Corso di Religione

MORALE



IL FENOMENO MORALE
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Siamo liberi di agire? Una teoria incompatibilista Prof. Mauro Dorato Univ Roma Tre. Mauro Dorato, Che cos'è il tempo? Einstein, Gödel e l'esperienza comune, Carocci, Roma 2013
«...Una corrente chiamata “ incompatibilismo ”, non crede che il tempo abbia una struttura lineare , altrimenti non potremmo essere liberi .

Il realtà secondo questa teoria il tempo si presenta  come un albero , le cui biforcazioni corrispondono ad altrettante scelte effettuate nel tempo presente (tutte aperte al nostro agire) e sono strettamente legate al nostro passato.
Secondo la teoria della relatività speciale poi : non c'è una reale distinzione tra passato, presente e futuro perché ciò che è il futuro per un osservatore in un certo stato di moto potrebbe non essere il futuro per un altro osservatore in un altro stato di moto.
Introdurre la casualità ( l'essere casuale, avvenuto per caso ) all'intero del rapporto tra tempo e libero arbitrio ha un senso per l' indeterminismo : La casualità implica l'esistenza di molti futuri possibili a partire da un unico passato.

La casualità introduce una sorta di divario, di salto, tra il nostro io passato e ciò che potremmo essere grazie alle nostre azioni.
In tal senso è stata interpretata, da alcuni, anche la meccanica quantistica , una teoria scientifica che ha ancora molti lati oscuri ma che potrebbe dar conto delle esigenze della teoria incompatibilista.
Bisogna stare attenti, però, ad introdurre così facilmente la causalità nelle nostre azioni, perché corriamo il rischio di deresponsabilizzarle. »."

Il Fenomeno morale Il fenomeno morale o ethos ( il costume, la convinzione e il comportamento pratico dell’uomo e delle società umane, le abitudini di vita, riferito anche agli animali e alle piante) , come tutti i fenomeni umani, è oggetto di studio da parte delle scienze umane.

Esso infatti, appare chiaramente osservabile e rilevabile in tutta la sua continuità sincronico-temporale e diacronico-geografica, come anche in tutta la sua discontinuità sincronica e diacronica. Il fenomeno morale è quindi minuziosamente descrivibile in tutte le sue sfumature.
il fenomeno morale o ethos è rilevato ed osservato attraverso l' etica descrittiva che per sua natura si limita a rilevare il dato di fatto esistente ed a descriverlo per come esso è, in modo anche estremamente dettagliato e minuzioso Essa non tende a valutare per poi prescrivere il risultato delle sue valutazioni, non si prefigge la formulazione di giudizi morali ( è bene o male ) non vuole decifrare l'atteggiamento ed il comportamento morale verso cui bisogna tendere o quale sia quello da assumere.

Così anche la sociologia, la psicologia, l' antropologia culturale, la fenomenologia, studiano il fenomeno morale con un approccio tendenzialmente descrittivo-narrativo.

La scienza Etica ( non descrittiva ) e la scienza Morale tendono invece ad essere oltre che descrittive-narrative, scienze prescrittive, cercano cioè l'ideale del comportamento verso cui tendere.
Se le altre scienze cercano di conoscere il fenomeno, l'Etica e la Morale tendono anche ad intervenire sui comportamenti degli individui e dei gruppi sociali per orientarli al bene. Scienza morale e sociologia generale alle origini del pensiero sociologico italiano[ M. Caterina Federici  -Università di Bologna-http://didattica.spbo.unibo.it/pais/minardi/federici.html]

«... La capacità di riconoscere il bene distinguendolo dal male e di riconoscerlo  come vincolante [ l' etica ] ,  l'esigenza e la capacità di agire secondo la coscienza che si ha del bene [ la morale ] , appartengono al vivere personale di ogni uomo.

Nella umanità si puo' riconoscere un fenomeno morale , un ethos ,   e si puo' parlare di esperienza morale ... ... A partire dalla considerazione che i filosofi antichi non conobbero una scienza puramente teorica dei fatti morali, la morale consisteva nell'indicare le vie che conducono alla felicità e alla perfezione dell'individuo .

