Corso di Religione





Teoria antropologica della ominazione su base evoluzionista
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Scimmie e uomini Cosa avrebbe "acquisito" il gruppo di australopitechi per differenziarsi in homines ? E' necessario ricercare quel "qualcosa" che è riscontrabile in maniera assoluta solo negli uomini e mai nelle scimmie.
Quali sono le differenze che si riscontriamo tra uomini e scimmie antropomorfe evolute, come i gorilla?Sul piano fisico , dell'intelligenza , etc, le differenze ci sono, ma non sono considerate differenzianti. Si pensava che fosse la coscienza di sè, l'autoscienza, ma si è dimostrato che i gorilla si riconoscono allo specchio, sanno agire con intenzionalità, etc .

Si passò a considerare la parola, ma Gardner ha compreso la differenza delle corde vocali rispetto all'uomo ed ha insegnato ad un gorilla l'alfabeto dei sordomuti : a partire dai 18 mesi di età Koko ha appreso a comunicare in inglese !

Koko , la voce della natura.


Koko ha superato i 34 anni — possiede un vocabolario di 1,000 segni ( American Sign Language per sordomuti ), comprende più di 2000 parole parlate in inglese , ha condotto una chat globale su Internet nel 1998.... Mostra empatia per gli uomini.
C'è una  "abilità"  che tutti gli uomini hanno e che i gorilla non mostrano di possedere : la capacità di intuire e ricercare l' "alidilà delle cose", il " senso  " delle cose, la " trascendenza". L'uomo riflette sulla propria esistenza , la descrive e ne intuisce una ulteriorità qualcosa che sta oltre l'esistenza stessa e si chiede : che senso ha il mio esistere? Tutti gli uomini , consapevolmente o no, si pongono questo tipo di domande, «le domande fondamentali della vita».

Esse pongono ogni uomo di fronte ad un mistero:" il " Mistero. Gli uomini indagano il Mistero con tutti i possibili strumenti di ricerca e conoscenza : l'intelligenza, l'intuizione, l'immaginazione , la Ragione, etc. Acquisiscono conoscenze con le Scienze, le Filosofie, le Arti, etc.

Ci sono però domande cui l'uomo ancora non sa dare risposte .
Come diceva un importante filosofo del Novecento, Ludwig Wittgenstein, riflettendo sul senso della vita:
«Noi sentiamo che, anche se tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati» Quando gli uomini esprimono il senso del Mistero, della Trascendenza, che essi incontrano sul cammino della autorealizzazione nelle relazioni con il mondo e con i propri simili essi esprimono il loro  sentimento della trascendenza o sentimento religioso (tutti, anche gli atei)  cioè la loro religiosità.
La religiosità ( che non è la pratica della religione o la credenza in una divinità) è una capacità che appartiene solo all'uomo, la capacità di intuire e ricercare l'aldilà delle cose , il senso, la trascendenza .

Essa si manifesta universalmente e tutti gli uomini in questo senso sono religiosi per natura.
Una differenza evidente ed inequivocabile , un limite che Koko non ha superato è quello della religiosità. Koko non dimostra di avere un senso del mistero, non appare interessato al senso delle cose, della vita, della morte, dell'universo, etc.

Koko esprime sentimenti , piange, ma non mostra sensibilità verso ciò che sta aldilà delle cose materiali, il senso.

Gran parte della fatica che bisogna fare per diventare "uomini" e " donne" riguarda la conoscenza del mondo in cui viviamo , la conoscenza di noi stessi, il senso del Mondo, della Vita, di noi , e la Storia ci dimostra quanto sia grande e difficile questo compito.

Indagando sul Mistero gli uomini cercano la Verità delle cose e di se stessi, che è la Via per realizzare pienamente il proprio essere, la vita autenticamente umana. Proprio questa dinamica sta alla base delle civiltà umane.

Uomini e gorilla hanno intelligenze diverse , non molto distanti ma , mentre l'uomo , spinto dalla sua inestinguibile sete di risposte e soluzioni ai problemi fondamentali ha messo in atto tutte le sue risorse ed ha costruito , costruisce e ricostruisce culture e civiltà, i gorilla, quandanche istruiti dagli uomini, non mostrano nessun interesse per questa attività.
La religiosità manca assolutamente in un gorilla che pure comunica con l'uomo con il suo linguaggio ( quello dei sordomuti) e che apprende i suoi stili di vita .Cosa si e' sedimentato nella struttura della coscienza umana di propriamente "religioso" durante i millenni ? (J J. RIES (antropologo-Università di Lovanio) "... L'uomo religioso e la sua esperienza del sacro. In Opera omnia vol.III. Milano, Jaca Book, 2007, pag.9.)

