è strumento per meglio comprendere
la propria vocazione; ed è uno strumento che continuamente si
modifica e - tendenzialmente - si affina.
In questo quadro si pone il problema del rapporto uomo-cosmo. Appartiene
certo alla natura umana il comprendere tale rapporto. Ma la comprensione
del rapporto varia inevitabilmente al variare della comprensione che
l'uomo ha di se stesso.
Dato un significato per l'esistenza, (
per es.: il progetto di Dio di trasformare la famiglia umana in comunione
degli uomini con Dio e fra loro -cf.Gs 40) l'uomo è capace
di adattare il cosmo a se stesso, o meglio al migliore perseguimento
del significato della propria esistenza.
Appartiene dunque alla natura umana non solo la capacità di 'leggere' il cosmo, ma anche quella di trasformare il cosmo.
Il problema etico non sarà dunque in primo luogo «come rispettare il cosmo »,
ma sarà «a quale finalità indirizzare la ricerca e l'attività di trasformazione dei cosmo». Nella stessa logica va visto il rapporto dell'uomo con se stesso: l'uomo
rispetta la propria natura psicofisica non quando la lascia intatta,
ma quando la adatta alla comprensione che ha della propria
finalità
.
Ogni forma di psico-terapia e di fisio-terapia è giustificata sempre
e solo in questo modo.
Migliorare una condizione psichica o una condizione fisica è una
scelta che trova i suoi limiti etici non nella modificazìone in
sé, ma nell'orizzonte globale di significato e di progetto
della propria esistenza.
Solo in questo orizzonte infatti si può decidere
che cosa è 'migliore', e si può conseguentemente giudicare
del significato etico della scelta. ..."Un’ etica condivisa senza legge ( morale ) naturale. (?)[http://www.uaar.it- unione italiana atei razionalisti]
Tavola rotonda organizzata da Liberamentenoi, la Tenda, Cipax, Confronti, Adista, Noi siamo chiesa, Koinonia, Gruppo di informazione ecclesiale, CdB di S.Paolo sul tema “Quale fondamento per un’etica condivisa senza legge naturale?”. Intervento di Vera Pegna, umanista , riassunto già pubblicato su Adista.
" .. Rappresento la Federazione umanista europea presso l’OSCE, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e sono una socia attiva dell’UAAR, l’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti.
Per noi umanisti esiste una sola vita cui noi stessi diamo senso e scopo, ad esclusione di ogni riferimento trascendentale.
La vita va vissuta in modo pieno, responsabile e gratificante, tanto più quanto contribuiamo alla felicità degli altri.
I valori dell’umanesimo corrispondono ai principi dello stato di diritto.
Ritengo che un’etica condivisa già esista e sia espressa nei principi sanciti dalla nostra bella costituzione nonché dalla Carta europea dei diritti fondamentali.
Non condividiamo la legge naturale sbandierata dalle gerarchie vaticane per imporci i valori della loro dottrina morale.
Affinché il dialogo non sia una finzione, deve svolgersi fra uguali e deve includere i non credenti (nel mondo un miliardo, in Italia oltre 10 milioni), la cui moralità non è inferiore ad altre e i quali, rispetto alla media, sono più giovani, più istruiti e più rispettosi degli stranieri, degli omosessuali e di chi troppo spesso viene dipinto come diverso. .."
L’ETICA "NON RELIGIOSA" di Isabella Cazzoli- UAAR
" ..L’ateismo e l’agnosticismo non sono una fede, una religione, una Chiesa. Sono concezioni del mondo che uniscono gli atei e gli agnostici su un unico punto: rispettivamente,
-
la non credenza in una o più divinità
-
e l’opinione che sia impossibile pronunciarsi in merito alla sua esistenza.
È quindi evidente che ogni non credente si costruisce autonomamente la propria morale e, conseguentemente, che non può esisterne una condivisa: men che meno una Chiesa che la imponga.
Pensare che esista una morale che accomuna tutti gli atei e gli agnostici equivale a pensare che esiste una morale condivisa da tutti gli interisti o da tutti i cuochi: un nonsense.
L’eterogeneità è la maggior ricchezza della miscredenza. Proprio intorno a queste considerazioni, tuttavia, è sorta negli ultimi secoli una riflessione etica non religiosa, basata sul rispetto delle convinzioni personali dell’individuo.
Da questo punto di vista, l’etica non religiosa è pressoché indistinguibile da un’etica laica: entrambe individuano uno spazio inviolabile (la coscienza dell’individuo) e uno spazio di confronto (in cui tutti possono esprimere pubblicamente le proprie opinioni).
Un non credente è inevitabilmente più aperto di un credente: il primo può anche decidere di far propria la morale cattolica, pur rimanendo incredulo; il cattolico non può far propria un’etica non religiosa senza cessare, dal punto di vista della Chiesa, di essere cattolico.
GLI ATTACCHI ALL’ETICA LAICA
Lo scrittore russo Fëdor Dostoevskij fece dire a un suo personaggio che «se Dio è morto tutto è possibile».
È questa la più nota formulazione della fosca tesi (fatta propria anche da importanti pensatori quali John Locke e Voltaire) secondo cui gli atei e gli agnostici sarebbero privi di valori morali.