Etica, infatti, è parola di derivazione greca, nel senso di costume, carattere, equivalente del latino mores: la tradizione latina chiama morali le virtù di carattere che Aristotele chiamava etiche nel distinguerle da quelle intellettuali.

Morale e politica, che il pensiero greco antico unificava perché non si da realizzazione dell'individuo se non nella comunità, nella relazione con gli altri, nella città, si separano nella storia perché la destinazione dell'individuo non ha più legami con la destinazione della società.

L'etica dei filosofi greci è discussa nei topici di Aristotele come una questione logica e una scienza pratica delle azioni umane. Diogene Laerzio approfondisce la riflessione sulla distinzione tra logica, fisica ed etica della scuola Platonica non del tutto condivisa dalle scuole filosofiche successive.

Tuttavia nel pensiero filosofico greco la comparsa dell'etica quale disciplina autonoma è uno stadio successivo a quello in cui la morale si esprime in leggi, rappresentazioni simboliche, religiose e artistiche ma all'origine del concetto greco di etica c'è la cultura orale di poeti e oratori che avevano cantato le qualità che rendevano un uomo "virtuoso".

A questa tradizione e a questa cultura si rifacevano i filosofi: nell'Etica Nicomachea, Aristotele distingue le virtù dianoetiche o intellettuali, proprie dei filosofi, dalla virtù morali proprie del cittadino, habitus di pratica della moderazione a fronte degli eccessi cui può condurre la ricerca del piacere e/o la fuga del dolore.

Inoltre gli antichi consideravano le leggi delle città convenzioni, più o meno arbitrarie delle quali coloro che praticavano le virtù autentiche non avevano bisogno. Così Platone nella Repubblica e nelle Leggi, aveva immaginato città ideali con una legislazione adatta ai filosofi e gli storici avevano individuato una legge naturale, l'unica che il saggio debba e possa seguire.

Platone e Aristotele consideravano la volontà una tendenza fondamentalmente orientata al bene. La riflessione sulla legge della natura, la reinterpretazione dell'etica antica attraverso una antropologia fondata sul piacere e sul dolore, la distinzione tra i compiti della società e gli obblighi della coscienza individuale, l'idea settecentesca di artificialità della morale, il sistema delle regole e delle norme, il rispetto della libertà del singolo che impedisce di imporre (Mill), fino alle visioni del mondo come sistemi incomunicabili (Simmel) pongono questioni tra i sistemi di valori.

L'intuizione della vita di Simmel contribuì alla creazione di un'etica naturale dei valori. Saint-Simon, Comte e Spencer, collocando al centro della storia la nascita della scienza e dell'industria, assegnano ad una scienza, la sociologia, il compito di scoprire che i modi di vita dipendono dalle credenze.

Quando le credenze arbitrarie sono sostituite dalla scienza, la società che ne risulta è più solidale e generosa di quella dominata da forme di sapere rudimentale.

Così i meccanismi attraverso cui si trasformano i modi di vita individuali e collettivi, mercé l'evoluzione sono sempre adeguati allo stato in cui si trova la società: la società industriale è il risultato di una selezione nella quale hanno prevalso modi di vita collaborativi e ove gli interessi privati tendono a coincidere con quelli pubblici.

Così le idee morali non sono da considerarsi in se stesse ma in relazione alla storia evolutiva dei popoli. Il concetto di milieu social durkheimiano risulta di grande utilità per capire le idee, le credenze, le abitudini, le tendenze, la totalità.

Altrettanto importante è il concetto di causalità per Durkheim, l'interazione di un complesso di elementi, l'ambiente sociale, che il ricercatore isola artatamente per individuare il funzionamento obiettivo delle interrelazioni. Una relazione causale non significa che un fatto precede prima o dopo di un altro ma che la presenza dell'uno spiega l'altro.