" La religiosità e la religione sono nate con l'uomo che con la sua intelligenza e le sue emozioni, non ha soltanto cercato di risolvere i problemi pratici della vita, ma anche di interessarsi ai valori spirituali, metafisici, ponendosi al di sopra della dimensione biologica e culturale. ... Lungo il progredire della sua esistenza  e nel più profondo di sé l'uomo avverte l'ascendente di una realtà misteriosa. E' una esperienza che si manifesta in modo diverso secondo le culture e le epoche ma è sempre un tentativo di sorpassare se stesso , l'esistenza quotidiana e la condizione umana."


( M. ELIADE storico delle religioni , in Trattato di Antropologia del Sacro. Vol I-II-III-IV-V-VI-VII Jaca Book-Massimo

"...« l'homo religosus assume nel mondo un modo specifico di esistenza, che si esprime nelle numerose forme religiose che la storia ci mostra. Egli si riconosce dal suo stile di vita; »
... "... in qualsiasi contesto sia vissuto l'Homo Religiosus ha dato prova di credere in una realtà assoluta che trascende il mondo in cui si svolge la sua vita e che manifestandosi in tal modo , trascendente, configura ad esso una dimensione di compiutezza."

(Mircea Eliade. Il sacro e il profano.)

  "... crede sempre all'esistenza di una realtà assoluta, il sacro, che trascende questo mondo ma che in esso si manifesta e che quindi lo santifica e lo rende reale .."


Una ipotesi antropologica della ominazione La famiglia umana -possiamo affermare oggi -nasce con l’ homo abilis/simbolicus/religiosus. Ma, come ?
Esiste nella antropologia del sacro, una ipotesi scientificamente fondata : combinando le scoperte paleontologiche con quelle antropologiche l' ipotesi è che l’uomo sia comparso come essere religioso ! Da più di 5000 anni l'Homo religiosus ha fissato su pietra, argilla, papiro, pergamena, legno, e altro la  memoria della sua esperienza religiosa e delle sue credenze. Per questo fine egli ha usato segni e simboli , i linguaggi.

La paleoantropologia e la paleolinguistica ci dicono che nella storia umana, dall'emergere dell' Homo all'inizio del Paleolitico e in ogni tappa evolutiva abbiamo testimonianze  della religiosità umana : sepoltura, iscrizioni rupestri, attività di simbolizzazione, etc.
L'attività di simbolizzazione religiosa, specifica dell'homo sapiens, permette di collocare l'homo religiosus al centro della "umanizzazione" Tutti gli studi scientifici di antropologia del sacro, quelli di Mircea Eliade segnatamente e ultimamente di J. Ries , giungono a questa conclusione : La religiosità non è un momento, una tappa della coscienza dell' uomo : ne è una realtà costitutiva. Una serie di ricercatori ha proposto questa ipotesi: Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770–1831), Soren Kierkegaard (1813–1855), William James (1842–1910), Mircea Eliade (1907–1986), Rudolf Otto (1884–1939), Friedrich Schleiermacher (1768–1834), Gerardus van der Leeuw (1890–1950), Karl Jaspers (1883–1969), Paul Tillich (1886–1995), Erich Fromm (1900–1980), Abraham Maslow (1908–1970), Erik Erikson (1902–1994), Langdon Gilkey (1919–2004), vc David Tracy (1939–) .
L'uomo nasce come essere religioso : l'homo religiosus è tipicamente, l'uomo. Questa semplice evidenza induce gli antropologi del sacro ad ipotizzare che l'ominazione abbia a che fare con la  nascita di questa nuova capacità : la percezione di una dimensione spirituale, di un al-di-la', di una trascendenza delle cose.
Gli studi sulle culture religiose antiche inducono ad ipotizzare che l'ominazione corrisponda ad una "esperienza religiosa originaria" di alcuni ominidi :  la jerofania della volta celeste .

All’ homo habilis perciò si fa risalire la nascita del senso religioso, l'ominazione : all’ esperienza di trascendenza della volta celeste , .