O, nella migliore ipotesi, sarebbero dei cittadini di serie B. Già Kant obiettava che un’azione è etica solo se non reca beneficio a chi la compie: e il credente la compirebbe, in questo caso, per ottenere la salvezza eterna.
La tesi della maggiore moralità dei credenti è ora affermata, e si potrebbe quasi dire “comandata” alla classe politica dalla Chiesa cattolica, che, nel nome della propria Verità (con la “V” maiuscola) vorrebbe imporre a tutti i cittadini (cattolici e non) la morale cattolica, pretendendo leggi che vietino il divorzio, l’interruzione di gravidanza, la fecondazione artificiale, il testamento biologico, l’eutanasia, il riconoscimento delle coppie di fatto…
In realtà non esiste alcuna prova che i credenti siano moralmente migliori dei non credenti. Fare del bene è una sfida per entrambi.
Come ha scritto Julian Baggini, «se Dio ci ha creati per fare quello che dice lui, di fatto l’unica differenza tra noi e un aspirapolvere è che noi possiamo rifiutarci di fare quello per cui siamo stati designati. Se invece Dio ci ha creato per fare quello che diciamo noi, allora atei e credenti sono nella stessa barca, perché devono entrambi dare un senso alla loro vita».
Gli atei e gli agnostici hanno saputo sopportare le torture e affrontare la morte non diversamente (e forse anche con più coraggio) dei credenti. Su queste basi, la vita per chi non crede può addirittura avere più significato di quella di chi crede, perché può essere vissuta nella sua pienezza, e non come mera preparazione di una successiva reputata migliore. Ben sapendo che è unica e irripetibile.
ETICHE A CONFRONTO
Meglio di mille parole, solo un confronto tra la morale cattolica e l’etica non religiosa può aiutare a comprendere le profonde differenze tra le due posizioni.
Tale confronto propone, da una parte, alcuni estratti dal Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), e dall’altra una serie di citazioni, sugli stessi argomenti, di noti esponenti del pensiero non religioso.
Il confronto non è ovviamente da ritenersi qualcosa di perfetto e/o definitivo, anzi: siamo ovviamente persuasi che sia migliorabile, e invitiamo tutti a suggerire eventuali modifiche scrivendoci a: uaar@uaar.it
Laddove il cattolico è tenuto a comportarsi secondo dei precetti ben definiti, e stabiliti da altri, il non religioso è dunque libero di scegliersi i propri comportamenti, costruendosi da solo la propria etica, sempre soggetta a cambiamenti.
Certo, anche la morale cattolica non è interamente stabilita una volta per tutte: ma solo per quanto riguarda ciò che non è dogma, e solo su decisione del sommo pontefice o, in casi molto rari, del concilio.
Un semplice confronto con il Catechismo Maggiore di Pio X (1905) dimostra che la Chiesa cattolica è ben attenta ad apportare modifiche alla propria dottrina: cambia molto lentamente e, quando lo fa, lo fa sotto impulso della cultura laica.
SOLIDARIETÀ LAICA
Capita spesso di sentire che l’etica cattolica possiede un pregio che i laici non hanno: la spinta alla carità. Molti ricordano, in proposito, una brutta frase di Giuliano Amato, secondo il quale «i credenti hanno una marcia in più».
Senza l’etica cattolica, sostiene qualcuno, nella società mancherebbe la necessaria coesione, e sarebbero più diffusi il crimine, la povertà, la solitudine. In realtà non esiste alcuna evidenza a sostegno di queste tesi. Laddove la religione è poco praticata e il numero di non credenti è molto alto, la moralità e la solidarietà non crollano affatto.
Prendiamo giusto come esempio gli Stati scandinavi: chi può onestamente affermare che siano delle nazioni e delle società eticamente peggiori di quella italiana? Chi può onestamente dire che un tempo, quando le società erano dominate dalla religione, fossero anche eticamente migliori? Chi può onestamente affermare che gli atei e gli agnostici abbiano comportamenti sociali più esecrabili dei credenti?
In realtà, il problema della solidarietà laica è che è assai meno visibile di quella religiosa: o perché i non credenti preferiscono che venga praticata attraverso la pubblica amministrazione, o perché preferiscono mischiarsi con gli altri, senza crearsi la propria associazione-ghetto.
Come ha scritto Daniel C. Dennett, i non credenti «prendono sul serio il loro impegno civile proprio perché non confidano nel fatto che Dio salverà l’umanità dalle sue follie».
Nonostante il fortissimo sostegno politico ed economico le associazioni cattoliche sono ormai una minoranza anche in Italia: forse perché sono così tanto caratterizzate e “irreggimentate” da respingere chi non la pensa esattamente come loro.
UN’ETICA PER LA SOCIETÀ
Le società umane non hanno dunque bisogno di essere guidate da principî religiosi. Le fondamentali regole di vita su cui si basano, almeno nominalmente (il rispetto del prossimo, la giustizia, l’onestà…), sono infatti universalmente condivise.
Nessuna costituzione rivendica infatti la giustezza del furto e dell’assassinio. Ma, proprio per questo motivo, tali norme non sono religiosamente connotate, e si può addirittura farle risalire a una naturale “eredità biologica” degli esseri umani. .."
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