Individuare le diverse combinazioni tra fenomeni nei vari contesti significa applicare il metodo delle variazioni concomitanti . Nel pensiero durkheimiano l'individuo è il prodotto della società più che la sua causa ed è pertanto privo di senso porre al centro dell'analisi i ruoli individuali.

"La società compila una scala di valori a cui ogni gruppo e classe sociale deve uniformarsi, che cambia con il crescere o diminuire del reddito collettivo, con i mutamenti che avvengono nella morale collettiva." "Noi non vogliamo trarre una morale dalla scienza, ma fare la scienza della morale", scrive Durkheim nella prefazione di La divisione del lavoro sociale.
La scienza della società ( Sociologia) i presta non a costruire direttamente una morale razionale ma a mostrare come la morale razionale nasca dallo sviluppo della società prodotta dall'applicazione della scienza alla natura. Per Durkheim, società e scienza collettiva coincidono e quest'ultima può essere considerata la chiave di volta della sua dottrina sociologica e morale. La sociologia suggeriva che le regole sociali anche quelle morali, vanno interpretate tenendo conto della funzione che svolgono all'interno del sistema sociale.
Durkheim trova il principio e la fonte della moralità nella solidarietà sociale. I fatti morali possono essere di due tipi: i costumi che rinviamo ai doveri che gli uomini hanno gli uni verso gli altri in quanto appartenenti ad un gruppo sociale; il diritto che rinvia ad un'etica più generale, indipendente da ogni specifico condizionamento. Questa etica costituisce la base del diritto alla vita o del diritto alla proprietà.

Comprendere le forme di solidarietà e la loro logica di funzionamento significa comprendere il sistema che governa i comportamenti, mettendo in luce, ad esempio, il concetto per cui ogni fatto morale è una regola dotata di sanzione. Si tratta di una sorta di etica del movente che, sul clima positivistico, andava assumendo la pretesa di valere come scienza esatta della condotta.

Ciò che appare come dovere è il risultato di esperienze ripetute accumulate attraverso le generazioni come tentativo di adattamento progressivo dell'uomo alle sue condizioni di vita. Ha scritto Bordieu: "Les sociologues doivant s'attendre à rencontrer de plus en plus souvent, réalisée dans leur objet, la science social du passé." 

Nella "Rivista Italiana di Sociologia" molti e importanti contributi evidenziano lo stretto rapporto "di dipendenza che lega la scienza morale pratica alla scienza morale teoretica e ambedue alla sociologia", come ben argomenta Asturaro. ...

"Il fenomeno morale", per usare l'espressione di Asturaro, è dunque un dato preesistente non qualcosa da creare ex nihilo, come l'antica filosofia veniva a supporre, e va studiato come un fatto esistente prima della riflessione scientifica umana. L'esperienza morale
L'esperienza morale ha radici nel bisogno psicologico di fare il bene.

Per  esperienza morale  si può intendere  la prassi, i comportamenti, il vissuto di una persona che sia riconducibile a scelte morali, cioè a scelte che implicano
- la coscienza di una verità sul bene e sul male ,
- un giudizio retto sulla situazione ,
- la libertà di scelta.  
Esperienza è una parola tanto ambigua e problematica per la filosofia da creare seri problemi anche per l'etica e la morale. Tutti fanno esperienza del bene e del male : ben presto l'essere umano apprende ad evitare il male e a fare il bene . Con l'età della ragione si fissano bene e male in valori e disvalori.

Ogni generazione -attarverso comportamenti e ragionamenti, permessi e proibizioni - trasmette alle successive i propri valori fondamentali ( tradizione morale) . La tradizione poi viene continuamente rielaborata nella storia .