Attraverso la percezione della volta celeste si sarebbe "risvegliato" o sarebbe "nato " il senso di : immensita', profondita', infinito, trascendenza.
".. il Cielo rivela direttamente la sua trascendenza, la sua forza e la sua sacralità. La contemplazione della volta celeste, da sola, suscita nella coscienza primitiva una esperienza religiosa. "
(M.Eliade Trattato di storia delle religioni )
" Questa affermazione non implica necessariamente un naturismo . Per la mentalità arcaica la Natura non è mai esclusivamente «naturale». L'espressione «contemplazione della volta celeste» ha un significato del tutto diverso se la riferiamo all'uomo primitivo, aperto a miracoli quotidiani con un'intensità per noi difficilmente immaginabile. Questa contemplazione equivale, per lui, ad una rivelazione .
La volta celeste è per eccellenza «cosa del tutto diversa» dalla pochezza dell'uomo e dal suo spazio vitale. Il Cielo si rivela quel che è in realtà: infinito, trascendente. Il simbolismo della sua trascendenza si deduce semplicemente dalla constatazione della sua infinita altezza. «L'altissimo» diventa, nel modo più naturale, l' attributo di ogni divinità. Nell'antichità " ...le regioni superiori inaccessibili all'uomo, le zone sideree, acquistano i prestigi divini del trascendente, della perennità. Queste regioni sono la dimora degli  dèi e alcuni uomini privilegiati vi giungono per mezzo dei riti di ascensione celeste; fin lassù si innalzano, secondo le concezioni di certe religioni, anche le anime dei morti.

L'«alto» è una categoria inaccessibile all'uomo in quanto tale; appartiene di diritto alle forze e agli esseri sovrumani; colui che si innalza salendo cerimonialmente i gradini di un santuario o la scala rituale che porta al Cielo, cessa di essere un uomo; le anime dei morti privilegiati, nella loro ascensione celeste, hanno abbandonato la condizione umana.

Tutto questo si deduce dalla semplice contemplazione del Cielo sarebbe però un grave errore considerarla una deduzione solo razionale. La categoria trascendente dell'«altezza», dell'ultraterrestre, dell'infinito, si rivela all'uomo tutto, alla sua intelligenza non meno che alla sua anima.

Il simbolismo è un dato immediato della coscienza totale, vale a dire dell'uomo che scopre di essere uomo, che prende coscienza della propria posizione nell'Universo; queste scoperte primordiali sono legate al suo dramma in modo tanto organico che lo stesso simbolismo determina sia l'attività del suo subconscio, sia le più nobili espressioni della sua vita concettuale.

Insistiamo dunque su queste distinzioni: se il simbclo e il valore religioso del Cielo non sono dedotti, in modo logico dall'osservazione calma, obiettiva della volta celeste, non sono tuttavia prodotto esclusivo dell'affabulazione mistica e delle esperienze irrazionali religiose."

" Ripetiamolo: il Cielo rivelò la propria trascendenza prima di venir valorizzato religiosamente.

Il Cielo «simboleggia» la trascendenza, la forza, l'immutabilità, semplicemente con la sua esistenza . Esiste perchè è alto, infinito, immutabile, potente. "
".. Che il semplice fatto di essere «alto», di trovarsi «in alto», equivale ad essere «potente» (nel senso religioso della parola) e ad essere, in quanto tale, saturo di sacralità, è dimostrato dall'etimologia stessa di certi dèi. Per gli Irochesi, tutto quel che possiede orenda si chiama oki, ma il senso della parola oki sembra sia «chi sta in alto»; troviamo perfino un Essere Supremo celeste chiamato Oke.

Le popolazioni Sioux (Plain Indians dell'America del Nord) esprimono la forza magico-religiosa (mana, orenda ecc.) col termine wakan, foneticamente molto vicino a wakàn, wankàn, che in lingua dakota significa «in alto, al disopra»; il sole, la luna, il fulmine, il vento possiedono wakàn, e questa forza è stata personificata , sebbene imperfettamente, in Wakan, che i missionari traducono «Signore», ma che è, più esattamente, un Essere Supremo celeste, manifestantesi specialmente nel fulmine.

La divinità suprema dei Maori si chiama Iho; iho vuol dire «eccelso, in alto». I negri Akposo conoscono un dio supremo Uvolavu; il nome significa «ciò che sta in alto, le regioni superiori». Si potrebbero moltiplicare gli esempi...