Una  tradizione morale è un insieme di valori ( etica) che vincolano le coscienze ; essa deve essere sempre aderente alla realtà dell'esistenza concreta dei suoi destinatari, deve partire dalla esperienza umana e rimandare sempre ad essa.
Un' etica esperienziale però sul piano scientifico è impresa impossibile. Una possibile soluzione è offerta dall'etica ermeneutica , un'etica cioè che si fonda su un processo ermeneutico cioè interpretativo del vissuto umano, secondo una ben nota circolarità :  
- l' esplicitazione della precomprensione del vissuto,
- l' ermeneutica della esperienza esistenziale stessa  ,
- la cultura umana entro la quale si ragiona (la sacra Scrittura,la Tradizione e il Magistero cattolico ,il diritto,    etc.)
- i ragionamenti, le proposizioni etiche,
- la decisione etica , le scelte conseguenti che si fanno
- la prassi che segue, come nuova esperienza esistenziale
... la ripresa del circolo ermeneutico.

Freud ( psicoanalista ) e Durkheim ( sociologo umanista ) sostenevano che "l'essere umano è fondamentalmente amorale " : l'esperienza morale non sarebbe mai spontanea, non avrebbe mai origine dal dinamismo psichico interno ma sarebbe sempre iniettata dall'esterno da una educazione morale che in ogni caso deve fare violenza alle tendenze spontanee della persona.

Secondo questa prospettiva una reale interiorizzazione dei valori trasmessi dall tradizione non sarebbe mai possibile ; l'esperienza morale sarebbe sempre conformismo etico , devozione sociale o, peggio, di sottomissione al costume.

L'uomo sarebbe un essere duale dentro di sè : amorale e morale/immorale. Freud parla di dualità istinto- ragione, dovere-piacere, egoismo- devozione sociale.

Fromm ed Ericksson ( psicologi ) e tutti gli "umanisti", recepiscono il sospetto Freudiano ma lo percepiscono più come un punto di partenza che è possibile superare per approdare ad una coscienza morale adulta. Se il bambino è amorale, nelle persone adulte si ritrova, di fatto, una coscienza morale in cui  c'è equivalenza tra cio' che si desidera e cio' che è moralmente retto. 

Molto spesso le civiltà e le culture per superare difficoltà di conoscenza e di comunicazione dei loro valori evadono dalla rigorosità che la riflessione sull'ethos, l' etica , richiede ; si rifugiano in una imprecisabile  esperienza  comune o nella esortazione  morale (=parenesi , predica, sermone) finendo per fare del moralismo o del doverismo .

Morale e religione cristianaL'esperienza morale  per diventare coscienza morale e poi tradizione morale deve trovare nella personalità la capacità di discernimento del bene dal male e la motivazione per scegliere e compiere il bene. La rivelazione cristiana evidenzia come l'uomo storico , per natura segnato dal peccato, da un potere maligno è debole nella sua volontà di fare il bene ( la radice psicologica del comportamento morale , la forza di colmare il bisogno di bene, è debole) .

Non solo è debole ma tendenzialmente dominato dal potere maligno. Questa condizione naturale dell'uomo ha prodotto ( e produce ) una storia in cui tutti gli uomini, pur avendo in se stessi un bisogno insopprimibile di bene , compiano in realtà sia il bene che il male : cercano il bene e fanno il male, come vivessero in una tenebra in cui facilmente si confondaono bene e male e si chiama bene il male e viceversa.

La storia mette in evidenza che l'uomo naturale non ha in sè le capacità di discernimento del bene dal male e la motivazione per scegliere e compiere sempre il bene perchè è segnato dal peccato .
L'uomo naturale sconta un radicale incapacità di discernimento morale e l'incapacità di compiere  il bene verso cui orienta la propria volontà .
L'avvento del cristianesimo rivela da un lato
- l'incapacità di discernimento del bene e del male della coscienza dell'uomo naturale
e dall'altro la capacità di discernimento che acquista la comunità cristiana, illuminata dalla rivelazione; rivela
- l'incapacità dell'uomo naturale di fare il bene che conosce,
ma anche la salvezza da questa condizione che Gesù realizza nei credenti .
La condizione naturale dell'umanità implica per tutti un processo di liberazione dal male ed insieme un processo di crescita culturale , quindi una educazione etica e morale .»

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