.. «l'altissimo, il lucente, il cielo», sono nozioni esistite più o meno manifestamente nelle espressioni arcaiche con le quali i popoli civili esprimevano l'idea di divinità. La trascendenza divina si rivela diettamente nell'inaccessibilità, nell'infinità, nell'eternità e nella forza creatrice del cielo (pioggia).

Il modo di essere celeste è una ierofania inesauribile. Di conseguenza tutto quel che avviene negli spazi siderei e nelle regioni superiori dell'atmosfera - la rivoluzione ritmica degli astri, le nuvole che si inseguono, le tempeste, il fulmine, le meteore, l'arcobaleno - sono momenti di questa medesima ierofania. Quando si sia personificata questa ierofania, quando le divinità del Cielo si siano rivelate, prendendo il posto della sacralità celeste come tale, è difficile precisare.

Una cosa però è certa, che le divinità celesti sono state, fin dall'inizio, divinità supreme; che le loro ierofanie, diversamente drammatizzate dall'esperienza mitica, sor rimaste, in seguito, ierofanie uraniche; e quella che si potrebbe chiamare la storia delle divinità celesti è in gran parte la storia delle intuizioni di «forza», di «creazione», di «leggi» e di «sovranità».L'homo religiosus fa parte della storia ontologica dell'essere umano( Giacomo Dacquino-psicologo-CREDERE E AMARE)
«La dimensione religiosa, al di là del fatto di essere credenti o non credenti, fa parte della vita.

Tutte le persone sono religiose, anche se non sanno di esserlo o professano di non esserlo.
Tutte avvertono la propria finitudine, la contingenza, la precarietà. Tutte si pongono domande sul senso della vita e della morte, del «prima» e dei «dopo»: «Chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Perché il dolore?».

Ma ci sono interrogativi cui nessuno può dare una risposta soddisfacente. Per questo si ha bisogno di sovrumano, che nella terminologia cristiana corrisponde al bisogno di Dio.
L'homo religiosus fa parte della storia ontologica dell'essere umano. Infatti il suo cammino evolutivo si è concretizzato in varie religioni, ad esempio in quelle dell'Egitto o della Cina di 5000 anni fa, dei pigmei dell'Africa di 20.000 anni fa. Le tecniche di sepoltura degli uomini di Neandertal inducono a pensare che già 75.000 anni orsono si praticassero riti religiosi.

La religione degli aborigeni australiani risale addirittura a 200.000 anni indietro, e si trovano vestigia di credenze nel «culto del cranio» fin da 900.000 anni a.C.»

«...Tempo fa, durante un'intervista televisiva, un giornalista mi domandò a bruciapelo: «Sul divano dello psicoanalista s'incontra Dio?». Ho analizzato credenti di varie confessioni religiose, ho avuto in cura atei nevrotici e atei maturi, ma non ho mai incontrato Dio, né la Madonna e nemmeno il diavolo.

Però ho scoperto qualcos'altro. In tutti i miei pazienti ho rilevato una caratteristica psicologica costante: la relìgiosità, un valore della personalità, un fenomeno naturale che si struttura e si sviluppa nel rapporto figlio-genitori e che si manifesta nella condotta religiosa.

La religiosità è presente in ogni individuo, sano o malato. Anche durante la terapia psicoanalitica, affiora in ogni paziente una dimensione religiosa, pur se questi la ignora o tenta di negarla. Emerge da molti segni: dal modo di giacere sul lettino a «mani giunte», dai lapsus, dai contenuti latenti dei sogni ecc. Ho definito la religiosità come un fenomeno naturale, anche se si accompagna alla disponibilità al sovrumano o al soprannaturale; può dunque corrispondere al rapporto con il trascendente, oggettivarsi o meno, agganciarsi o no a una religione definita, ma può anche essere indipendente da un credo specifico.

Non bisogna infatti identificare la religiosità con l'affiliazione a un gruppo religioso, poiché l'adesione istituzionale e cultuale è la conseguenza di interessi e di preferenze individuali. E' necessario distinguere tra «religiosità» e «religione», due realtà da non confondere, due valori che a volte concordano . Se religione è anche religiosità, in quanto ne è l'oggetto, non è vero il contrario, come è riscontrabile ad esempio nell'ateo.» 

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